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Se l’ambiente diventa una questione politica (di E. Sassoon)
31.10.2007
Se l’ambiente diventa una questione politica, di Enrico Sassoon da www.affarinternazionali.it)

Ancora pochi anni fa l’ambiente era un argomento per pochi. Molti ne parlavano, è vero, e i movimenti ecologisti attiravano simpatie un po’ dappertutto, e specialmente tra i giovani. Ma ben poco si faceva e anche i simpatizzanti denunciavano molto e agivano poco. Ora, di protezione dell’ambiente e di cambiamento climatico non solo si parla, ma molto si fa. Le imprese multinazionali hanno ormai quasi tutte avviato con grande clamore la riconversione verde, e non è solo uno slogan; molti Governi hanno alzato il grado di priorità degli obiettivi ambientali, primi tra tutti quelli dell’Unione europea; le istituzioni internazionali ne fanno una bandiera del multilateralismo; e molte persone comuni hanno avviato una propria battaglia per l’ambiente, con comportamenti coerenti con gli obiettivi dichiarati.

Tutto ciò è sotto gli occhi. Quello che non ci si aspettava, però, fino a pochissimo tempo fa è che il cambiamento climatico diventasse un tema politico di primaria importanza, e non solo a livello dei singoli paesi, ma su scala globale.

Il Nobel ad Al Gore
Il fatto politico più rilevante di queste ultime settimane è stato il conferimento del premio Nobel per la pace ad Al Gore per la sua azione a favore dell’ambiente, il cavallo di battaglia che ha giudato dopo la discussa mancata elezione alle presidenziali e che ha preso la forma in primo luogo del super premiato documentario “An Inconvenient Thruth”. Bello o brutto che sia, preciso e documentato o meno, quel documentario ha rilanciato Gore nel firmamento internazionale, anche se probabilmente non basterà a garantirgli una vittoria alla Casa Bianca nel caso decidesse di ricandidarsi.

La questione ecologica non è di poco conto oggi negli Usa. L’amministrazione Bush è arrivata a falsificare un rapporto sul cambiamento climatico preparato per il Senato Usa ed è sempre più criticata per il boicottaggio agli accordi di Kyoto , e non solo dall’esterno. Una crescente opposizione alla politica ambientale americana è ormai sviluppata all’interno, più tra i Democratici che tra i Repubblicani, ma la novità è che persino nel partito del Presidente le preoccupazioni sono in aumento. La dimostrazione più efficace è che il tema del cambiamento climatico ha fatto irruzione nei programmi in divenire dei futuri candidati repubblicani alle elezioni del novembre 2008. Sia pure con accenti diversi, ne hanno preso a parlare John McCain e Rudy Giuliani, e due altri candidati con scarse probabilità di vittoria come Mike Huckabee e Sam Brownback hanno avuto la buona idea di collegare i disastri ambientali alla collera divina, in una visione tutta evangelica.

Minaccia per la pace
Ma la dimensione politica cresce anche fuori dagli Usa. Di recente, il ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier ha dichiarato che “il cambiamento climatico rappresenta una minaccia crescente per la pace”. Un primo esempio è dato dalla crescente competizione in atto nell’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacci inaspettatamente rapido sta scatenando gli appetiti per petrolio e altre risorse dei paesi che si affacciano al Polo Nord. Si tratta di Russia, Canada, Stati Uniti, oltre alle più piccole Norvegia e Danimarca. Le rivendicazioni stanno crescendo, specie da parte russa, e nulla esclude che il nuovo attivismo politico di cui Putin sta dando prova in questi giorni non sia destinato a sfociare anche in campo ambientale.

Ma ben altri allarmi sono alle porte. Il riscaldamento globale determinerà in Asia e Africa conseguenze micidiali in termini di ulteriore desertificazione di aree coltivabili e prosciugamento dei corsi d’acqua, compresi i fiumi principali, con depauperamento delle risorse alimentari e idriche, già a livelli insufficienti in molte zone. La competizione per l’acqua potabile, avvertono le istituzioni internazionali, potrebbe innescare violenti conflitti locali, di cui già si intravvedono i primi bagliori.

D’altronde, proprio nei giorni scorsi è stato pubblicato il rapporto dell’United Nations Environmental Program ( Unep ), secondo cui il pianeta sta arrivando rapidamente al punto di rottura sotto il profilo ambientale, per l’eccessiva pressione di una crescente popolazione mondiale sulle risorse limitate della Terra. Sembra di risentire gli allarmi che negli anni Settanta lanciava il Club di Roma con il rapporto sui “limiti dello sviluppo” D’altra parte, nel 1987 fu il primo rapporto Unep, quello noto come Rapporto Bruntland, a lanciare il primo allarme ecologico globale e a proporre l’idea dello sviluppo sostenibile, a tutela delle future generazioni.

Il Geo 4 , come è chiamato l’ultimo rapporto, ha toni estremamente drammatici e quasi ultimativi. I pericoli sono enormi per tutti i paesi, compresi quelli industrializzati, ma la catastrofe minaccia soprattutto quelli più poveri. È uno scenario di lotta per l’esistenza, competizione per le risorse, riscaldamento globale e cambiamenti accelerati del clima quello di Geo 4, con ben pochi margini di ottimismo. E, anche in questo caso, non ci sono dubbi sull’impatto politico che questo rapporto potrà avere nei mesi futuri.

Infine, i timori politici hanno fatto capolino persino in un frangente del tutto inatteso, e cioè in occasione degli immensi roghi che stanno devastando la California meridionale. Di fronte alla marea di fuoco inarrestabile, probabilmente determinata da fattori naturali come le elevate temperature, con l’attivo supporto dei soliti incendiari di mestiere, vi è chi ha lanciato l’ipotesi di un ulteriore devastante elemento, ossia una partecipazione attiva di Al Qaeda alla diffusione del fuoco. Ipotesi probabilmente campata per aria, ma che dà un’immagine efficace del progressivo assottigliamento del confine tra questioni ambientali e problematiche politiche.

Enrico Sassoon è Direttore responsabile di AffarInternazionali e della Harvard Business Review Italia.

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