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Intervento del Presidente della Repubblica alle Camere |
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23.01.2008
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
IN PARLAMENTO RIUNITO IN SEDUTA COMUNE IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DEL 60° ANNIVERSARIO DELLA COSTITUZIONE
CAMERA DEI DEPUTATI - 23 GENNAIO 2008
Lo svolgersi di questa cerimonia nonostante il momento di acuta crisi
e incertezza politica che il paese sta vivendo, vale a sottolineare la
distinzione e autonomia del tema costituzionale dalle alterne vicende
dei partiti, delle maggioranze e dei governi. E mi si lasci aggiungere
che conoscendo i motivi di inquietudine e di sfiducia che serpeggiano
tra i cittadini, è confortante poter guardare tutti, senza spirito di
parte, a un grande quadro di riferimento unitario come quello che
l'Italia si diede con la Costituzione del 1948.
La ricorrenza dell'entrata in vigore di quella Carta non è d'altronde
mai stata, di decennio in decennio, una mera occasione celebrativa.
Ci sono date che rimangono consegnate alla storia del paese,
scandendone in modo significativo il divenire: esse vanno ricordate e
valorizzate al fine di coltivare tra gli italiani la coscienza del
comune passato storico. Ma la data del 1° gennaio 1948 è altro :
perché ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è
vivo e ha un futuro - una tavola di principi e di valori, di diritti e
di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del
nostro stare insieme animando una competizione democratica senza
mettere a repentaglio il bene comune.
Il processo risorgimentale, il movimento per l'unità d'Italia, ebbe
per compimento lo Stato nazionale, che assunse i lineamenti di uno
Stato liberale ma senza il presidio di una Costituzione votata dai
rappresentanti del popolo che prendesse il posto dello Statuto
albertino concesso "per volontà sovrana". Fu - dopo la rottura
autoritaria del ventennio fascista - con il voto e con la scelta
repubblicana del 2 giugno 1946, che l'Italia unita giunse all'approdo
del costituzionalismo. Da allora si può ben dire - mi sia consentito
di richiamare quest'espressione del messaggio da me rivolto al
Parlamento nel giorno del giuramento - che "l'unità costituzionale" si
è fatta "sostrato dell'unità nazionale". E' tale convinzione che mi
guida anche nel considerare il dibattito attuale sui temi
istituzionali.
Già a sessant'anni dal voto del 2 giugno 1946, abbiamo avuto modo di
rievocare "l'età della Costituente", che si snodò attraverso le tappe
importanti della Consulta nazionale e dell'attività del Ministero
della Costituente per sfociare negli intensi lavori dell'Assemblea
Costituente eletta il 2 giugno a suffragio - per la prima volta -
universale, e infine, il 22 dicembre 1947, nell'approvazione - a
larghissima maggioranza - della Costituzione. Fu quella una delle
stagioni più altamente costruttive e creative della nostra storia
nazionale.
Il risultato cui si giunse fu possibile grazie a un confronto
eccezionalmente ricco e approfondito e alla graduale confluenza - al
di là dei contrasti e dei momenti di divisione che certamente non
mancarono - tra le diverse correnti storico-culturali e politiche
rappresentate nell'Assemblea Costituente. Appare ormai oziosa la
disputa sul termine con cui definire quel risultato : se lo si
definisce "compromesso", con ciò intendendo l'accordarsi su un'ibrida
composizione di orientamenti divergenti e inconciliabili, non si
coglie quel che nella Costituente vi fu di ascolto reciproco, di
scambio e di avvicinamento sul piano ideale, di riconoscimento di
istanze e sensibilità comuni ; quel che vi fu di paziente ricerca di
punti d'incontro e di soluzioni condivisibili, di accettazione degli
esiti alterni della prova del voto su materie controverse, e dunque di
spirito di moderazione e di senso della missione.
Ed è perché così nacque la Costituzione, che essa ha potuto presiedere
nel corso dei decenni a quella complessiva grande trasformazione che
ha fatto dell'Italia un paese moderno e altamente sviluppato ; e ha
potuto reggere a tante tensioni politiche e sociali, a tante nuove
sollecitazioni e domande.
Sulle scelte che nel lungo periodo trascorso dall'entrata in vigore
della Carta costituzionale hanno concretamente caratterizzato l'azione
dello Stato e la crescita della società italiana, si sono via via
espressi giudizi critici, anche radicalmente critici, e restano accese
le controversie su non poche valutazioni di merito e d'insieme.
