Sono passati ormai trent’anni dall’assassinio politico-mafioso di Peppino Impastato e 29
dalla manifestazione nazionale contro la mafia che abbiamo organizzato a Cinisi in
occasione del primo anniversario della sua morte.
Non possiamo dire che da allora nulla sia cambiato; abbiamo raggiunto obiettivi
importanti con il nostro impegno e con la lotta quotidiana che abbiamo condotto io, mia
madre, i compagni di Peppino, Umberto Santino e Anna Puglisi fondatori del Centro
siciliano di documentazione di Palermo, successivamente dedicato a Peppino, seguiti da
una parte della sinistra e dei movimenti legati alla nostra storia e alla nostra lotta.
Abbiamo affrontato un lungo percorso di fatica e di sofferenza che ci ha portato anche a
sperimentare l’amarezza e la rabbia quando abbiamo toccato con mano le collusioni tra la
politica, le istituzioni e la mafia.
Il lavoro di memoria e le attività portati avanti in questi anni sono stati difficili, ma non
certo inutili: hanno contribuito a sviluppare una coscienza antimafiosa nelle nuove
generazioni che hanno recepito positivamente il nostro messaggio.
Il pensiero, le idee di Peppino e la sua esperienza di militante comunista che guardava
tutte le sfaccettature della realtà lo conducevano a partire dal basso, riprendendo la linea
delle lotte contadine, anticipando i tempi e accelerando un processo di crescita e di presa
di coscienza rispetto al pericolo costituito dalla mafia, fino ad allora volutamente
sottovalutato: la sua era una vera e propria lotta di classe contro un sistema criminale
basato sullo sfruttamento e sulla sopraffazione.
Non è stato facile per lui, così come non è stato facile per noi: abbiamo raccolto la sua
eredità e siamo andati avanti, cercando di continuare giorno dopo giorno per costruire un
progetto di antimafia sociale che partisse dall’esperienza di Peppino, dalle sue lotte nel
territorio contro la speculazione edilizia, contro la disoccupazione, a fianco dei contadini
di Punta Raisi che venivano affamati dall’esproprio delle proprie terre.
Peppino era in prima fila a Palermo nelle lotte studentesche del 1968 e nei movimenti del
1977, sempre alla ricerca di metodi innovativi, sfruttando al meglio con la sua fantasia e la
sua passione i poveri mezzi di comunicazione che aveva a disposizione.
Facendo tesoro delle sue scelte e del suo percorso nel 1979 abbiamo sfilato per le troppo
silenziose strade di Cinisi nella prima manifestazione nazionale contro la mafia,
organizzata da Radio Aut, dal Centro di documentazione di Palermo, assieme ai
compagni di Democrazia Proletaria e a quella parte di movimento che era rimasta
profondamente colpita dall’uccisione di Peppino. Eravamo in duemila: persone che
venivano da ogni parte d’Italia, con un misto di rabbia, dolore, determinazione ed
entusiasmo per i nuovi contenuti che portavamo in piazza.
La mafia non era più un fenomeno locale, circoscritto alla Sicilia, ma un fenomeno che
aveva invaso pericolosamente tutto il territorio nazionale, coniugandosi con ogni forma di
speculazione, di corruzione, di collusione con le istituzioni e con il potere politico ed
economico, accumulando grandi masse di capitale con il traffico di droga che provocava
migliaia di morti per overdose.
Siamo stati poi catapultati in una situazione pesante; ci siamo scontrati con una realtÃ
drammatica: la mafia aveva alzato il tiro uccidendo chiunque tentasse di ostacolare il suo
processo di espansione. Giudici, poliziotti, politici, militanti della sinistra, giornalisti, tutti
ammazzati uno dopo l’altro in una mattanza che è durata molti anni, troppi, ed è
culminata con la strategia dello stragismo.
Abbiamo vissuto tutto questo sulla nostra pelle mentre eravamo impegnati nella ricerca
della verità e non solo riguardo l’omicidio di Peppino, denunciando e mettendo in
evidenza gli ostacoli più turpi, quelli più dilanianti, quelli causati dalla collusione mafiosa
con una parte delle istituzioni.
Le vicende giudiziarie riguardo il "caso Impastato" lo dimostrano: forze dell’ordine,
magistrati, politici hanno tentato in tutti i modi di non farci arrivare alla giustizia,
orchestrando un depistaggio vergognoso e tacciando Peppino di essere un terroristasuicida.
Non ci sono riusciti.
