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Minispot, maxi ricavi
24.07.2003

Anche se il Milan non avesse vinto la finale di Champions League, Berlusconi non avrebbe comunque perso considerato il notevole ricavo ottenuto da Mediaset grazie ad una gragnola di minispot durante la diretta. Nella sola prima mezzora ne sono stati contati 8, poi il bombardamento è stato tale da far perdere il conto. A 80 mila € l’uno (per le semifinali, sempre su Canale 5, il costo era la metà) il guadagno è stato davvero ragguardevole: insomma minispot, maxi ricavi.

Questa dei minispot nelle partite di calcio è una tipica storia all’italiana. La direttiva "Televisione senza frontiere" prevede che gli spot debbano "costituire eccezione" (art.10, par. 2) e dunque vadano inseriti in modo da non pregiudicare "l’integrità ed il valore" del programma (art.11, par. 1) e, specificatamente per gli eventi sportivi, "soltanto tra le parti autonome o negli intervalli" (art.11, par. 2). In Italia, la norma è stata artatamente interpretata dall’Autorità per le Comunicazioni che ha varato, nel luglio 2001, un Regolamento tagliato su misura per le emittenti e i loro interessi economici. Il Regolamento stabilisce infatti che "nella trasmissione di eventi sportivi, la pubblicità e gli spot di televendita possono essere inseriti negli intervalli previsti dal regolamento ufficiale della competizione in corso di trasmissione o nelle sue pause, ove l’inserimento del messaggio pubblicitario non interrompa l’azione sportiva" (art. 4, par. 5 della delibera 538/01/CSP del 26 luglio 2001). L’Autorità ha introdotto il concetto di "pausa", derogando quindi al principio secondo cui l’inserzione deve avvenire soltanto durante gli intervalli.

In Europa c’è sgomento per la posizione italiana. Alla riunione di maggio dell’EPRA, la Piattaforma europea dei regolatori dell’audiovisivo, l’interpretazione italiana è stata da molti considerata inconcepibile. Al Comitato di Contatto, organismo consultivo della Commissione europea dove siedono i governi degli Stati membri, una delegazione si è spinta a chiedere sardonicamente se, dal momento dell’entrata in vigore del Regolamento, non si fosse notato "per caso" un aumento dei falli commessi dai giocatori oppure arbitri dal fischietto più facile che nel passato… Non poteva quindi sorprendere nessuno la puntuale richiesta di spiegazioni rivolta allo Stato italiano sia dalla Commissione europea sia dal Consiglio d’Europa.

La Commissione, in particolare si appresta, a settembre, ad aprire un’istruttoria contro l’Italia. A suo avviso è discutibile che le "pause della competizione sportiva", vale a dire i momenti in cui il gioco è interrotto per diverse ragioni (per esempio, nel calcio, quando l’arbitro interrompe l’azione per un fallo o per la sostituzione di un giocatore), possano essere considerati "intervalli": infatti, il tempo di gioco continua a scorrere (per questo nel calcio c’è il recupero), qualsiasi fatto accaduto durante la pausa è considerato un fatto di gioco e la durata della pausa è assolutamente imprevedibile poiché essa non è definita o definibile in precedenza. La direttiva poi, così come la legge italiana di recepimento n.122/98, dispongono che "tra la fine di un'interruzione pubblicitaria e l’inizio di quella successiva devono di norma trascorrere almeno 20 minuti". Per la Commissione non è chiaro com’è stata intesa, in Italia, l’espressione "di norma".

Insomma, l’Autorità ha alzato la palla e Mediaset ha schiacciato alla grande. Se la linea di difesa, poi, sarà che senza queste entrate si rischia di pregiudicare la possibilità, soprattutto per le emittenti private, di trasmettere eventi sportivi di grande rilevanza, così riducendo il grado di pluralismo del sistema televisivo, si può replicare che è vero il contrario: quest’interpretazione favorisce soprattutto una disciplina, il calcio, a discapito di altri eventi sportivi di tipo continuativo (ciclismo, automobilismo ecc…) a danno quindi del pluralismo e a favore esclusivo dei proprietari di club calcistici, tra cui Berlusconi medesimo. È possibile, dunque, che, in nome della realpolitik, e con Berlusconi alla guida dell’UE, si giunga ad un baratto in sede di riesame della direttiva: no ai minispot in cambio della luce verde per la pubblicità a schermo ripartito (split-screen).

Il punto centrale è comunque un altro. I tempi medi per una procedura d’infrazione sono due anni, periodo durante il quale denari continueranno a confluire nelle casse di Mediaset. E quando la Corte di giustizia europea finalmente condannerà l’Italia, chi pagherà la salatissima multa? I contribuenti italiani ovviamente.

di Filippo Di Robilant - Prima Comunicazione

www.libertaegiustizia.it

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