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PD, prima riunione dei Coordinatori provinciali
6.12.2007
RELAZIONE DI ANDREA ORLANDO (nella foto), responsabile nazionale organizzazione PD

Riunione dei Coordinatori provinciali e dei Segretari regionali del PD

La nascita del Pd ha mutato il quadro politico italiano.

Assai più di quanto fosse prevedibile.

Sin dal suo avvio il PD è riuscito ad essere ciò che avremmo voluto: una grande forza popolare ed insieme un elemento di stimolo alla riforma della politica.

Lo prova il fatto, spesso richiamato, che per nessun soggetto politico significativo è stato possibile restare immobile ed uguale a se stesso.

Con la celebrazione dei congressi di Ds e Margherita che in primavera deliberarono lo scioglimento dei due partiti, si è posto al Paese e alla politica nel suo insieme il nodo della frammentazione delle forze politiche.

Da subito abbiamo registrato le ripercussioni nel dibattito che si è sviluppato sulla riorganizzazione della cosiddetta sinistra radicale. A destra si è cercato di eludere il tema in parte con l’evocazione ricorrente e propagandistica del partito unico subordinato all’esito della strategia della spallata.

Il successo delle primarie ha posto con ancor più forza lo stesso tema ed evidenziato la domanda di partecipazione alle scelte della politica ponendo implicitamente la questione della legittimazione delle forze politiche.

Non credo sia un caso il proliferare gazebo successivo, il richiamo al termine primarie ricorrente nell’iniziativa delle forze politiche, l’appello alla partecipazione ed ai cittadini oramai ossessivo.

L’impatto dei tre milioni e mezzo del 14 Ottobre ha dimostrato in modo esplicito ciò che tutti sapevano, ovvero che il sistema politico italiano è logoro, incapace di rispondere in modo fisiologico ad una domanda crescente di partecipazione che è l’altra faccia di una ancor più crescente diffidenza alla delega duratura.

Da qui la rincorsa, almeno propagandistica, all’apertura alla società di tutte o quasi le forze politiche ma da qui anche l’ennesimo segnale dell’urgenza della riforma del sistema politico.

L’exploit di Berlusconi di queste settimane unisce all’ uso strumentale dell’appello al popolo contro i propri alleati il tentativo di mettere in secondo piano l’improvvisa vecchiaia di Forza Italia come soggetto cardine del bipolarismo.

Penso che la visione corretta si sia concretizzata in modo convincente in azione politica in questi mesi iniziando di fatto a definire i tratti politico programmatici del Pd.

Il discorso di Torino, di candidatura del segretario, ha definito la piattaforma convincente ed espansiva per una forza riformista che sappia fare i conti con la crisi delle ricette tradizionali di welfare e del modello economico europeo ad esse intrecciato.

Il modo diretto e non elusivo, ed i tempi con cui alcune emergenze, come la sicurezza sono state affrontate credo siano indice di una capacità di utilizzare adeguatamente il posizionamento politico per dare risposte tempestive e non ideologiche alle domande di ampi settori sociali, di quelli popolari in particolar modo.

E penso sia stato giusto aver dato al dialogo sulle riforme, che nel frattempo si è aperto un riferimento certo costituito da una piattaforma che affrontasse realisticamente il nodo della legge elettorale, quello del funzionamento delle assemblee e quello più complessivo dell’assetto istituzionale.

Ci sono ancora grandi temi sui quali posizionarsi con urgenza , a partire da quelli economico-sociali, sui quali dirò dopo. In attesa di una piattaforma compiuta, tuttavia, già da oggi possiamo dire che si è definito un convincente profilo politico programmatico del Partito, un’anima, un’idea chiara e distinta del ruolo che intende svolgere nel futuro del Paese.

E’in linea con essa e corrisponde al contempo ad un interesse più generale la proposta di legge elettorale dalla quale siamo partiti nel confronto con tutte le forze politiche.

Nasce a ben vedere dallo stesso presupposto che ha generato il Pd.

Per realizzare un bipolarismo maturo ed una moderna democrazia dell’alternanza non è sufficiente un sistema di regole che costringa all’adesione a l’uno o all’altro schieramento.

Il maggioritario non ha realizzato una reale coesione delle coalizioni e lungi dal provocare un bipartitismo non ha consentito neppure il raggiungimento di uno stabile e funzionale bipolarismo.

