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Fine d'anno in carcere. Una lettera da Perugia |
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23.12.2007
Si chiama «Mec», ha vent’anni, si dichiara anarchico e
ha fatto scritte sui muri. Perciò è stato arrestato da
uomini mascherati con elicotteri e accusato di voler
abbattere lo Stato. Ecco la sua storia.
****
Michele Fabiani, detto «Mec», ha vent’anni e vive a
Spoleto. Assieme ad altri quattro ragazzi spoletini è
finito in carcere, lo scorso 23 ottobre, dopo una spettacolare
azione di polizia. E’ accusato dei reati associativi
previsti dagli articoli 270 e 270 bis del codice
penale, che riguardano le «associazioni con finalità di
terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine
democratico».
Mec si dichiara anarchico e ha scritto sui muri della
sua città qualche slogan anarchico. Per la sua liberazione
sta lottando il Comitato 23 ottobre. Al suo
fianco si sono schierati il consiglio comunale di Spoleto,
alcuni parlamentari, tra i quali l’onorevole Katia
Bellillo, i senatori Giovanni Russo Spena, Stefano
Zuccherini, Francesco Ferrante e Maria Luisa Boccia,
oltre a vari consiglieri comunali dell’Umbria. Questa
lettera descrive la sua situazione ed è stata scritta
pochi giorni dopo il suo arresto.
In un messaggio più recente, Mec [che ha anche partecipato
allo sciopero della fame contro l'ergastolo e per
l’approvazione della legge che lo abolisce: a una lettera
degli ergastolani in sciopero della fame, pubblicata
da Carta, ha risposto lo stesso presidente della
camera, Fausto Bertinotti, il testo è leggibile nel sito di
Carta] racconta che la situazione è peggiorata.
«L’isolamento si fa più rigido, hanno intensificato i
controlli e adesso certe guardie [non tutte] vietano
pure al lavorante che pulisce di avvicinarsi troppo alla
mia cella. Neppure ai parlamentari è stato permesso di
incontrarmi. Hanno concesso solo una visita veloce
tramite le sbarre con il comandante e il direttore che
controllano le nostre conversazioni. Anche questa è
una decisione della direzione del carcere, non necessaria
per il regime Eiv [‘Elevato indice di vigilanza’],
così come non è necessario che io passi l’ora di aria da
solo, ma è anche questa una decisione arbitraria
dell’amministrazione».
Ecco il testo della lettera di Mec.
Sono Michele Fabiani, detto «Mec», come direbbero
i giudici! Vorrei che questo scritto girasse il più possibile,
non so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò
ricopiarlo a mano per cercare di mandarlo il più possibile
in giro.
Dalla seconda media mi chiamano Mec perché per
spirito di contraddizione tifavo la Mac Laren [l’auto di
Formula Uno, ndr.]. E così ho appena scoperto che di
sfortune ne ho avute due in due giorni: la macchina di
Montezemolo vince i mondiali ed io finisco in galera.
Martedì 23 ottobre 5 brutti uomini [due erano così
brutti che si sono messi i passamontagna] irrompevano
in casa mia, la mettevano completamente sottosopra
e mi arrestavano in base all’articolo 270 bis
[scritto dal ministro Rocco per Mussolini].
I reati associativi previsti dall’art. 270 bis e 270
permettono di arrestare qualcuno non perciò che ha
fatto, ma per come la pensa, perché fa parte di
qualche fantomatica associazione. Basti pensare che
uno di noi cinque, rinchiusi in isolamento giudiziario
da quasi quattro giorni e da oggi in Elevato indice di
vigilanza, è accusato solo di aver fatto una scritta su
un muro!
Ci pensate? Tre volanti [a testa], i mitra, i passamontagna,
la scorta aerea dell’elicottero, le telecamere, il
carcere, l’isolamento, per una scritta su un muro!
Sono stato poi portato alla Caserma dei carabinieri di
Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da quella di
Perugia al carcere.
Il primo momento propriamente comico è stato quello
del trasferimento dalla caserma al carcere: chi guidava
la macchina, forse impressionato, ha sbagliato
strada ed abbiamo fatto due volte il giro della stazione
ferroviaria.
