20.03.2008
I 30 anni della Legge 180 La Salute (mentale) si costruisce a livello locale di Ardea Moretti * Responsabile area Salute mentale Cooperativa sociale Itaca -Pordenone Un incontro-seminario di Legacoopsociali sulla salute mentale, tenutosi a Roma nelle scorse settimane, ha affrontato la questione della sofferenza-salute mentale seppure ‘vista’ da ambiti e ruoli molto diversi, dai dirigenti di Cooperativa a quelli di Legacoop, dagli operatori ai tecnici di Aziende sanitarie e/o del Governo. L’obiettivo iniziale era quello di un confronto, con una reciproca disponibilità all’ascolto ed al recepimento, nel merito del "pensato prossimo" Piano strategico per la salute mentale. Tale partecipazione c’è stata, anche se la "caduta" del Governo ha indubbiamente messo in discussione la possibilità di portare a termine il percorso avviato nei tempi auspicati. Un percorso che ha avuto una sua prima importante caratterizzazione nel metodo: è stato infatti frutto di una consultazione allargata ad operatori, terzo settore, associazionismo, che ha coinvolto le realtà di otto regioni, un migliaio di soggetti, per trarre dall’esperienza un pensiero che vuole essere prima di tutto formativo, integrando nella multidisciplinarietà la molteplicità delle esperienze, con l’obiettivo di mettere in rete, ed integrare, sociale e sanitario, nell’ottica di quanto sancito dalla legge 328. In quest’ottica, spetterà alle Regioni rendere attuabile ed attuare quanto definito dalla normativa (ricordiamocelo, anche la 180 era una legge quadro, la distribuzione a macchia di leopardo deriva da qui), ed a questo punto sono comunque giustamente indispensabili i contributi (in tutti i sensi) del terzo settore (dalle Cooperative alle associazioni degli utenti e dei familiari, degli operatori dei servizi sanitari e di quelli sociali). Oltre a loro, hanno risposto all’invito funzionari di Legacoopsociali, dirigenti e operatori di Cooperative sociali, provenienti da tutta Italia, dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia alla Puglia e Sicilia, che hanno ritenuto che alla salute mentale, alle condizioni di chi vive in questo ambito (da operatore e/o da utente), sia importante dare una attenzione, comunque, continua.
I 30 anni della Legge Basaglia non possono venire "offuscati" da crisi e alternanze governative, per il rispetto del principio base del diritto di cittadinanza sancito dalla nostra Costituzione. Il Piano strategico per la salute mentale non porta, e chiedo scusa, elementi di particolare "innovatività ". Ribadisce (ma a volte ci si dimentica di ricordarlo) quelli che sono i principi base della 180, la unicità , il diritto, di ogni cittadino, la necessità della sua tutela e garanzia soprattutto per i soggetti più deboli. Lo ricollega ai cambiamenti intervenuti nella società civile e nella normativa. Da una parte i nuovi bisogni, le nuove emergenze: i disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, le situazioni dove disabilità mentale e fisica si sovrappongono, il crescente abuso di sostanze, le diverse caratteristiche e richieste dei giovani, la presenza di un maggior numero di immigrati con culture diverse, con le ripercussioni che tutti questi hanno sulle conoscenze, le metodologie della presa in carico, la necessità di migliorare i percorsi di collaborazione con i medici di base. Sullo sfondo problemi non ancora risolti: di chi si occupa della salute mentale nelle carceri, dei cittadini reclusi negli ospedali psichiatrici giudiziari, di chi finisce diciotto anni in diagnosi e cura, di chi è donna ed ha subito maltrattamenti. In ogni caso, proseguendo il percorso indicato dalla legge 328, è necessario concentrare gli sforzi per lavorare per progettualità individualizzate, fatto che di per se stesso implica la necessità della messa rete, e magari prima di comunicazione, dei diversi servizi che si occupano della persona (Dsm, Sert, Ambiti ecc.). Un passo ulteriore potrà essere fatto, come suggerisce la Cooperativa Koiné di Arezzo, passando dall’individuo al soggetto, allargando quindi l’attenzione e l’intervento al ruolo attivo della persona nel suo ambiente.