Ma non
ha senso imputare alla Costituzione errori e distorsioni che hanno
rappresentato il frutto di una complessa dialettica politica. Occorre
fare bene attenzione a non confondere indirizzi costituzionali e
scelte politiche, responsabilità politiche. Da questa distinzione, e
da un'analisi obbiettiva, emerge la vitalità dimostrata in
sessant'anni dalla Costituzione, dai suoi principi e indirizzi
fondamentali : anche dopo che lo scenario politico è radicalmente
mutato.
Nessuna delle forze politiche che parteciparono all'elaborazione della
Carta costituzionale e che si contrapposero aspramente all'indomani
della sua entrata in vigore, è rimasta in vita uguale a se stessa.
Dalla crisi che ha investito, tra la fine degli anni '80 e l'inizio
degli anni '90, il sistema dei partiti, e dall'avvio di una democrazia
dell'alternanza, è scaturito un quadro di forze che in quanto
competono per il governo del paese si riconoscono naturalmente nella
Costituzione. Questa rappresenta più che mai - nella sua comprovata
validità - un patrimonio comune. Nessuna delle forze oggi in campo può
rivendicarne in esclusiva l'eredità , né farsene strumento nei
confronti di altre. Possono solo tutte insieme richiamarsi ai valori e
alle regole della Costituzione, e insieme affrontare anche i problemi
di ogni sua specifica, possibile revisione.
Al centro del dibattito, nei primi decenni successivi all'entrata in
vigore della Costituzione, si sono, in effetti, posti i problemi della
sua attuazione. E molto si è detto sulla lentezza nonché su taluni
aspetti di tale attuazione, non sempre apparsi convincenti.
Poi, la riflessione si è venuta spostando sull'evoluzione che ha
conosciuto la nostra realtà costituzionale. Tale evoluzione si è
compiuta innanzitutto grazie all'approvazione, nel corso di lunghi
anni, da parte del Parlamento, di leggi che hanno fatto vivere
importanti principi sanciti in Costituzione : come quelle a tutela
della salute quale "fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività ", o sullo Statuto dei diritti dei lavoratori, o sul
diritto di famiglia. Non meno forte è stato l'impulso venuto via via
dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha svolto una
funzione insostituibile garantendo sia il rigoroso rispetto del
dettato della Costituzione sia la sua apertura a nuove realtà ed
esigenze. Un'apertura consentita dalla sapienza dei costituenti che -
come nei suoi commenti osservò il maggior studioso protagonista
dell'Assemblea - condusse a formulazioni che lasciassero "aperto
l'adito all'accoglimento di significati non previsti né prevedibili al
momento dell'emanazione" della norma costituzionale.
Il contributo evolutivo che è venuto in tal senso dalla Corte si è
intrecciato con il fenomeno, davvero determinante, del processo di
integrazione europea in cui l'Italia si è impegnata e riconosciuta fin
dagli anni '50, nel solco di un'ispirazione straordinariamente
anticipatrice come quella dell'articolo 11 della Costituzione ; al
quale è di recente seguita, col nuovo articolo 117, la piena
assunzione dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali". I Trattati europei, le Carte dei principi e
dei valori della Comunità e poi dell'Unione europea, hanno costituito
una fonte preziosa di conferma e di arricchimento degli indirizzi
caratterizzanti la nostra Carta costituzionale.
Il più profondo elemento di identificazione tra la nostra Carta e
l'orientamento dei Trattati europei può rintracciarsi nella concezione
del primato della persona, del suo svolgimento e sviluppo su basi di
libertà e di eguaglianza, della sua dignità come fondamento dei
diritti dell'uomo e del cittadino. E se nella Costituzione italiana è
mirabilmente definito, a partire dai "Principi fondamentali",
l'insieme dei diritti di libertà , dei diritti civili e sociali da
affermare, va salutato in piena coerenza con la visione dei nostri
Costituenti l'apporto delle Carte internazionali dei diritti e
specialmente di quelle europee. Anche il Parlamento italiano sarà tra
breve chiamato a ratificare il Trattato di recente sottoscritto a
Lisbona, che sancisce nello stesso tempo l'adesione dell'Unione alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, già presidiata
dalla Corte di Strasburgo, e il valore giuridico della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione del dicembre 2000.
