30.07.2003
C’era una volta la voglia di privatizzare. Forse. Ma a guardare il Dpef,
sembra proprio che non ci sia più… In realtà , per scrivere un pezzo su
privatizzazioni e liberalizzazione non avrei neppure dovuto aspettare lo stesso
Dpef. Tanto, in questo documento non sono menzionate né le prime né la seconda.
Anzi, siamo più precisi. Si afferma che la ripresa delle privatizzazioni
(quali?) aiuterà la riduzione del debito pubblico (pag. 75). Si dice che la
liberalizzazione dei mercati dei prodotti dovrebbe portare a una minore
disoccupazione (pag. 48) e che i paesi europei dovranno proseguire nella
liberalizzazione dei servizi pubblici (pag. 82). Fine: tutto qui. Neppure una
rituale affermazione per riassicurare il lettore sul fatto che il Governo crede
che privatizzazioni e liberalizzazione siano importanti. Nulla.
Interpretare un’assenza
Come interpretare questa mancanza? Partiamo da una interpretazione letterale:
nessuna privatizzazione in cantiere, nessun provvedimento di liberalizzazione in
vista…? Un po’ sconcertante. Speriamo non sia così.
Altra interpretazione: se ne parlava nel documento dell’anno scorso, e se non
ci sono novità è inutile ripetere quanto già detto. Possibile, ma almeno
menzionare che il programma dell’anno scorso resta confermato sarebbe stato
opportuno per diverse ragioni.
In primo luogo, se le privatizzazioni fossero un pilastro fondante della
politica di Governo, il Governo ne parlerebbe spesso, come fa per le grandi
opere, menzionate in tanti documenti precedenti ma che trovano ampio spazio
anche nel Dpef. In secondo luogo, in sede pubblica e privata il Ministro
Tremonti continua a far capire che lui alle privatizzazioni crede davvero poco,
e che Lui (il maiuscolo è d’obbligo…) è un gestore migliore di qualunque
privato. Il fatto che le privatizzazioni vengano menzionate solo ove si parla
della situazione delle finanze pubbliche fa pensare che il Governo vede la
vendita di imprese pubbliche (o di quote di queste imprese) solo come operazione
per fare quattrini.
Nel Dpef dell’anno scorso erano elencate diverse privatizzazioni che
avrebbero dovuto aver luogo – mercati finanziari permettendo – entro la fine del
2003. Di queste solo la vendita del 3.4% di Telecom Italia e del 100% di Eti
sono state portate a termine (meglio – quest’ultima – di quanto molti avevano
previsto, e quando si vede un lavoro ben fatto è un piacere poterlo dire). Il
resto purtroppo langue, ed il fatto che non se ne parli più – oltre tutto, in
una fase ascendente del ciclo di Borsa – preoccupa. Anche le operazioni su cui
pare che il Comitato privatizzazioni abbia già deliberato sono cessioni
marginali, residui di cessioni già iniziate da tempo e non ancora concluse (lo
0.1% della Seat; il 14.4% in Coopercredito; …). Le "vere" privatizzazioni sono
quelle in cui lo Stato cede il controllo delle imprese – importanti – che oggi
invece gestisce, e questo è del tutto assente.
Liberalizzazioni? No grazie…
Il secondo tema è quello della liberalizzazione di alcuni settori chiave
dell’economia italiana, dove magari la presenza pubblica diretta non è
importante, ma dove vincoli di varia natura ostacolano la concorrenza. Anche qui
si spererebbe che un Governo di centro-destra fosse almeno impegnato su questo
fronte. E invece, nessun impegno, neppure un programma vago.
Solo un accenno al fatto che le liberalizzazioni aiuteranno l’occupazione.
Quali liberalizzazioni? Non si sa. E neppure possiamo desumerlo da quanto la
maggioranza ha fatto finora, dato che in due anni di liberalizzazioni si è
parlato poco e fatto ancora meno. Si va al traino dell’Europa, recependo le
Direttive (atto dovuto) con nessuna iniziativa autonoma.
Nella sua recente relazione annuale, il presidente dell’autorità antitrust
Tesauro ha indicato in energia, servizi professionali, commercio all’ingrosso,
servizi finanziari, trasporti e comunicazioni i settori maggiormente carenti e
nei quali la mancata liberalizzazione rallenta lo sviluppo. Si sta facendo molto
a riguardo? Purtroppo no – di seguito qualche esempio.
Nel campo dell’energia, il disegno di legge Marzano langue da mesi in
Parlamento, e comunque non intaccherà la situazione soprattutto nel settore più
chiuso, quello del gas, ove vale quanto prevedeva a suo tempo Franco Tatò:
saremo tutti liberi di acquistare gas dall’Eni.
Nelle tlc, resta il quasi-monopolio di Telecom Italia, che mantiene oltre il
90% del fatturato del settore. Non sarebbe opportuno qualche intervento
strutturale più incisivo? (1) Nei trasporti prosegue la ristrutturazione delle
ex FFSS, ma per ora alla moltiplicazione delle imprese (Trenitalia, RFI, ecc.)
corrisponde una maggiore confusione degli utenti, ma non maggiore concorrenza,
né un percettibile miglioramento del servizio.
La riforma dei servizi pubblici locali è semplicemente nel caos. L’art.35
della finanziaria dell’anno scorso aveva provato a intervenire, ma in modo così
confuso e ambiguo da sortire come unico effetto tangibile la corsa alla
protezione delle posizioni esistenti: i Comuni cercano di bloccare il mercato
per il più lungo periodo possibile, e nessuno riesce a fermarli. (2)
Per i servizi professionali c’è poi la delusione più cocente, soprattutto di
chi credeva alle promesse dell’attuale Governo sulla creazione di condizioni più
favorevoli per l’inserimento dei giovani. Le "libere professioni" restano
tutto, meno che libere. L’accesso richiede anni di pratica, nei quali i giovani
tipicamente non sono retribuiti (se non a livelli di paghetta settimanale del
babbo), e la pubblicità resta ingessata in codici di condotta che vietano ai
giovani professionisti di offrirsi sul mercato in modo minimamente aggressivo.
La concorrenza vera tra professionisti sembra "una vergogna" da evitare invece
che il modo naturale di organizzare questi settori.
Ma se non liberalizza un Governo di centro destra, in chi dobbiamo
sperare…?
(1) Si rinvia a C. Cambini e T. Valletti "Un Codice non troppo nuovo" in
lavoce.info del 17/6/03.
(2) su questa riforma e le sue ambiguità , si veda A. Massarutto, "La riforma
dei servizi pubblici locali. Liberalizzazione, privatizzazione o
gattopardismo?", in Mercato, concorrenza, regole fascicolo 1, anno 2002.
di Carlo Scarpa
da www.lavoce.info
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