Parlare di legalità oggi significa anche riportare alla luce la versione veritiera di quanto è
accaduto a Peppino e più in generale dal dopoguerra in poi, da quei grandi movimenti di
liberazione che furono la Resistenza antifascista e il Movimento contadino. Le stragi di
stato e le trame nere hanno insanguinato il nostro paese: Portella della Ginestra, le bombe
nelle camere del lavoro, l’eliminazione di circa 40 sindacalisti e militanti della sinistra, il
piano Solo, Piazza Fontana, il golpe Borghese, Piazzale della Loggia, l’Italicus, il sequestro
Moro, il ruolo di Gladio, la stazione di Bologna, il Rapido 904 ed altri eventi sono tappe
fondamentali nel nostro vissuto, nel vissuto di un paese costretto con la violenza a
rispettare gli equilibri e gli accordi internazionali e bloccato nel suo processo di
rinnovamento.
La repressione del sistema è scattata costantemente e in maniera scientifica ogni qualvolta
si è cercato di apportare dei cambiamenti nel sistema sociale e ogni qualvolta il regime
democristiano è stato messo in crisi. L’intolleranza rispetto ad una vittoria delle sinistre
alle elezioni e alla loro avanzata ha scatenato la violenza del potere reazionario e dei
gruppi fascisti contro ogni tutela democratica.
Non parliamo di vicende remote e lontane nel tempo: ancora oggi pesano le impunitÃ
delle azioni criminali fasciste dovute alle coperture e complicità istituzionali, ed è per
questo che è necessario insegnare l’antifascismo nelle scuole come uno dei pilastri
fondamentali della nostra Costituzione.
Negli ultimi anni la violenza di Stato ha attaccato i movimenti di lotta sociale, come è
accaduto a Napoli e a Genova in occasione del G8, riapplicando lo stesso schema e le
stesse strategie repressive che hanno coinvolto istituzioni, gruppi dell’estrema destra,
servizi segreti e mafia.
Ecco perché bisogna gettare luce anche su alcuni lati oscuri dell’omicidio di Peppino: dai
processi è venuta fuori solo una verità parziale, anche se fondamentale, una grande
vittoria, ma non le motivazioni che hanno condotto al depistaggio. La Relazione della
Commissione parlamentare antimafia sul "caso Impastato" ha ricostruito le dinamiche e le
responsabilità del depistaggio, ma i responsabili sono rimasti impuniti.
Oggi, a distanza di tanti anni da quei fatti, viviamo una realtà che non si è affatto
riassestata. Il sistema mafioso prolifera e i conflitti sociali non si sono mai assopiti: per far
fronte alle degenerazioni della società , da cui scaturiscono le fortune politiche di
personaggi come Berlusconi e di tanti altri, i movimenti continuano a mettere in pratica
l’impegno dal basso ricoprendo un ruolo centrale nel mantenere viva
l’autodeterminazione dei cittadini. È arrivato, però, il momento che acquisiscano una
maggiore consapevolezza sulla centralità dell’impegno nella lotta alla mafia.
Bisogna rendesi conto che dopo il crollo del cosiddetto "socialismo reale" viviamo in una
sistema di globalizzazione capitalistica, poco importa se la definizione più giusta sia
imperialista o imperiale, che ricicla anche le forme più primitive di schiavitù, rilancia la
guerra come forma di imposizione del dominio, rinfocola fanatismi e terrorismi, impone la
dittatura del mercato e vuole cancellare le conquiste del movimento operaio,
approfondisce squilibri territoriali e divari sociali, emarginando la stragrande
maggioranza della popolazione mondiale, esalta la finanziarizzazione speculativa. In
questo quadro le mafie si moltiplicano, con fatturati del cosiddetto "crimine
transnazionale" che raggiungono più di mille miliardi di dollari, e con la formazione di
veri e propri Stati-mafia.
Le analisi condotte in questi anni dal Centro Impastato di Palermo, da La borghesia mafiosa
a Mafie e globalizzazione, si sono dimostrate le più aderenti alla realtà .
I movimenti noglobal degli ultimi anni rappresentano una forma di resistenza al
neoliberismo e al pensiero unico ma non hanno sviluppato un’analisi adeguata del ruolo
delle mafie nel contesto attuale.
Nel nostro Paese le mobilitazioni di questi ultimi mesi che hanno visto centinaia di
migliaia di persone scendere in piazza per chiedere di rispettare il programma di governo,
per pretendere giustizia e verità sui fatti di Genova, per difendere i diritti delle donne
hanno mostrato che è presente nei cittadini la volontà di cambiare lo stato di cose. In
questa prospettiva di mutamento la lotta alla mafia è uno dei terreni decisivi della lotta
per il soddisfacimento dei bisogni e per la democrazia.
Ecco perché è importante che tutte le realtà impegnate nella lotta dal basso (No GLOBAL,
No TAV, No PONTE, No TRIV, No al DAL MOLIN, e gli altri) garantiscano la loro
presenza a Cinisi il 9 maggio 2008 in occasione del trentennale dell’omicidio di Peppino,
per iniziare un nuovo percorso, per costruire e dare la spinta ad un movimento di lotta alla
mafia che segua un programma rivoluzionario, non astratto e sloganistico, ma concreto e
praticabile, e che si ponga l’obiettivo di battere definitivamente il fenomeno mafioso.
