26.03.2008
Resoconto visita impianto MBT Giussago-Lacchiarella (Mi). Il 19 marzo visita all'impianto di Trattamento Meccanico Biologico di Giussago-Lacchiarella. Sono presenti delegazioni delle amministrazioni del Comune di Genova, del Comune di Reggio Emilia e della Val D'Aosta.Motivo principale della visita quello di verificare la flessibilità dei trattamenti meccanico biologici e quello di verificare la compatibilità ambientale.Anticipiano che a nostro avviso questo esame è stato ampiamente superato.
L'impianto visitato tratta in modo separato, ma con metodi simili ed
in un unico edificio, sia materiali post consumo indifferenziati
residuali a raccolte differenziate ( 75.000 t/anno) , sia frazione
umida da raccolta differenziata ( 40.000 t/anno).
Ogni impianto è formato da 19 bacini di raccolta, affiancati a pettine
l'uno all'altro, con pareti in muratura alti circa tre metri, con un
pavimento a griglia da cui si aspira l'aria.
L'MPC in arrivo, privo di ingombranti, subisce una grossolana
frantumazione ( circa 30 cm ) e viene trasferito in uno dei bacini di
raccolta fino a riempimento per tutta la sua lunghezza. Ogni cumulo,
senza mescolamento meccanico, resta sotto aspirazione forzata per
circa 20 giorni. Temperatura ed umidità del cumulo sono regolati per
sfruttare al massimo l'essiccazione indotta dal calore sviluppato
dalla carica microbica che bio-ossida la frazione più biodegradabile
(zuccheri, grassi, proteine...).
Dopo questo trattamento la massa si è ridotta di circa il 30%
( prevalentemente per perdita d'acqua) e non emette più odori
sgradevoli , il bacino viene svuotato e si prepara al carico di scarti
freschi. Il biostabilizzato passa ai trattamenti meccanici che
separano i metalli e i materiali inerti ( vetri, ceramiche..) che
vanno al riciclo e al recupero. Della restante frazione si separa
meccanicamente quella con il maggior contenuto di cellulosa ( più
pesante) da quella con maggiore componente in plastiche ( più
leggera); entrambe le frazioni rappresentano circa il 60% in peso
della massa in ingresso.
La frazione cellulosica che contiene ancora materiale biodegradabile
(prevalentemente cellulosa) è avviata ad un bio-reattore attivabile,
in pratica una cella ricavata nella discarica predisposta sul fondo
per la captazione del biogas. La frazione cellulosica viene stoccata
nella biocella, bagnata e subito ricoperta con materiale inerte. Si
creano in questo modo le condizioni per la fermentazione anaerobica
che trasforma il residuo cellulosico in biogas ( metano) che viene
recuperato ed usato per la produzione di elettricità e calore.
Un biorettore attivabile così alimentato è già in opera a Corteolona
( Pavia) ed è prevista una prossima visita a questo impianto.
L'azienda dichiara per questo bioreattore una produzione di 3000 metri
cubi di biogas all'ora , usato per produrre elettricità e calore e
afferma che oltre il 40% in peso del materiale stoccatp si trasforma
in biogas.
Questo significa che alla fine del processo di metanizzazione (una
decina di anni) in discarica rimane circa il 20% dello scarto
iniziale, completamente mineralizzato e con una bassissima emissione
di eluato.
La frazione a prevalente composizione di polimeri di sintesi
( ipotizziamo pari al 20% in peso, rispetto allo scarto iniziale) , al
momento è utilizzata come combustibile nei cementifici.Ci sembra
doveroso segnalare che, nonostante il buon potere calorifico, i
cementifici si fanno pagare, a conferma che questo procedimento è
ancora una forma di smaltimento di rifiuti. Peraltro la capacità di
utilizzo di questo combustibile da parte dei cementifici italiani è
stimata a 1,7 milioni di tonnellate.
Poichè la potenziale produzione di Combustibile da rifiuto di tutto il
paese è stimata pari a 7 milioni di tonnellate all'anno, occorre
pensare ad altri utilizzi e se si vogliono evitare impianti di
combustione dedicati (inceneritori) l'unica alternativa è quella di
possibili recuperi di materia: vedi sabbia sintetica del Centro di
Vedelago a cui peraltro il flufff in uscita dal bioessiccatore ad
occhio assomiglia molto.
E' anche possibile l'uso dello stesso fluff per impianti di
gasificazione e sintesi catalitica dei gas per la produzione di
gasolio per autotrazione.
Sappiamo che in impianti di questo tipo già esistenti e che lavorano
scarti di cellulosa sono stati testati scarti ottenuti da trattamenti
MBT simili a quelli dell'impianto visitato; non ne conosciamo
l'esito. Comunque pochi minuti or sono ho inviato una richiesta di
informazione alla ditta.
Come già accennato, nello stesso edificio esiste una linea parallela
(ma separata) per la produzione di compost. Il procedimento è lo
stesso, ovviamente varia il pretrattamento e la durata della bio-
ossidazione. Il materiale in ingresso è la frazione umida raccolta in
modo differenziato e all'uscita c'è compost di buona qualità che gli
agricoltori della zona ritirano gratis; anche così, c'è una
convenienza economica al trattamento di compostaggio, a causa degli
evitati costi di smaltimento.
L'aspetto più interessante di questo impianto è la completa
automatizzazione, l'elevata qualità del prodotto finale e il basso
impatto ambientale dell'intera struttura. Tutti i trattamenti
avvengono all'interno dell'edificio che è interamente in depressione.
L'aria viene aspirata sotto i cumuli in fermentazione e tutta l'aria,
prima di essere immessa in atmosfera è fatta passare attraverso un
letto di alcuni metri di spessore di un biofiltro ( in cippato di
legno) collocato sopra il tetto dell'edificio con un importante
risparmio di superficie.
Girando intorno all'impianto, nella cabina di controllo e sul tetto
non si avvertono odori particolari se non quelli dovuti ad accidentali
versamenti dai camion durante la fase di scarico.
Unico neo la presenza di mosche ( peraltro tenute sotto controllo
senza pesticidi) che stando al caldo e trovando cibo nei MPC in arrivo
iniziano e chiudono i loro cicli vitali prevalentemente all'interno
dello stabilimento. Siamo curiosi di sapere la densità della
popolazione di rondini, ragni e gechi nella zona.
Altro neo, una certa quantità di plastica ( polietilene) nel compost ,
nei limiti di legge e non sgradita ai contadini. E' un piccolo
problema indotto dalla confusione che le famiglie fanno tra le buste
in materBi ( un biopolimero biodegradabile) in dotazione per la
raccolta dell'umido e quelle in polietilene che utilizzano quando
hanno finito le buste i materB o perchè non hanno compreso la
differenza tra i due materiali.
E' un problema che l'uso di sacchetti di carta resistenti all'acqua
per la raccolta dell'umido dovrebbe evitare del tutto.
A cura di Federico Valerio
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