Anche formulazioni della prima parte della Costituzione del '48 come
quelle relative ai "rapporti economici", che in tempi recenti sono
state oggetto in modo particolare di valutazioni polemiche, ricevono
nuova luce dai Trattati europei sottoscritti dall'Italia. Il principio
della libertà dell'iniziativa economica privata, che apre l'articolo
41, è stato non smentito ma arricchito dallo svolgimento che ha avuto
con la nascita della Comunità europea, incentrata sulle "quattro
libertà " poste a base della costruzione del Mercato Comune, e sulle
regole, sempre più stringenti, di tutela della concorrenza.
Si guardi egualmente all'affermazione, nella Carta del '48, del
principio di una comune responsabilità sociale e di un corrispondente
ruolo dei pubblici poteri : quel principio, comune ad altre, coeve
Costituzioni europee, fu suggerito dall'evoluzione del pensiero
economico e delle politiche pubbliche in Occidente a partire dagli
anni '30 del Novecento. Ed esso da ultimo si è rispecchiato
nell'assunzione - nel Trattato costituzionale e ora in quello di
Lisbona - della "economia sociale di mercato" come quadro di
riferimento di una politica europea di sviluppo sostenibile.
A suggello di questa vera e propria integrazione tra gli indirizzi
della Costituzione repubblicana e quelli dei Trattati europei, è stata
da lungo tempo posta l'affermazione - da parte della Corte
Costituzionale - della primazÃa del diritto comunitario. Nello stesso
tempo, la nostra Carta è entrata a far parte del "patrimonio
costituzionale comune" riconosciuto e valorizzato dalla Corte di
giustizia europea.
Non a caso dunque, nemmeno negli ultimi decenni di intenso confronto
sul tema delle riforme istituzionali, è stato portato avanti alcun
progetto di revisione della prima parte della Costituzione
repubblicana, né dei suoi "Principi fondamentali". Il confronto si è
concentrato sulla seconda parte della Carta, sull' "ordinamento della
Repubblica". D'altronde, la Carta del '48 non è mai stata considerata
un tutto intoccabile. Si dimentica talvolta che in questi
sessant'anni - tra il 1963 e il 2005 - sono stati modificati,
sostituiti, aggiunti 38 articoli o commi della Costituzione.
Nella
prima parte, l'articolo in cui è stato introdotto il "diritto di voto
dei cittadini residenti all'estero", e, più di recente, l'articolo nel
quale è stato inserito il comma sulle "pari opportunità tra donne e
uomini". Nella seconda parte della Costituzione, l'intero Titolo V, e
articoli di particolare significato e rilievo come quello che ha
sancito, nel 1999, i principi - vale la pena di ricordarlo - del
giusto processo.
Sull'ordinamento della Repubblica, il Parlamento è dunque intervenuto,
attraverso apposite leggi costituzionali, ripetutamente, in
legislature lontane e vicine ai nostri giorni. Ma ben al di là di ciò
si è più volte aperto il confronto su revisioni di assai più ampia
portata, tali da investire anche la forma di governo disegnata nella
Costituzione del '48. A questo proposito risulta ancor oggi indicativo
il progetto presentato nel 1994 dalla Commissione bicamerale allora
presieduta dall'on. Iotti. Indicativo nel senso che esso si riallacciò
a posizioni già emerse nel dibattito svoltosi in seno all'Assemblea
Costituente.
Non sfuggì infatti, in quel dibattito, il rischio che l'ordinamento
della Repubblica presentasse il punto debole di un'insufficiente
garanzia della stabilità dell'azione di governo : stabilità legata
anche - come l'esperienza politica e istituzionale dei decenni
successivi avrebbe meglio chiarito - al grado di efficacia dei
processi decisionali. Si è richiamato e si richiama, nelle discussioni
su questi temi, come particolarmente significativa l'approvazione
largamente maggioritaria, nel settembre 1946, da parte dell'apposita
Sottocommissione dell'Assemblea Costituente, dell'ordine del giorno
Perassi. Se ne è ricordata la formulazione severamente ammonitrice :
ci si pronunciò "per l'adozione del sistema parlamentare da
disciplinarsi tuttavia con dispositivi costituzionali idonei a
tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di governo e ad evitare
le degenerazioni del parlamentarismo". Ma quei "dispositivi" non
vennero adottati dai Costituenti per preoccupazioni e ragioni - legate
a quella fase politica - che in sede di analisi storica si è cercato
di ricostruire.
