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Spirali (di Paola Carini)
9.01.2008
In caverne semibuie o su grossi monoliti esposti alle intemperie, dalla celtica Laxe das Rodas in Galizia a Chaco Canyon (nella foto), nel nordovest dell’attuale New Mexico, linee acchiocciolate si rincorrono disegnando precisissimi cerchi concentrici il cui significato l’uomo moderno può solo ipotizzare. Incredibilmente uguali anche quando in posti geograficamente molto diversi, le spirali sono uno dei simboli più antichi e più affascinanti dell’umanità. Che traccino le volute del tempo, l’infinità dello spazio o l’anelito verso l’ultraterreno, che racchiudano una consapevolezza, una percezione o una verità, esse sono lì, disseminate in ogni continente, a ricordarci prepotentemente di qualcosa che non ci è più familiare. Gli anasazi, coloro che si ritiene fossero gli antenati degli abitanti dei pueblo moderni, nella vasta area che occuparono lungo gli attuali confini tra Arizona, New Mexico, Utah e Colorado, costruirono villaggi, piazze, strade, centinaia di kiva e incredibili postazioni per l’osservazione astronomica in cui le spirali giocano un ruolo essenziale.

Gli studiosi ritengono che tra il 900 e il 1300 Chaco Canyon divenne il centro astronomico di tutti gli insediamenti anasazi. Sulla piatta sommità di Fajada Butte, un promontorio che si eleva nella parte orientale del canyon, vi si trovano incise due spirali, una grande e una più piccola, semi nascoste dietro a delle lastre di pietra apparentemente franate per effetto dell’erosione. In realtà, il sole che vi penetra in certi periodi dell’anno crea delle lame di luce che cadono sulle spirali in maniera diversa, segnalando gli equinozi e i solstizi; similmente avviene con la luce del sole riflessa su delle spirali in uno degli altri centri anasazi, quello di Hovenweep, nell’attuale Utah.

Gli anasazi non furono certo le uniche popolazioni antiche a lasciare tracce della loro esistenza nel continente nordamericano: nel sudovest c’erano mogollon e hohokam, mentre nel midwest e nella zona sudorientale civiltà altrettanto antiche. Tra il 500 e il 900 nell’Arizona centrale, in Florida, in Georgia, in Arkansas, Oklahoma ed Ohio si costruivano villaggi molto somiglianti a quelli del Centro America con piazze pubbliche adibite ad uso comune, si praticava un gioco della palla simile a quello in uso a Chichen Itzà e, soprattutto, si ergevano tumuli di terra su cui poggiavano dei templi. Tra questi, la civiltà di Cahokia, nell’attuale Illinois, rappresentativa dell’area culturale che gli studiosi chiamano del Mississippi, nacque intorno al 650 ma conobbe uno sviluppo notevole proprio negli stessi anni di Chaco Canyon, attorno al 1050.

Scoperto per caso e scavato in tempi diversi, il complesso di Cahokia, almeno quello riportato alla luce sino ad ora, si articola attorno ad una enorme piazza centrale di centonovantamila metri quadrati alle cui estremità ci sono dei templi: uno, il principale, è il Tempio dei Monaci, alto più di trenta metri, così chiamato perché agli inizi dell’Ottocento venne occupato e coltivato da un gruppo di monaci trappisti. Dal lato opposto due templi gemelli, o meglio due tumuli che si ritiene abbiano mantenuto la forma originale ma di cui gli archeologi sanno ben poco. Disseminati qua e là altri centoventi tumuli, di cui la gran parte sono all’interno del parco archeologico. Una palizzata delimitava il cuore della città dal resto dell’abitato, circondando il Tempio dei Monaci per circa tre chilometri; piazze più piccole, in ogni direzione cardinale, si stagliavano attorno al Tempio.

Centro commerciale, oltre che religioso, di grande importanza, attorno all’anno mille Cahokia fece sentire la propria influenza anche in posti geograficamente lontani: nella regione dei Grandi Laghi sono state ritrovate ceramiche e manufatti tipici della città. Sebbene si ignorino le ragioni della fioritura artistica, si sa per certo che ad essa corrispose la proliferazione dei tumuli e la modificazione dell’assetto urbanistico, presumibilmente concomitante con una nuova visione religiosa e un nuovo ordine sociale. Non essendoci tracce scritte, né frammenti conservati nella storia orale delle popolazioni nativo-americane della zona, delle genti di Cahokia si sa ben poco, a partire dal nome. Cahokia infatti è il nome di un gruppo di illiniwek della zona che vennero in contatto con i francesi nel 1600, mentre la città venne abbandonata per motivi ancora oscuri ben prima del 1400. Il declino improvviso e ineluttabile di un centro così importante, come del resto successe a Chaco Canyon, aggiunge un’altra coltre al mistero di questa civiltà la cui esistenza si interrompe bruscamente per sparire nel nulla.

Negli anni sessanta, ad ovest del Tempio dei Monaci, venne fatta una scoperta notevole: gli archeologi, preoccupati di stilare una mappa prima che un’autostrada (poi spostata) tagliasse in due quella porzione del parco, scoprirono nel terreno delle depressioni tonde e regolari nelle quali venivano conficcati dei pali che correvano in cerchio. E poi l’evidenza di un altro cerchio di pali, e di un altro, e di un altro ancora. Alla fine c’erano cinque cerchi di pali che l’archeologo Wittry chiamò Woodhenge. Come le pietre di Stonehenge, i pali di Cahokia in certi periodi dell’anno si allineano col sole segnalando equinozi e solstizi. Di numero diverso, i cerchi di pali vennero eretti nell’arco di circa duecento anni, dal 900 al 1100, e usati come postazioni per l’osservazione astronomica da sacerdoti o divinatori e, probabilmente, per riti e cerimonie ad essa collegati.

Patrimonio mondiale dell’umanità, Cahokia oggi corre rischi ben più seri dell’usura del tempo. La città di Madison, uno dei grandi quartieri di Saint Louis, progetta una discarica a poca distanza dal parco archeologico, nonostante le proteste di ambientalisti e società storiche. L’agenzia per l’ambiente dello stato dovrà dare il proprio parere, ma fino ad ora ogni obiezione sollevata è stata vanificata dall’opinione favorevole di un’agenzia di controllo indipendente.

Speriamo che il futuro di Cahokia continui a scorrere come ha fatto negli ultimi seicento anni, placido e tranquillo nelle spire silenziose ed enigmatiche del tempo.

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