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Pakistan, Benazir Bhutto uccisa in un attentato a Rawalpindi
27.12.2007
L'attacco durante un comizio a due settimane dalle elezioni.
La leader dell'opposizione, che in passato era sfuggita a vari attentati, era rimasta gravemente ferita da colpi d'arma da fuoco.
Vana la corsa in ospedale. Almeno altre 15 persone hanno perso la vita

*****

Da Il Riformista del 28.12.07

A chi fa comodo la morte di Lady Pakistan
di Luigi Spinola

L'avevano accolta con le bombe non appena aveva rimesso i piedi in patria dopo otto anni di esilio. Ma l'attentato che il 18 ottobre a Karachi aveva causato la morte di più di 130 persone l'aveva miracolosamente risparmiata.

Ieri, Benazir Bhutto non ce l'ha fatta. Quando l'esplosione ha scosso la città-guarnigione di Rawalpindi uccidendo almeno 16 persone, dove aveva da poco finito un comizio elettorale, il suo corpo era già stato trafitto da proiettili alla gola e al petto.

È morta poco dopo nell'ospedale della città, attorniato dalla disperazione violenta dei militanti in lutto per la scomparsa del leader politico più popolare di un paese che da ieri appare più che mai sull'orlo del baratro. Se n'è andata l'ultima erede di una dinastia decimata dalla violenza politica. Impiccato il padre Zulfikar nel 1979, che aveva guidato uno dei primi governi civili dopo l'indipendenza, per ordine della giunta militare guidata dal Generale Zia Ul-Haq.

Uccisi negli anni Ottanta in circostanze mai chiarite i fratelli Muntaza e Shahnawaz.

Uccisa ieri Benazir, la prima donna primo ministro di un paese musulmano, un incarico abbandonato due volte perché accusata di corruzione, a meno di due settimane dalle elezioni politiche che avrebbero potuto riportarla alla guida del governo.

Uccisa da chi?

La pista ufficiale, paradossalmente la più rassicurante, conduce alle milizie jihadiste che dal luglio scorso puntano ad estendere la guerra in corso dalla periferia tribale all'intero paese, prendendo di mira ufficiali di sicurezza ed esponenti politici.

Gli stessi elementi che hanno più volte attentato alla vita del presidente Musharraf e che stanno conducendo la loro campagna elettorale a colpi di attentati avrebbero ucciso ieri il loro nemico numero uno.

Era un bersaglio mobile la Bhutto da quando era tornata in patria presentandosi come una pasionaria anti-islamista. Rifiutava le ipotesi di compromesso o cessate il fuoco con i jihadisti, più volte tentati dall'establishment politico-militare.

Chiedeva la chiusura delle madrasse più politicizzate, argomento tabù in Pakistan, accusate di formare terroristi. E si dichiarava favorevole, in un paese attraversato da una ondata di anti-americanismo, a interventi militari statunitensi sul territorio nazionale nel quadro della guerra al terrore.

È l'ipotesi più accreditata perché la Bhutto aveva ricevuto minacce da almeno tre gruppi jihadisti.

La televisione pachistana punta l'indice contro il più pericoloso di questi, guidato dal leader talebano Bailtullah Mashud, ritenuto responsabile di diversi attentati quest'anno, mentre già ieri Sheik Saeed, portavoce di Al-Qaeda, avrebbe rivendicato l'attentato a nome di Ayman al Zawahiri, la principale mente del network del terrore.

È l'ipotesi più rassicurante perché permette al presidente, come ha fatto ieri subito dopo l'attentato, di chiedere al paese di mantenere la calma, invocando l'unità nazionale contro il nemico comune.

Ma le parole della stessa Bhutto gettano un'ombra sull'establishment politico-militare pachistano.

«Non temo tanto qaedisti e talebani», aveva fatto sapere alla vigilia del ritorno in patria, «temo più i vecchi nemici annidati nella struttura di governo e nei servizi segreti».

All'indomani dell'attentato del 18 ottobre il clan Bhutto aveva precisato le accuse, scagliandosi contro i seguaci del defunto dittatore Zia Ul-Alq, che avrebbero trovato comodo riparo all'interno dell'attuale struttura di potere. Ieri, Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir, ha accusato senza mezzi termini il governo.Bhutto vittima della tradizionale collusione tra intelligence militare e estremisti islamici, perchè da primo ministro avrebbe sferrato una lotta senza quartiere contro i jihadisti. O peggio: Bhutto vittima della trentennale lotta tra il suo clan e i militari.

Uccisa perchè, qualora avesse vinto le elezioni, avrebbe lanciato una svolta anti-militarista e democratica che avrebbe cambiato gli equilibri e il volto del potere pachistano.

Sono ipotesi che nessuno è in grado di confermare, anzi la fresca nomina del Generale Ashfaq Pervez Kayani a capo dell'esercito, uno dei pochi militari che aveva buoni rapporti con la Bhutto, avevano lasciato sperare in una storica intesa tra un governo guidato dalla Bhutto e i vertici militari.

Ma i sospetti oggi non risparmiano nessuno, neanche Pervez Musharraf, che le elezioni potevano costringere a una coabitazione con la rivale di sempre che neanche gli americani, che avevano imposto il suo ritorno in patria, erano riusciti a trasformare in un'alleata.

Sospetti che non sarà facile scacciare dalle menti dei militanti del Partito Popolare, il più grande partito politico pachistano che ieri si sono riversati nelle strade delle principali città del paese, da Peshawar a Karachi dove già si conterebbero i primi morti in seguito a scontri con la polizia. Oggi di certo non c'è nulla. Neanche la conferma delle elezioni previste per l'otto gennaio.

Ma è chiarissima l'impressione che, dopo essersi lasciata alle spalle lo stato d'emergenza voluto da Musharraf, l'interminabile crisi pachistana rischi di andare incontro ai suoi giorni più neri. Che potrebbero portare il paese a un passo dalla guerra civile.

da www.ilriformista.it

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