Occorre guardare assieme alle regole agli attori politici, al loro effettivo rapporto con la società.

Da tempo il gruppo dell’Ulivo ha proposto un modello che si ispira al doppio turno vigente in Francia. Da tempo è sul tappeto la proposta di tornare alla legge Mattarella. Tuttavia entrambe le proposte sono rimaste al palo. E nel frattempo le coalizioni sono, in assenza di processi unitari il frutto di meccanismi artificiosi che spingono ad alleanze contro. Esse sono per questo il luogo della conflittualità permanente nelle quali ricorre il diritto di veto delle singole sigle.

L’impianto della proposta cosiddetta Vassallo muove da un ritorno al proporzionale con sbarramento in grado di assicurare la rappresentanza ed al contempo evitare la frammentazione. Il meccanismo è temperato da una sproporzionalità finalizzata a premiare le forze politiche maggiori, gli attori centrali delle coalizioni.

La combinazione di queste regole incentiva lo sviluppo di processi unitari tra soggetti della stessa area politica, senza produrre l’esigenza di promuovere cartelli elettorali effimeri ed innaturali.

La proposta indica inoltre il ripristino di collegi elettorali con dimensioni che consentano un effettivo rapporto tra elettori ed eletti.

Si tratta di una proposta che spinge verso coalizioni omogenee per obbiettivi programmatici e non per necessità.

Coalizioni nelle quali con chi si sta si decide sulla base di chi si è e non chi si è si decide in funzione di con chi si sta.

E’ un modello appunto che corrisponde ad un idea della democrazia nella quale la natura programmatica dei partiti e delle coalizioni esalta la loro capacità di costruire un rapporto intenso con i cittadini che va al di là della semplice dimensione istituzionale.

La proposta, come dicevo, è sottoposta al confronto con tutte le forze politiche ed assegnata all’iter parlamentare.

Il tempo è poco poiché si avvicina la scadenza del referendum.

Un passaggio che pur introducendo condivisibili modifiche all’attuale legge elettorale finirebbe per costituire coalizioni ancor più ingabbiate da vincoli esterni.

Per noi costituirebbe una criticità. Un partito a vocazione maggioritaria con una precisa missione riformista stenterebbe ad affermare il proprio ruolo e a far emergere in modo nitido proprio profilo all’interno di coalizioni cartello, formate da forze politiche divise su tutto ma unite soltanto dall’esigenza di sopravvivere.

Chi intende difendere il bipolarismo non può nascondersi le disfunzioni che nascono dal aver concepito in vitro schemi politologici senza tener conto dei reali processi politici.

Un nuovo bipolarismo si può affermare se si superano i limiti di quello attuale e si tiene conto della complessità delle posizioni in campo.

Peraltro tutta l’Unione dichiarò solennemente che nessuna legge elettorale può essere il frutto dell’imposizione del maggioranza sull’opposizione.

La dichiarata volontà di molte forze politiche di affrontare questo tema costituisce un fatto di per se positivo anche per il clima che genera dopo una fase di contrapposizione frontale.

Un clima di cui si può giovare anche l’azione del governo.

Il populismo è cresciuto in questi anni approfittando della fragilità delle istituzioni e dei soggetti politici.

Il modo più efficace per fermarlo e batterlo è chiudere la transizione e con essa tutte le anomalie che ne sono in qualche modo manifestazione.

La nostra proposta per questo tiene insieme i tre obbiettivi che ricordavo: legge elettorale, riforme istituzionali,revisione dei regolamenti parlamentari.

Tre pilastri senza ognuno dei quali non si regge un nuovo e funzionante edificio istituzionale.

Abbiamo detto con chiarezza che nessun serio processo riformatore finalizzato a dare stabilità al sistema, può partire avendo la caduta di un governo come presupposto.

Tanto più se il governo affronta dopo una fase difficile di risanamento una stagione nella quale si concretizzano importanti riforme a partire da quella del welfare e l’approvazione di una legge finanziaria può innescare significativi processi di sviluppo e di equità.

I molti preconizzavano che la nascita del Pd avrebbe determinato un indebolimento dell’esecutivo.

Si è realizzato esattamente il contrario.