Non possiamo continuare ad aspettare, abbiamo perso troppo tempo.
Se non riusciamo a costruire un progetto e a trasmettere un messaggio di fiducia e di
speranza alle nuove generazioni, bombardate da una strategia della diseducazione che
indica come esempi da seguire personaggi di successo cinici e sfrontati, politici e
rappresentanti delle istituzioni spesso sotto processo o condannati per mafia, come
Dell’Utri e Cuffaro, difficilmente riusciremo a far crescere in loro una coscienza
democratica e antimafiosa.
E non possiamo rimanere inerti al cospetto dei più di 1300 morti l’anno sul lavoro,
un’autentica vergogna nazionale, delle migliaia di morti per l’amianto, delle vittime della
malasanità , delle vittime dei soprusi e delle violenze nei paesi emarginati.
Non possiamo rimanere inerti rispetto alle devastazioni dell’ambiente e della natura che
stanno letteralmente distruggendo il nostro pianeta.
Non si può sorvolare sulla necessità della laicità dello Stato come forma di garanzia per
l’uguaglianza sociale e giuridica di tutti, al bando delle differenze sessuali, etniche e
religiose.
Facciamo appello a tutte le associazioni che lottano per una legalità non retorica e formale,
sparse sul territorio nazionale, affinché ci diano il loro contributo di idee e di azioni per lo
svolgimento della manifestazione del prossimo 9 maggio.
Qualcosa comincia a muoversi: i movimenti anti-pizzo hanno ottenuto i primi risultati,
promuovendo il consumo critico e l’associazionismo, i senzacasa di Palermo chiedono e
ottengono le case confiscate ai mafiosi, le scuole si impegnano in prima linea, una parte del
mondo religioso ha mostrato di volersi impegnare.
Facciamo appello all’informazione democratica e ai mezzi di comunicazione liberi affinché
ci sostengano e sviluppino una conoscenza reale delle mafie e dell’antimafia, mentre
troppo spesso assistiamo a trasmissioni e servizi che danno un’immagine suggestiva di
feroci criminali e riducono l’antimafia alle iniziative più spettacolari.
Chiediamo il loro contributo agli artisti che si dichiareranno disponibili affinché con la
musica, il cinema, il teatro e lo sport si cominci un’opera di sensibilizzazione e di
educazione adeguate.
È importante che anche i Comuni che hanno intitolato una strada a Peppino partecipino al
trentennale, così come gli iscritti alle sedi dei partiti della sinistra a lui dedicate.
Facciamo appello alle scuole, agli insegnanti e agli studenti, affinché siano al nostro fianco
in questo difficile percorso.
Facciamo appello alle donne, ancora imbrigliate dai comportamenti maschilisti della
nostra società , affinché partecipino numerose per rinnovare la rottura di mia madre Felicia
rispetto all’immobilismo culturale, bigotto e reazionario, e per ripercorrere i passi delle
tante donne, madri, figlie, sorelle, che hanno fatto dell’impegno antimafia la loro ragione
di vita.
Anche i sindacati devono assumersi le proprie responsabilità , mettendo al centro i
problemi del lavoro nero, precario, ultraflessibile, riprendendo le battaglie che furono di
Peppino e dei suoi compagni. E chiediamo alle forze politiche che si dicono democratiche
di operare un taglio netto con mafie e corruzione.
Si parla tanto di criminalità , di riciclaggio, di lavoro nero, di immigrazione clandestina, di
sfruttamento minorile, di violenza sulle donne, di violenza razziale e di altre
problematiche che non ci danno respiro: troppe volte ci si ferma alle parole o si adottano
strategie più deleterie degli stessi problemi che dovrebbero risolvere, come i cosiddetti
"provvedimenti per la sicurezza dei cittadini" che finiscono per annullare diritti umani
fondamentali..
Esistono percorsi ben più sostenibili e compatibili con il benessere e il rispetto di tutti, che
vengono però esclusi perché non fanno gli interessi dei soliti noti.
Aspettiamo ancora il perfezionamento della legge sulla confisca dei beni mafiosi, la legge
109 del ’96, proposta da Libera di Don Ciotti con una petizione popolare che ha raccolto un
milione di firme sull’onda emotiva delle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’intento era di
avviare un nuovo percorso di sviluppo economico antimafioso, ma si è arenato negli scogli
della burocrazia, del lasciar correre e degli interessi mafiosi.
Il 9 maggio a Cinisi, nell’ambito delle iniziative del Forum antimafia "Peppino e Felicia
Impastato", sarà un’occasione per riflettere su tutte queste tematiche, per far sentire la
propria voce, per ribellarsi: siamo convinti che costruire un mondo senza mafia è possibile.
Non solo, è necessario: un mondo senza questa "montagna di merda" che ci