Ritornando al Piano strategico, la finanziaria ne ha definito le possibilità ; se verrà approvato, l’applicazione sarà comunque di competenza delle Regioni, che dovranno emanare le norme attuative. Ovviamente il tutto dipende anche dalle prospettive future nel campo (ma non solo). Quattro i principali ambiti di attenzione individuati (o sarebbe meglio dire confermati) dal Piano strategico: 1. La particolare attenzione alle fasi di esordio di una crisi; 2. Una programmazione complessiva degli interventi sia sanitari che sociali; 3. Il sostegno alle famiglie; 4. La verifica degli esiti.
Ovviamente tutto ciò non può che essere disegnato ed attuato in uno sfondo di welfare community, dove la garanzia della salute mentale significa promozione della salute nel senso più lato, garanzia dei diritti, attuabile solamente con la mediazione e negoziazione tra tutti gli interlocutori.
Nel corso del seminario di Roma si è parlato di residenzialità , delle dimensioni di una struttura, dei suoi possibili modelli, che non devono prescindere dalla progettualità individualizzata, comprendente verifiche e termine. Non è accettabile la cronicizzazione, né la delega al privato sociale, anche se corretto e competente. Si è parlato di diritto al lavoro, di inclusione lavorativa, che non significa assistenza finanziaria e/o economica, ma che deve essere un percorso teso ad una reale autonomia personale dei soggetti, che riconosce le soggettività presenti, le monìtora, e fornisce tutti gli strumenti per farlo, a partire dalla formazione sia degli utenti che degli operatori. Non deve essere assistenzialismo una reale fruizione del microcredito, inteso come aiuto all’autoimprenditorialità degli utenti e delle loro associazioni. Formazione è un termine che si è riproposto più volte, riferito all’utenza ma anche agli operatori del settore. Molti interventi hanno ribadito le grosse difficoltà presenti in questo campo. Se i percorsi "ufficiali" (soprattutto Oss, Ip, Educatori) propongono operatori che, dopo il proprio percorso formativo, si affacciano al settore della salute mentale spesso senza avere sufficiente formazione nel campo, non c’è ad oggi alcuna formazione, né tanto meno riconoscimento specifico per quello che viene definito operatore psichiatrico o, più in generale, operatore sociale, che basa il suo intervento sulla relazione, sulla condivisione della mission propria, della sua Cooperativa, dei suoi stakeholders. E la logica della attribuzione dei "livelli" per titoli, se pur rispettabile (tanto più visti i nostri stipendi), non può bastare a rendere giusto merito agli operatori sociali. Va in qualche modo riconosciuta e valutata l’importanza dell’esperienza, correttamente verificata, e della formazione permanente.
Ma tante sono state, nella giornata, le testimonianze di percorsi positivi, troppo spesso taciuti, vissuti, realizzati e non raccontati. Dall’associazione che a Biella ha iniziato la sua attività andando a cercare i pazienti dispersi nei vecchi manicomi, trasformando in Centri di igiene mentale (non adeguati) locali non adeguati, ma meglio che niente. Alla Cooperativa che si assume la troppo grande responsabilità della totale presa in carico dell’utente, che rifiutando il principio delle porte chiuse avvia una riflessione sulla propria capacità di trasmettere ai "giovani" la cultura di chi si è impegnato per aprirle. A chi, a Secondigliano, continua a credere in un diagnosi e cura con le porte aperte, ironizzando garbatamente sui rifiuti. A chi all’epoca, come i colleghi di Matera, ha pagato il passaggio dall’amministrazione provinciale alla aziendalizzazione, cosa che è successa, ad esempio, anche in Friuli. A quella che va ad analizzare il proprio operato, la qualità di un servizio dove lei si ritiene, è attore alla pari degli altri. Il filo che si può indicare come comune e conduttore di tutti gli interventi può essere sintetizzato in una frase, sentita più volte e così sintetizzabile: "è a livello locale che si costruisce salute e benessere. Il nodo centrale è l’integrazione tra sociale e sanitario, dove anche la Cooperazione sociale può giocare un ruolo fondamentale". Una psichiatria non solo tecnologica-scientifica, ma frutto di un pensiero e di un agire di comunità , è un fatto strategico, ed in questo la Cooperazione sociale deve uscire dalla dimensione dell’assistenza ed assumersi la dimensione della cura, per poter creare dei contesti che includono, ma che con ciò implicano lo sviluppo della persona e della comunità . Una riflessione non da poco, frase forse non detta da qualcuno nello specifico, ma sintesi della giornata.
Fabio Della Pietra Ufficio Stampa Cooperativa sociale Itaca Pordenone www.itaca.coopsoc.it
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