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Mediazione, la cultura del PD (intervista a Bersani)
17.01.2008
«Per mescolarci serve un Partito democratico in cui circolino idee e si produca pensiero»
Chiara Geloni intervista il ministro Pierluigi Bersani su Europa Quotidiano del 16 gennaio 2007

«Credo che sia arrivata l’ora di intenderci »: Pierluigi Bersani si rilassa su una poltrona del suo ufficio al ministero dello sviluppo economico e affida a Europa un lungo ragionamento sullo stato del Partito democratico.
«Con questa disputa tra chi è moderno e chi è antico non andiamo da nessuna parte. Io per esempio ho in testa un partito che non c’è in nessun posto, non mi sento proprio un conservatore. Penso però che se produciamo un partito insostenibilmente leggero, magari con qualche meccanismo neoautoritario, noi facciamo un danno a questo paese. Va bene nuovo, però che sia un partito che riesce a fare una riunione sull’emergenza rifiuti, o al nord su Malpensa, in cui determina qualche elemento coesivo e di direzione di marcia della società.
È l’utilità che può avere un partito nazionale: se no, non serve».

Cosa vede accadere, invece?
Assistiamo al riprodursi – rischioso in questo momento – dei posizionamenti precedenti, e delle appartenenze non solo di partito ma perfino di componente. Non va bene, sono d’accordo con Veltroni: bisogna mescolarsi. Ma perché non succede? Perché, per motivi almeno fin qui comprensibili, noi non abbiamo lavorato su piattaforme politico culturali. E senza un dibattito sulle idee, una mossa del cavallo dal punto di vista del pensiero, mescolarsi è impossibile. La materia prima della politica è il pensiero, i rapporti di forza sono uno strumento, non la politica. Allora noi dobbiamo preoccuparci di trovare il modo di ragionare su nuovi orizzonti politico culturali e di avere un contenitore coerente, cioè un partito che viva di questo confronto. L’alternativa è o il correntismo o il partito personale. Neanche il leaderismo, perché essere leader presuppone una battaglia di pensiero, che tu vinci con la novità dei contenuti.

Ma come, lei viene dipinto da tutti come il capo di quella che forse è la più grande delle correnti del Pd...
Io sto solo occupandomi di che partito facciamo. Con tutta l’intenzione, una volta che l’avremo fatto, di dare il mio contributo nella produzione di questo nuovo pensiero e quindi anche nell’organizzazione di forme politico culturali che si mettono a confronto.
Ma non è questo il tema di oggi, il tema di oggi è che partito facciamo. Se non sarà come sto dicendo, anche per me c’è un punto interrogativo: perché non mi piace né il correntismo né il personalismo. Sentirei di trovarmi in uno strano luogo. Fino a che punto è possibile mescolarsi? Da dove si comincia? Dai fondamentali: c’è il grande terreno economico sociale. Serve una sintesi tra programmi sociali, solidali, popolaristici e interpretazione del mercato. Lì dobbiamo rimescolare cose vecchie e tirarne fuori di nuove, perché è possibile una sintesi, che per me è un’evoluzione di tutti i concetti di sinistra: perché c’è stata una sinistra liberale, una sinistra cattolica, una sinistra socialista. Per questo parlo del Pd come del campo di una nuova grande sinistra democratica, fatta di nuovo pensiero, senza lasciare incustoditi valori fondamentali.

E sulle cosiddette questioni etiche?
C’è una grande ammucchiata di cose diverse.
Un conto sono le questioni etiche, un conto i diritti civili, un conto lo statuto delle religioni, un conto l’autonomia della politica, il suo ruolo, i suoi limiti. Che sia difficile delimitarle è vero, ma che siano la stessa cosa no. E dobbiamo cominciare da qui se non vogliamo arrivare a una totale confusione di linguaggi.

<Il Pd dovrà limitarsi a definire un metodo o avere l’ambizione di trovare una sintesi anche sui contenuti?
Riordiniamo le idee: primo classificazione, secondo metodo, terzo contenuto. Classificazione: possiamo dare per scontato che appartengono alla sfera etica le questioni che riguardano la manipolazione della vita e dell’umano, e così qualcosa di cui nessuno parla più, il dominio della tecnica sull’uomo: cito il filosofo Reale sul caso Welby, e sono d’accordo con lui.
Estendo ancora: i grandi patti formativi e educativi, una formazione non ancora compiuta a fronte del bombardamento dell’informazione e dei messaggi, pongono problemi di questo genere. Però bisogna anche riconoscere che molti dei temi che nella storia dell’umanità abbiamo attribuito alla dimensione etica si sono spostati sul terreno delle libertà, della responsabilità e dei diritti civili.

