Stanze del buco: tristi o no, salvano delle vite.di Vittorio Agnoletto, medico, fondatore della LILA (Lega italiana per la lotta contro l’AIDS), eurodeputato.Ha ragione, Cancrini, quando punta il dito contro chi si occupa di droghe solo in occasione di dibattiti "spettacolari" sulle shooting rooms, mentre i servizi territoriali, le unità di strada, gli operatori che ogni giorno salvano delle persone, vivono una profonda crisi di investimenti da parte del sistema sanitario. E nessuno ne parla.
Ha ragione ma non è questo un buon motivo per liquidare le così dette stanze del buco come una risposta non efficace al problema dell’abuso e della dipendenza da sostanze. I motivi? In primo luogo, dal punto di vista dell’approccio globale alla lotta alle dipendenze, le narcosale rientrano negli interventi salvavita. Sono uno degli strumenti di realizzazione della riduzione del danno, nell’ambito dei famosi quattro «pilastri» indicati dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dal Programma delle Nazioni Unite per l'AIDS/HIV (UNAIDS): prevenzione, cura, riduzione del danno, riabilitazione.
Non è vero che non esistano studi o riscontri scientifici sulle shooting rooms.
Un rapporto del 2004 dell’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (Emcdda) afferma che «i benefici delle stanze per il consumo possono superare i rischi» se inserite in un dato contesto e, soprattutto, se si considerano gli obiettivi di tale strumento.
È vero, la realtà è più complessa della sua rappresentazione pubblica e mediatica: le stanze del buco non sono "buone" o "cattive" in assoluto, ma alcune esperienze hanno funzionato. Come potrebbe accadere per esempio a Torino. Proprio sabato prossimo, 13 ottobre, si terrà per l’appunto nel capoluogo piemontese, al Teatro Baretti, un importante incontro pubblico sulle stanze del consumo.
Il rapporto europeo dimostra che le stanze per il consumo di droghe hanno senso e possono essere efficaci se: istituite in una più ampia cornice di politica pubblica e rete di servizi che abbiano lo scopo di ridurre i danni causati dalla dipendenza di droga; basate sul consenso e la cooperazione attiva tra gli attori chiave a livello locale, in particolare gli operatori sanitari, la polizia, le autorità locali e le comunità territoriali; considerate per quello che sono – servizi specifici con lo scopo di ridurre danni alla salute e sociali che coinvolgono consumatori problematici di sostanze e a rischio, e riferiti a bisogni che altri tipi di risposte non sono riusciti a soddisfare.
In tali condizioni, le stanze del buco hanno avuto buoni riscontri.
Nella mia ventennale attività di medico impegnato nella lotta all'AIDS e contro la diffusione delle droghe ho avuto modo di verificare direttamente l'efficacia di progetti simili già attivi in tantissimi Paesi dell'Europa occidentale. Nel 2003 nel vecchio continente erano 62 le sale di consumo protetto.
I dati relativi a Hannover, Amburgo, Francoforte e Saarbrucken, città che hanno attivato tali progetti nella metà degli anni '90, hanno evidenziato importanti risultati sia nella tutela della salute individuale, con una diminuzione tra i tossicodipendenti della mortalità (anche del 25 per cento) e delle nuove infezioni da HIV e epatite B e C, sia nel campo della salute collettiva e dell'ordine pubblico con una diminuzione di "scene a cielo aperto", e del numero di siringhe abbandonate con i conseguenti rischi di punture accidentali (Jacob et al., 1999; Zurhold et al., 2001; van der Poel et al., 2003; European report on drug consumption rooms di Dagmar Hedrich, febbraio 2004 - Emcdda).
Esattamente il contrario di quanto ottenuto da Letizia Moratti a Milano con l’aperta ostilità ai progetti di riduzione del danno: unità mobili, macchinette scambiasiringhe…"Stanze del buco" quindi come uno strumento complementare e non contrapposto a tanti altri (comunità , psicoterapie, metadone) e riferito ad una specifica popolazione di tossicodipendenti. Strumenti diversi per un unico obiettivo: ridurre le morti e la sofferenza individuale e sociale.
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