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L’Italia perbene (Bruno Ugolini su www.unita.it)
12.01.2008
Gli operai che tornano nelle piazze, nelle strade, qualche volta nelle autostrade. Per farsi vedere, per farsi riconoscere da un mondo che li considera scomparsi, spariti.

Non è stato uno sciopero facile ma è riuscito.

È riuscito malgrado i tentativi della controparte imprenditoriale di negare l’evidenza. Era stato un azzardo dei dirigenti sindacali scegliere questa giornata, all’indomani delle feste tradizionali, in un clima più di rilassamento che di lotta sindacale. E invece è andata bene. I metalmeccanici ancora una volta hanno capito che era in gioco il loro contratto, quella cosa che molti credono superata. Un avanzo di tempi passati. Loro, invece, sono scesi in piazza per difenderlo. Perché difende tutti, quelli della piccola officina dove non c’è il sindacato e quelli della grande fabbrica. È stata così la testimonianza che la categoria non è sfiancata dagli scioperi già fatti e questa forza potrà pesare sul tavolo della trattativa iniziata ieri sera e che potrebbe essere una non stop, un «ultimo miglio» verso il faticoso contratto.

Non sarà facile. I sindacati non appaiono seriamente divisi come in altre occasioni. Mentre invece divise appaiono le delegazioni imprenditoriali. Ci sono i dirigenti della struttura Federmeccanica che vorrebbero dimostrare la propria efficienza e portare alla riunione della loro Giunta, l’organo direttivo, annunciata per il 15 gennaio, fra tre giorni, un risultato gradito e comunque la fine di un conflitto che reca danni notevoli soprattutto per chi ha commesse onerose da smaltire. Ma ci sono anche quelli che non fanno questioni di tempo e vorrebbero durare «un minuto di più dell’operaio». Non si può nemmeno fare tanto conto del soggetto Fiat, un tempo arbitro indiscusso del mondo padronale. Oggi è diventato un soggetto multinazionale, distratto da mille incombenze.

Sono tutti elementi che rendono questa vertenza difficile da sciogliere. Anche perché ci sono in gioco non solo 117 Euro, ma problemi normativi che non si affrontavano dal 1999. Come quelli che riguardano le nuove qualifiche o la parità tra operai e impiegati. Ma il nodo più arduo riguarda la fatidica flessibilità. Che gli industriali guidati da Massimo Calearo trasformano in sostanza, con le loro richieste di straordinari, di sabati da mettere a disposizione, di Par (permessi annui retribuiti), in secco aumento degli orari di lavoro. Addio alle 40 ore, dunque, anche queste considerate un vecchio arnese del passato. I sindacati non negano il fatto che i flussi produttivi, i cicli di lavorazione richiedono elasticità. E quindi c’è la necessità di una modulazione degli orari a fronte di cicli di lavorazione brevi e disuguali. La Fiom, il sindacato più fermo nel difendere la piattaforma concordata, ha avanzato un’apertura su tale tema. Ma affermando che i mutamenti devono essere accompagnati da un riconoscimento dei poteri di contrattazione delle Rsu, gli organismi di fabbrica. Una sottolineatura giusta, tanto più che tanta gente si è improvvisamente innamorata del secondo livello di contrattazione affidato appunto alle Rsu. C’è stato, a proposito di questa ultima discussione nella Fiom, anche un mutamento della geografia interna. Infatti l’apertura espressa da Gianni Rinaldini e approvata dal comitato centrale, è stata respinta da Giorgio Cremaschi (rete 28 aprile) ma appoggiata da Fausto Durante (che si rifà alle posizioni di Epifani.

È, insomma, una vertenza complicata. Una sua soluzione positiva potrebbe essere un buon segnale per tutti. Intanto per la vertenza più grande, quella che dovrebbe portare ad un «patto» con governo e imprenditori, capace di rivalutare salari e diritti dei lavoratori. E aiuterebbe le tante categorie con i contratti ancora aperti. I metalmeccanici, infine, raggiungendo un risultato sulle non poche «voci» dei loro capitoli rivendicativi (dai diritti d’informazione, ai diritti per i precari) farebbero un buon passo avanti. E potrebbero in qualche modo salutare con maggiore orgoglio quei loro compagni della ThyssenKrupp ricordati anche i nei cortei di ieri. Magari accogliendo l’appello del presidente della Repubblica, per dire: «Non si dovrà ripetere più un tale scempio di vite umane».

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