Per esempio?
Oggi siamo arrivati tutti a dire che lo stupro non è un delitto contro la morale, ma contro la persona. Ma ci siamo arrivati da trent’anni, non da tremila. C’è un dinamismo, e va riconosciuto. Altro esempio: uno stato che non riesce a regolare in modo diverso da quello della famiglia il concetto di convivenza è uno stato impotente.
Secondo, metodo.
La politica deve prendere decisioni per tutti, che saranno transitorie e fallibili, perché c’è un incedere continuo della scienza che sposta e falsifica la decisione precedente; e sono campi su cui è molto problematico avere sufficiente informazione e consapevolezza. A fine 800, quando c’era carenza di informazione e di conoscenza, non c’era internet e i giornali erano pochi, il parlamento prima di fare una riforma impegnativa – lo abbiamo visto di recente occupandoci di farmacie – faceva inchieste. Andavano in giro per il paese, vedevano, ascoltavano, riferivano. Il Pd potrebbe proporre l’organizzazione di una discussione pubblica, a tempi dati, con una vasta platea di soggetti interessati, sottraendo queste decisioni alle strumentalizzazioni politiche. Né la secchezza di un referendum, da cui la gente si sottrae, né il meccanismo fazioso di chi alza una mano in più in parlamento. Un procedimento rassicurante che dica al paese: la decisione che prendiamo è transitoria, la prendiamo assieme sentiti tutti i pro e i contro. Altro che metodo bipartisan, io dico qualcosa di più: un sistema di decisione rafforzata da un metodo istituzionale di discussione pubblica.

Ma come si fa? La politica, lei l’ha detto spesso, deve stare al passo di un mondo sempre più veloce...
Sarebbe curioso, noi che ci mettiamo due anni per fare una legge su una banalità, non accettare di mettercene uno per temi di questo tipo.
Siamo nell’ordine del ragionevole. Poi il parlamento si può dare vie preferenziali e prioritarie.
Terzo, contenuto: se dopo l’inchiesta restano invincibili obiezioni di coscienza il Pd cosa fa?
Attenzione, perché di qui si arriva alla privatizzazione coscienziale della politica, rendendola inutile, perché la politica deve caricarsi della responsabilità di decidere. Poi si potrà avere un dissenso, e il partito dovrà regolare qual è il grado accettabile di dissenso. Ma non generalizziamo il fatto che di fronte ai temi etici tutti innalzano la libertà di coscienza.

In questo periodo uno come Cacciari serve alla grande... Perché?
Stiamo diventando tutti filosofi da strapazzo, nessuno fa più il politico: incredibile. Dibattiti su cosa vuol dire laico, sul rilievo pubblico della religione: facciamo ridere. Sono alcune migliaia d’anni che con alti e bassi diamo per scontato il rilievo pubblico della religione. Dico di più: c’è stata la singolare eccezione, in Italia e non altrove, di un partito talmente capace di mediazione da avere quasi oscurato la questione. Ma quella era la forza della Dc, non la storia che abbiamo alle spalle da Costantino in poi. Come è banale dire che i principi in quanto tali non sono negoziabili: è la politica che deve mediare le derivate dei principi, è lì apposta. E sta invalendo una singolare teoria.
Cioè? Siccome il tema di oggi è la bioscienza e quindi la manipolazione dell’uomo, si dice che il problema è antropologico e quindi non negoziabile. Se è così, possiamo andarcene tutti a casa. Io penso esattamente il contrario: proprio perché siamo di fronte al tema antropologico, la responsabilità della politica e l’esigenza di decisioni mediate e transitorie è fondamentale. E mi colpisce come un cazzotto che la teoria della non negoziabilità si faccia strada nel luogo del mondo dove ci sono gli umanesimi più forti, quello laico e quello cristiano, entrambi scaturiti dalle radici cristiane dell’Europa. Dove c’è un concetto di Dio-persona, a differenza che in altre parti del mondo. Se non lo troviamo qui in Europa un elemento di mediazione da dove arriverà? Quando sento Ferrara dire facciamo la moratoria sull’aborto perché in Cina, in India... Ma non gli sembra che la moratoria mondiale potrebbe essere, con tutte le esigenze di riflessione e aggiornamento, che riconosco, una legge come la 194, che ha dimezzato gli aborti?

Che effetto le fa il papa costretto a rinunciare a parlare all’università?
Mi spiace molto, e mi dà un brivido nella schiena per dove siamo arrivati. Se non è l’università il luogo dove tutti parlano... Lo dico da laico, l’università è il luogo della libertà. Capisco che la presenza della Chiesa nel dibattito pubblico susciti reazioni, ma qui siamo al paradosso.

Tornando al Pd: la sua ricetta in sintesi.
Mescolamento e mediazione. E voglio dirlo: il grumo culturale intorno al quale organizzare e rendere credibile questo metodo è la cultura cattolico democratica, che è allenata a rendere compatibili i principi con una rischiosa mediazione e un’assunzione di responsabilità. Se si disperde questa esperienza è un danno. Che l’Avvenire legga la vicenda dei Sessanta come quella di nuovi indipendenti di sinistra è assurdo. Io mi auguro che invece di risolversi in un posizionamento correntizio, questa cultura sia il sale della terra di una cosa nuova. Che venga a dire al Partito democratico, di fronte ai nuovi problemi, cosa c’è da fare. La Dc non lavorava sulle coscienze, sapeva che la sua sfida era diversa, aveva un metodo. Organizzino loro, i cattolici democratici, un convegno su questi temi: classificazione, metodo, contenuti, responsabilità e autonomia della politica. Io, se mi invitano, ci vado. Perché loro hanno il fisico, e possono aiutare il Pd: senza un pensiero, ripeto, non ci si mescola.

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