Il filo di quell'approccio sarebbe stato ripreso solo molti decenni
dopo, con le proposte contenute - come ho appena ricordato - nel
progetto di riforma del 1994, il primo sottoposto al Parlamento dopo
le ampie discussioni e conclusioni della precedente Commissione Bozzi.
E' tuttavia un dato di fatto che tale progetto, per circostanze
politico-istituzionali ben note, non poté essere discusso e votato
nelle Assemblee di Camera e Senato, pur avendo ottenuto un ampio
consenso in Commissione.
Ed è un dato di fatto, ancor più rilevante, l'accantonamento che
alcuni anni più tardi toccò in sorte ad altro, più ambizioso progetto
di revisione della seconda parte della Costituzione, elaborato nel
1997 dalla Commissione bicamerale presieduta dall'on. D'Alema ed
esaminato in Assemblea dalla Camera dei Deputati tra il gennaio e il
maggio del 1998. Se si considera come al mancato coronamento di quello
sforzo pur dispiegato con grande dispendio di energie e ricchezza di
contributi, e in uno spirito di ricerca della più larga unità , sia
seguita la vicenda della legge di modifica della parte seconda della
Costituzione approvata nel 2005 dal Parlamento a maggioranza ma
respinta nel successivo referendum popolare confermativo, è giocoforza
trarne alcune conclusioni.
Innanzitutto, sono risultate non sufficientemente riconosciute le
esigenze, e non mature le condizioni, di un'opera di complessiva
riscrittura del testo costituzionale sull'ordinamento della
Repubblica. E' questa una constatazione oggettiva, che prescinde da
ogni valutazione polemica sulle posizioni e sulle responsabilità dei
diversi schieramenti politici.
Nello stesso tempo, risulta perfettamente comprensibile e perseguibile
l'intento di procedere alla revisione di specifiche norme
costituzionali, che si giudichino non più rispondenti ad esigenze di
corretta ed efficace articolazione dei poteri nel sistema delle
istituzioni repubblicane.
Tali esigenze non possono essere negate né minimizzate. E' vero che a
partire dall'inizio degli anni '80 si adottarono modifiche nei
regolamenti parlamentari, mentre altre sono successivamente
intervenute nella prassi, che hanno accresciuto le garanzie per un più
tempestivo e sicuro svolgimento dell'azione di governo, per un più
sostenibile equilibrio tra prerogative del Parlamento e diritto-dovere
di governare. Ma non c'è dubbio che restino e si manifestino squilibri
e distorsioni, fattori di confusione e di tensione su diversi piani -
nei rapporti tra legislativo ed esecutivo, ed anche nei rapporti tra
istituzioni centrali ed istituzioni regionali e locali : si è di
queste ultime potenziata l'autonomia, allargata l'area di
responsabilità e di decisione, superando un vecchio modello di Stato
accentrato, ma senza trarne tutte le conseguenze. Ebbene, è innegabile
che alle diverse persistenti contraddizioni e inadeguatezze
dell'ordinamento della Repubblica si possa porre riparo solo
intervenendo su alcune disposizioni della seconda parte della
Costituzione.
Ho perciò più volte auspicato che in quella direzione le forze
politiche si impegnassero avviando un realistico confronto - nella
ricerca del necessario e possibile consenso - su talune, essenziali e
ben delimitate proposte di riforma dell'ordinamento costituzionale.
Proposte che abbiano loro ragioni, di più lungo periodo, rispetto a un
distinto e parallelo cammino - che pure ho auspicato - di riforma
elettorale. Più in generale, ogni discorso sulla Costituzione deve
prescindere da calcoli contingenti, caratterizzarsi per la sua
autonomia e la sua ponderazione.
Naturalmente, qualsiasi posizione culturale o politica favorevole a
più drastici mutamenti del modello di riferimento della seconda parte
della Costituzione repubblicana, può essere legittimamente sostenuta
nel dibattito pubblico. Ma siffatti eventuali mutamenti vanno colti e
prospettati nella loro complessità ; le loro implicazioni e le loro
incognite non possono essere eluse, ed è bene rifuggire -
nell'ipotizzarli - da semplificazioni e miracolismi.
