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Il sindacato trionfa e dà una lezione di democrazia
12.10.2007
Claudia Mancina, da Il Riformista, 12 ottobre 2007
Il sindacato trionfa e dà una lezione di democrazia

Il risultato del referendum sul welfare è un fatto politico importante per varie ragioni. Non solo perché è la prima buona notizia per il governo da parecchio tempo a questa parte. Ma anche per le cose che dice sullo stato dell'opinione pubblica del nostro paese, e su quello della politica che dovrebbe interpretarla e rappresentarla. Nel nostro dibattito pubblico sembra da tempo che non ci sia altro che politica autoreferenziale e antipolitica: l'una sempre più assediata nel suo fortino, mentre l'altra dilaga nelle piazze reali e virtuali, ma sempre più separata da qualunque obiettivo realistico, da qualunque progetto di riforma; anch'essa, in fondo, autoreferenziale.

In questo devastato panorama irrompe il referendum, ricordandoci, con l'alta partecipazione e con la valanga di sì, che il sindacato è forse l'unico grande soggetto collettivo rimasto alla nostra democrazia. Un soggetto che è ancora in grado di agire politicamente e produrre un evento democratico significativo. E se è così, sarà bene che tutti i soggetti politici, in primo luogo il Partito democratico, ne tengano conto. Che posto ha il sindacato nell'idea di politica del Pd? È una domanda che vorremmo fare al gruppo dirigente del nuovo partito.

Al momento, la cosa più evidente è che il sindacato esce vincitore dall'anomalo conflitto con la sinistra radicale, che - come già ai tempi del primo governo dell'Ulivo - pretendeva di scavalcarlo rappresentando direttamente i lavoratori. Ora le richieste di modifica dell'accordo raggiunto tra governo e parti sociali appaiono risibili, completamente delegittimate. Eppure quelle richieste verranno presentate al governo; e probabilmente non resteranno senza qualche risposta. Viene qui in luce l'altro insegnamento politico del voto, il paradosso della nostra situazione: gruppi politici le cui posizioni sono palesemente respinte dai votanti, che invece mostrano di accettare quel poco o tanto di proposta riformatrice contenuta nell'accordo, conservano però la loro capacità di ricatto parlamentare e quindi la loro capacità di modificare l'accordo stesso, in barba alla volontà di base che si è espressa in modo inequivoco. Risulta dunque ancora una volta, con evidenza plastica, che il nostro sistema politico è strutturato in modo da produrre un effetto distorsivo della rappresentanza.

I cittadini, anzi i cittadini lavoratori, una fascia sociale che certamente non è tra quelle meglio piazzate nel momento attuale, dimostrano di comprendere e accettare la necessità di riforma del welfare, e di saper valutare il fatto che questa proposta di riforma è la più favorevole possibile. Riconoscono credibilità ai loro rappresentanti sindacali e al governo con cui è stato stretto l'accordo. Ma in nome di quegli stessi cittadini lavoratori alcune forze politiche della maggioranza minacciano di dissociarsi dal governo e di non votare quest'accordo. L'assurdità della situazione è talmente evidente da lasciare senza parole. Questa assurdità rimanda al problema della riforma elettorale, la cui modifica dovrebbe essere una priorità assoluta per tutti, e in primo luogo per il governo. Ma rimanda anche alla necessità di definire un nuovo assetto delle istituzioni rappresentative e di governo, come diceva ieri Panebianco sul Corriere della sera.

Purtroppo è inutile che disputiamo se si debba incominciare dalla riforma elettorale o da quella costituzionale: non sembra prevedibile che si faccia né l'una né l'altra. In entrambi i casi il problema sta nei soggetti politici. Ma proprio su questo piano - cioè quello della ristrutturazione del sistema politico - sta accadendo qualcosa di significativo. La formazione del Pd è un passo molto importante, che può portare alla nascita di un soggetto politico forte, e potrebbe anche avere un effetto largo sulla configurazione complessiva del sistema. Soggetti politici più forti darebbero alla politica italiana la svolta necessaria per avere un governo in grado di governare e di fare le riforme di cui abbiamo un disperato bisogno. E che, come ha dimostrato il referendum, non è detto siano così invise ai loro reali destinatari.

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