Un riferimento unitario e solido per l’area riformista della coalizione, le contraddizioni che la nascita del Pd ha generato nel campo avverso e appunto la nostra iniziativa sul terreno istituzionale consentono oggi di guardare con maggior fiducia al futuro del governo. Non ci nascondiamo le difficoltà che derivano dai numeri del Senato ne quelle che nascono dagli strascichi dell’approvazione della riforma del welfare come segnala l’intervista di Bertinotti e tuttavia non possiamo che constatare guardando a queste settimane che l’esplicitazione di un leggibile profilo riformista sostenuto da un robusto soggetto politico non può che aiutare il Governo.

Se si esce dall’estenuante giustapposizione tra modernizzazione ed equità e si propone il profondo intreccio tra i due termini si può ricostruire una sintonia con il Paese.

L’approvazione del protocollo sul welfare da parte di milioni di lavoratori prima e la ripresa di popolarità dell’esecutivo credo ne siano un ulteriori testimonianze.

Siamo percepiti come un partito propositivo e dialogante, insieme il frutto e la leva per l’innovazione politica. Con le parole della politologia potremmo dire che abbiamo definito il profilo che prefigura il soggetto a vocazione maggioritaria del bipolarismo maturo. Con quelle più semplici della quotidianità una forza serena capace di far guardare con serenità al futuro un Paese sempre più diviso ed inquieto.

Dopo molti anni passati ad inseguire Berlusconi su questo terreno, quello dell’innovazione politica, è oggi Berlusconi ad inseguire noi e non in forza dell’estemporaneità di una mossa indovinata ma in conseguenza di un progetto strategico.

Dobbiamo mantenere questo vantaggio e questi tratti nella costruzione del Partito che vogliamo saldamente radicato in tutto il Paese.

Una forza politica in grado di stare nella società e di fare entrare la società e le sue domande in sé senza eccessive mediazioni. In questo senso pensiamo sia fondamentale lo strumento dei Forum tematici, sedi di confronto aperte anche a chi non aderisce al partito e addirittura a chi non lo voterà e però ritiene utile proporre le proprie idee in un dibattito funzionale ad istruire decisioni ed elaborazioni programmatiche.

I forum non devono essere articolazioni del partito ed esprimere quindi la posizione del partito sul singolo tema. Devono essere sedi autonome, presenti sulla rete, capaci di promuovere discussioni, momenti formativi e persino campagne distinte da quelle del partito.

Stiamo lavorando per promuovere alcuni forum nazionali su temi individuati dall’esecutivo.

La formula ideata prevede che a capo di essi siano indicate personalità anche esterne del settore di riferimento, supportate da giovani operatori e studiosi dello stesso e dal responsabile del partito che assicura la connessione tra dibattito e luoghi della decisione politica.

I forum locali possono collegarsi a quelli nazionali o affrontare temi specifici della realtà in cui nascono.

Penso sia fondamentale che ne nascano molti e presto.

Non solo perché costituiscono uno strumento inedito per rispondere a molte aspettative suscitate dalla nascita del Pd ma anche perché la loro creazione può rappresentare oggi il segno tangibile di un partito che cessa finalmente di comporre esclusivamente organigrammi per guardarsi intorno, per indagare la società che lo circonda.

Un partito dei cittadini ha detto Veltroni a Milano. Costretto in ragione di un sistema di regole a rendere conto ai cittadini del proprio operato e che anzi rimette a loro una serie di decisioni. Interpretando lo spirito dell’articolo 49 della Costituzione possiamo così evitare il rischio fatale dell’autoreferenzialità. Dobbiamo individuare regole ed istituti che garantiscano e rendano effettivi i diritti degli elettori mediante la costituzione di un Albo.

Un partito radicato, con i piedi a terra come scriveva ieri Bettini su l’Unità. Un partito cioè presente in tutto il Paese che costituisca una rete di vie d’accesso al confronto e alla vita politica per i cittadini che intendono dedicare una parte della loro vita all’impegno aderendo al partito.

Una strutturazione che dia continuità all’azione politica ed eviti che il confronto si riduca a periodici momenti competizione tra corpi separati o singole personalità.

Una presenza anch’essa finalizzata ad aderire alle articolazioni della società italiana e che offra ad essa un riferimento nella dimensione territoriale, nei luoghi di studio e di lavoro.

Dobbiamo costruire un’ organizzazione al servizio della capacità di proposta e di iniziativa e non di se stessa come spesso è avvenuto nella storia delle forze politiche che abbiamo conosciuto.

La terza dimensione nella quale deve vivere il Pd è delle rappresentanze istituzionali.