Un problema di equilibri istituzionali si pone comunque in un sistema
democratico. Nell'unico paese europeo in cui sia stato introdotto il
regime semi-presidenziale, con l'elezione di un Capo dello Stato
partecipe dell'esercizio di poteri di governo, è oggi in corso un
processo di riforma dettato anche dal riconoscimento di una carenza
di "contropoteri", e dunque rivolto, tra l'altro, al "riequilibrio
delle istituzioni", al rafforzamento del ruolo del Parlamento, al
riconoscimento del ruolo dell'opposizione. E negli Stati Uniti, nel
sistema presidenziale per eccellenza, opera un forte Parlamento, opera
un insieme di controlli e bilanciamenti che ha fatto grande la
democrazia americana.
In realtà , dovunque, quale che sia il quadro istituzionale, la
speditezza del processo decisionale è chiamata a fare i conti con la
realtà dei conflitti e dei rapporti di forza politici. Se per l'Italia
la via concretamente perseguibile, la più ponderata e saggia è -
secondo l'opinione di molti - quella di un riequilibrio entro la forma
di governo parlamentare, si deve essere ben consapevoli del fatto che
la stabilità dei governi e la tempestività delle decisioni anche
legislative, resteranno sempre legate in non lieve misura al livello
di aggregazione e di coesione tra le forze politiche che si alternano
alla guida del paese, al loro grado di rappresentatività , alla loro
autorevolezza.
La ricorrenza del 60° anniversario dell'entrata in vigore della
Costituzione ci sollecita a un grande impegno comune per porre in
piena luce i principi e i valori attorno ai quali si è venuta
radicando e consolidando l'adesione di grandi masse di cittadini di
ogni provenienza sociale e di ogni ascendenza ideologica o culturale
al patto fondativo della nostra vita democratica. Quei principi vanno
quotidianamente rivissuti e concretamente riaffermati : e, ben più di
quanto non accada oggi, vanno coltivati i valori - anche e
innanzitutto morali - che si esprimono nei diritti e nei doveri
sanciti nella Costituzione. Nei doveri non meno che nei diritti.
Doveri, a cominciare da quelli "inderogabili" di solidarietà politica,
economica e sociale, che debbono essere sollecitati da leggi e da
scelte di governo, ma debbono ancor più tradursi in comportamenti
individuali e collettivi.
Non posso non rilevare come invece troppi siano oggi i casi di non
osservanza delle leggi e delle regole, di scarso rispetto delle
istituzioni ma anche di scarso senso del limite nei rapporti tra le
istituzioni, di indebolimento dello spirito civico e, in ciascuno, del
senso delle proprie responsabilità . Così come non posso non esprimere
allarme per ogni smarrimento di valori essenziali come quello della
tolleranza e della libertà di confronto tra diverse posizioni di
pensiero e ideali. Da tutto ciò traggo più che mai l'incitamento a un
forte ancoraggio nei principi e nello spirito della Costituzione nata
sessant'anni orsono.
Signori Presidenti,
onorevoli parlamentari,
Signore e Signori,
l'Italia vive, insieme con l'Europa, tutte le incognite, le sfide e le
tensioni del mondo che ci circonda, con le sue molteplici, incalzanti
trasformazioni. E' mia convinzione - da voi, ne sono certo,
sostanzialmente condivisa - che non manchino al nostro paese le forze
per superare le prove di questa fase storica e di questo cruciale
momento. E' però necessario porre mano a quel rinnovamento della vita
istituzionale, politica e civile, in assenza del quale la comunitÃ
nazionale, in tutte le sue parti, sarebbe esposta a crisi gravi.
La condizione del successo è in un concorso di volontà , che non può,
non deve mancare. Un concorso di volontà più forte di tutte le ragioni
di divisione, pur nello svolgimento di una libera dialettica politica
e sociale. Ci unisce e ci incoraggia in questo sforzo la grande,
vitale risorsa della Costituzione repubblicana. Non c'è terreno comune
migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo
costituzionale. E', questa, la nuova, moderna forma di patriottismo
nella quale far vivere il patto che ci lega : il nostro patto di unitÃ
nazionale nella libertà e nella democrazia.
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