In carcere mi stanno trattando bene, non mi hanno
mai toccato [in tutti i sensi, neanche per gli spostamenti].
La cella è molto sporca, c’è un tavolo appeso al
muro con un armadietto inchiodato ed un letto inchiodato
per terra e alla parete. Oggi è caduto l’isolamento
e abbiamo anche la televisione: resta il divieto
di comunicare tra noi, che è la cosa peggiore.
Ho visto le immagini del Tg3 Umbria che eravate fuori
durante gli interrogatori: eravate tanti! Sono tanto
felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito…
Nessuno tema o si rallegri: io ero , sono e resto un
prigioniero, anche prima di martedì: siamo tutti prigionieri,
tutti i giorni.
Quando ci alziamo la mattina per andare a lavorare,
quando sprechiamo gli anni più belli della nostra vita
su una macchina, quando facciamo spesa, quando non
possiamo farla perché mancano i soldi, quando li
buttiamo via i soldi per delle cazzate [vestiti, aperitivi,
sigarette non c’è differenza] quando guardiamo la tv
che ci fa il lavaggio del cervello, che cerca continuamente
di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine
[ quando in quindici anni gli omicidi sono diminuiti
del 70 per cento] così che noi possiamo chiedere più
telecamere, più carceri, pene sicure, quando se c’è una
pena davvero sicura a questo mondo, è quella che
incatena lo sfruttato alle sue condizioni. Io non ho mai
detto «Sono un uomo libero», in pochi possono dirlo
senza presunzioni.
Se io fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla
cima del Monte Fionchi, in estate con le mucche e le
pecore e in inverno con la neve, e dopo aver raggiunto
faticosamente le cime… guardare a nord ovest, la valle
Umbra o valle Spoletino come si diceva una volta, poi
a Nord Est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio
dietro, e poi via verso est tutti gli Appennini che cominciano
da lì, fino a sud dove ci sono quelle meravigliose
foreste… E forse ripensandoci neanche lì sarei
veramente libero,. perché la valle Umbra è piena di
cave, di capannoni, di fabbriche, di mostri che devono
essere combattuti.
Quindi io non sono un uomo libero… Io sapevo già di
essere prigioniero prima che un giudice me lo dicesse.
Certo questa prigione è diversa da quella fuori: qui
vedi tutti i giorni in maniera limpida, simbolica, e al
tempo stesso materiale quali sono i rapporti di forza
del dominio; dove c’è chiaramente e distintamente
l’uomo, con i suoi sogni, i suoi amori, il suo carattere,
e il sistema, le sbarre, le catene, le telecamere, le
guardie. Ovviamente l’uomo qui sta peggio.
E’ inutile fare retorica. Dopo qualche giorno la
gabbia te la trovi attorno alla tua testa. Con il cervello
che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con
la voglia incontenibile di parlare e non c’è nessuno, di
correre e non c’è spazio, quando mi affaccio alla finestra
vedo un muro con altre sbarre, non si vede un filo
d’erba, una collina [ neanche durante l’aria, che passo
solo in una stanza più grande], fuori dalla tua gabbia
c’è un’altra gabbia… La mia paura è che quando uscirò
ci sarà ancora questa gabbia intorno alla testa che
mi… e mi dice di non prendere a calci la porta della
cella e di mettermi ad urlare. Il rapporto qui è tutto
mentale.
E’ di questo che voglio liberarmi, voglio uscire e continuare
ad avere una capacità di analisi oggettiva della
realtà . Qui questa capacità rischio di perderla. Mentre
fuori, magari innaffiando un seme e facendo crescere
una pianta, si ha un’interazione fisica col mondo. La
realtà è una sintesi in cui l’uomo colloca se stesso tra
il mondo e le sue idee. In galera purtroppo questa
sintesi è pericolosamente, patologicamente, troppo
incentrata sulla mente. Ai compagni che scrivono che
non trovano parole dico di trovarle queste parole che
ne abbiamo troppo bisogno.
Scriveteci: a tutti e cinque! E vorrei che qualcuno
dicesse ad Erika che le mando un bacio.
Mec, Un anarchico in cattivitÃ
***
pubblicato dal sito “Carta quotidiano” il 21 dicembre 07
Welfare Italia
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