La scelta di ricorrere alle primarie per tutte le cariche monocratiche e a forme partecipate di decisione per la formazione delle liste porrà problemi inediti nel rapporto eletti partito e nella definizione dei reciproci campi di autonomia.

Alcuni paletti tuttavia vanno io credo piantati sin da ora proprio mentre si costituiscono i gruppi consiliari.

Da subito va infatti chiarito l’obbligo degli eletti a tutti i livelli alla contribuzione per il finanziamento del partito cosi come l’affermazione del principio di maggioranza come regola per la definizione delle posizione dei gruppi Pd.

Penso sia anche urgente in vista delle prossime tornate amministrative la definizione di un codice deontologico per i nostri eletti ed una regolamentazione del tema delle incompatiblità e della reiterazione dei mandati.

Lo statuto definirà nel dettaglio l’architettura di quest’organizzazione.

I capisaldi dello statuto però, ad essere onesti, li abbiamo definiti con i fatti.

Il 14 ottobre abbiamo dato vita ad un partito fortemente connotato dalla partecipazione diretta dei cittadini.

Credo sia difficile pensare che a statuto approvato verrà meno il loro coinvolgimento nella scelta di una parte significativa dei gruppi dirigenti e delle candidature istituzionali del partito.

Con la decisione assunta dal segretario nazionale e da quelli regionali di dare corso alla costituzione dei circoli si è delineato un modello di partito radicato grazie all’apporto di aderenti.

Lo statuto oggi deve definire un equilibrio tra partito dei cittadini elettori e partito degli aderenti che si colloca tra queste due negazioni: non possono essere solo gli aderenti ad assumere le decisioni, gli aderenti non possono avere gli stessi diritti dei semplici elettori.

E’ la definizione di questo quid pluris da definire, un quid pluris che deve essere commisurato al riconoscimento che si da al volontariato politico. Questa definizione è l’esercizio più difficile ed insieme più innovativo che siamo chiamati a compiere nell’ideazione del partito nuovo.

Ed è questione assolutamente preliminare allo scontato passaggio dalla fase transitoria a quella a regime.

Infatti se è del tutto certo che un congresso ci sarà non è affatto scontato il modo in cui questo congresso si terrà.

Soltanto rispondendo a questa domanda infatti sarà possibile definire un passaggio decisionale che definisca la piattaforma e l’assetto definitivo dei gruppi dirigenti.

Un’ulteriore conseguenza di queste variabili è il progressivo adeguamento dell’assetto del partito al modello definitivo da realizzarsi nello sviluppo della fase transitoria.

Dal 14 Ottobre sono passate 6 settimane e molto lavoro è stato fatto.

Si è dato un assetto dei gruppi dirigenti centrali funzionale alla fase costituente, si sono insediate ed hanno iniziato a lavorare le commissioni che proporranno all’assemblea costituente la base per concludere il percorso, il partito ha una sede ed un simbolo.

Sul territorio si sono insediate le platee regionali e poi quelle provinciali per l’elezione dei coordinatori provvisori.

Si è trattato di passaggi non scontati nei quali sono in alcuni casi riemerse le contrapposizioni che avevano portato alla elezione dei segretari regionali.

In altri si è corso il rischio di percorrere vie eccessivamente consuete nella definizione degli assetti.

Mi pare che entrambi i fenomeni siano stati contenuti.

Ci sono molti giovani a dirigere le strutture territoriali, l’età media dei coordinatori è 44 anni. Molti di loro,circa la metà, non svolgevano la stessa funzione nelle forze politiche d’origine. 22 donne guidano i coordinamenti provinciali, una cifra ancora insufficiente ma significativa se la confrontiamo con le 5 donne dei Ds e le 6 della Margherita che guidavano le omologhe strutture territoriali.

La formazione degli esecutivi così come l’elezione delle presidenze delle assemblee territoriali e la costituzione dei gruppi nelle assemblee elettive sono un ulteriore occasione per promuovere l’apertura, coinvolgendo personalità esterne in ruoli di direzione politica ed assicurando una adeguata presenza femminile.

Non si tratta di discriminare chi è stato dirigente dei partiti promotori.

Ritengo che questo,anzi, sia per la generosità e la determinazione con la quale queste forze hanno promosso la nascita del Pd un titolo di merito.

Credo ne sia prova il consenso registrato alle primarie da molti di loro (di noi) anche al di fuori della cerchia dei militanti.

Tuttavia c’è una questione della quale dobbiamo farci carico insieme. Alle primarie hanno partecipato 3,5 milioni di persone. Quattro volte la somma degli iscritti dei due partiti che per altro come è ovvio non hanno partecipato nella totalità al voto del 14 Ottobre.

E’ evidente che l’assetto dei gruppi dirigenti deve riflettere in qualche modo il mutamento della base elettorale da rappresentare.

Il problema investe tutti, non c’è ne ci può essere una regoletta per risolverlo ma dalla sua soluzione dipende la capacità del Pd di interpretare un pluralismo più articolato e ricco di quello dato dalla somma delle forze presenti in Ds e Margherita.

Un pluralismo che a regime troverà un suo compiuto statuto ma che oggi non può in alcun modo risolversi nella strutturazione in componenti delle liste che hanno concorso per l’elezione delle costituenti.

Una dinamica diffusa ma inadeguata a sviluppare una dialettica tra opzioni e sensibilità culturali diverse.

Sono state troppo contingenti i presupposti alla nascita delle liste per poter costituire il cardine di pluralismo interno.

Il problema di questa fase è semmai mescolare ulteriormente le esperienze per approdare ad una dialettica fondata sulle distinzioni riguardo alle opzioni per il futuro piuttosto che a quelle basate sulle appartenenze del passato.

Credo che nella formazione dei gruppi dirigenti territoriali si debbano,per questo evitare, incentivi al cristallizzarsi di appartenenze.

Dai prossimi giorni e per tutto il mese di Gennaio, sulla base del deliberato dei segretari regionali lavoreremo insieme per costruire il partito in tutto il territorio nazionale.

In particolare a voi compete da subito definire il perimetro nel quale insediare i circoli.

Non è un adempimento burocratico. Si tratta di ripensare la presenza del partito non di proseguire le esperienze organizzative precedenti.

Per questo penso sia giusto accompagnare queste decisioni ad una riflessione sull’evoluzione dei territori, sul mutamento delle gerarchie tra le diverse aree di una provincia.

Si tratta di scelte perfettibili ed integrabili nel senso che nel perimetro di un circolo possono in seguito nascere altri circoli per assicurare una ulteriore capillarizzazione della nostra presenza organizzata.

In questa prima fase è necessario puntare ad un copertura di tutto il territorio.

L’asticella non è sui numeri del 14 Ottobre esperienza non facilmente replicabile ma sulla presenza territoriale di Ds e Margherita.

L’obbiettivo in questa prima fase della costituzione di almeno 8000 si pone al di sopra delle 6800 sezioni dei Ds (è evidente che in questo caso la somma del numero dei circoli non avrebbe senso) ed implica la presenza del Pd in ogni comune italiano.

Questi due mesi di radicamento devono costituire un grande fatto pubblico per le realtà interessate e nell’insieme una grande festa della politica e della democrazia.

Il processo di costituzione dei circoli inizia con la consegna degli attestati. Il modello vi è stato inviato in queste ore. E’ fondamentale che gli attestati siano ritirati personalmente. L’adesione che è prefigurata da questa consegna deve diventare nel nuovo partito consapevole ed effettiva impedendo preventivamente dinamiche legate al controllo di pacchetti di adesioni.

Allo stesso modo è fondamentale che l’adesione,almeno in questa fase sia legata al luogo del voto e quindi alla residenza.

Si devono evitare forme di adesione basate su legami a singoli esponenti o a gruppi.

Ci si iscrive al partito per garantire ad esso un supporto e per partecipare al complesso della sua vita interna.

La presenza in un determinato territorio di un circolo organizzato su basi paracorrentizie non assicura alcun radicamento del partito.

La consegna degli attestati, dicevo deve costituire un fatto pubblico deve rendere l’idea di un processo aperto non riservato agli addetti ai lavori.

Per questo stiamo redigendo una lista di personalità del modo della cultura,dell’arte,delle professioni,dell’economia disponibili a partecipare alla consegna e alla costituzione dei circoli.

Il dipartimento organizzazione curerà la dislocazione di queste disponibilità sulla base delle richieste che perverranno da voi.

L’attestato può costituire l’occasione per una prima richiesta di sostegno finanziario al partito che in parte vi chiediamo di devolvere al nazionale.

In seguito alla consegna,come sapete si procederà alla convocazione delle assemblee dei fondatori per la costituzione dei circoli.

Si è discusso sul fatto se fosse opportuno o meno limitare il diritto di voto in tali assemblee soltanto agli elettori del 14 Ottobre come alla fine si è fatto con la deliberazione dei segretari regionali.

Io difendo questa opzione perché ritengo che concettualmente la costituzione del circolo sia la prosecuzione del voto per la costituente e perché penso non sia salutare far succedere elezioni in un lasso relativamente breve di tempo mutando la base elettorale.

Questo non esclude la possibilità che chi non ha votato il 14 Ottobre possa aderire in qualche modo al progetto, essere censito, partecipare in qualche modo al suo sviluppo.

Le assemblee eleggono i delegati alle platee comunali ed integrano quelle provinciali.

Dove il circolo coincide con il comune si elegge un coordinamento.

I segretari non sono pertanto mai eletti direttamente.

La ragione di questa scelta è chiara:se si vuole assicurare rapidamente un siapur provvisoria presenza territoriale non c’è tempo per altre campagne elettorali interne.

Inoltre credo non sia auspicabile in termini di immagine un ulteriore fase competitiva con tutti le inevitabili conseguenze che essa comporterebbe.

Un’armonizzazione dei tempi e dei modi di elezione dei gruppi dirigenti potrà consentire di riconsiderare questa scelta che tuttavia in questo momento a me pare quella preferibile.

Ai regionali compete la scelta dei meccanismi di elezione dei delegati dei circoli.

Tuttavia credo che alcune considerazioni in proposito non siano inutili.

Eviterei forme di eccessiva politicizzazione della competizione e in ogni caso l’organizzazione di filiere che assumano dimensioni e caratteri che prescindono dalla dialettica interna al circolo.

I circoli possono essere un’occasione importante di rimescolamento delle identità e dei percorsi. Non va sprecata subordinando l’assetto di essi a logiche preesistenti.

Pertanto credo che i meccanismi elettivi debbano essere semplici e pur garantendo la pluralità della rappresentanza debbano essere incentrati sulla competizione tra singoli. Nella dimensione del circolo non esistono, infatti, le controindicazioni che portarono a scartare questo meccanismo per le primarie.

Ovviamente le regole scelte dovranno assicurare la pariteticità nella rappresentanza dei due sessi.

Le platee e i coordinamenti eleggeranno di seguito i segretari. Al termine di questa fase costitutiva credo dovremo riflettere a partire da questa sede su come organizzare una nostra presenza sui luoghi di lavoro e di studio.

A marzo si terranno le primarie che costituiranno l’organizzazione giovanile del Pd si partirà per questo nelle prossime settimane con una campagna finalizzata a questo obbiettivo che vi chiedo di sostenere in modo convinto.

La novità del Pd può raggiungere l’insieme della società italiana se è in grado di affrontare i problemi concreti. Nella prossima settimana promuoveremo iniziative che affrontino il tema della sicurezza e quello delle condizioni materiali delle famiglie, affrontando il tema dei redditi del salario, dei precari e della crisi percepita.

Abbiamo bisogno di mettere rapidamente radici non solo per corrispondere ad un idea di partito.

Ne abbiamo bisogno perché sarebbe illusorio pensare che un processo di questa portata non generi contraccolpi più o meno immediati.

Se la politica riprende vigore tutti i soggetti che l’hanno surrogata reagiscono.

Radici salde sono la condizione per difendere l’autonomia della politica dagli interessi particolari.

Cosi si costruiscono gli strumenti per essere democratici sino in fondo.

A proposito di questo concludo rovesciando un antica abitudine.

Un tempo si partiva nelle relazioni dal quadro internazionale.

Concluderò riferendomi ad esso.

Ci è stato detto che il termine democratico costituiva un riferimento incolore. Un sostantivo nel quale avrebbero potuto riconoscersi progressivamente tutti a fronte di un’espansione quasi inerziale della democrazia.

Purtroppo non è cosi e il mondo ce lo sta mostrando in queste settimane.

Non solo ricordandoci che esistono dittature brutali come quella birmana ma anche ammonendoci con la possibilità che paesi democratici subiscano involuzioni pericolose che riaprano le porte a prospettive autoritarie.

Sta avvenendo nella Russia di Putin e ha rischiato di avvenire nel Venezuela di Chavez. Da militanti per la democrazia è bene ricordarlo e denunciarlo.

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