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L'alternativa possibile e la sinistra dei movimenti ...
3.08.2003

L’estate non è forse il migliore periodo per gli approfondimenti e le riflessioni ma, come noterete ampiamente, tante scelte importanti si compiono, tanti scenari si delineano proprio tra luglio e agosto.

Per cui mi permetto di segnalare alla vostra attenzione una riflessione di Michele DI SCHIENA (Brindisi) sul dibattito in atto tra sinistra cosiddetta riformista, sinistra cosiddetta antagonista e, aggiunge Di Schiena, sinistra dei movimenti. Con alcune annotazioni forse non gradite a qualcuno che poniamo alla vostra attenzione per un confronto ed un dibattito.

Giancarlo Canuto

L’ALTERNATIVA POSSIBILE E LA SINISTRA DEI MOVIMENTI

Una politica estera servile nei confronti degli Stati Uniti fino a far proprie le più arbitrarie motivazioni di guerre nefaste e, al tempo stesso, capace solo di rendere agli anglo-americani servizi dannosi come dimostra, a dispetto di certe traballanti smentite, il caso del falso dossier sull’uranio nigerino di Saddam Hussein. Una politica economica allo sbando che aggiunge ai guasti connaturati delle ricette ultraliberiste quelli provocati da una sconcertante miscela di confusione e di improvvisazione. E ciò fino al punto che a fronte di un pauroso crollo della produzione industriale (i dati Istat hanno segnalato in maggio 7 punti in meno rispetto allo scorso anno) questo governo, invece di promuovere l’incremento dei redditi bassi e medio bassi per combattere l’impoverimento di massa e favorire i consumi, partorisce un Dpef col quale, dietro la cortina fumogena di un mare di parole, si continua a puntare ad una drastica riduzione dello stato sociale (per aggravare così l’impoverimento della gente), si cerca di rastrellare qua e là denaro con misure "una tantum" centrate su condoni e giochi di prestigio finanziari e si fa finta di volere il confronto con le parti sociali con l’intento di scaricare su di esse le responsabilità della maggioranza e di dividere ancora una volta il fronte dei sindacati.

E poi, i provvedimenti legislativi "ad personam", l’attacco all’indipendenza della magistratura, le "mani" sempre più pesanti sull’informazione, l’irrisolto e crescente conflitto d’interessi, una "devolution" frantumatrice ed egoista contro l’ "interesse nazionale", le figuracce internazionali per l’incontinenza verbale del premier. Ce n’è abbastanza per rendersi conto che si è di fronte ad una vera e propria emergenza nazionale che va urgentemente fronteggiata costruendo nella società e sul versante politico una larga, robusta e credibile alternativa. Un’alternativa che dovrà segnare una netta inversione di tendenza non solo rispetto alle politiche della Casa delle libertà ma anche rispetto a certi itinerari in materia economica e militare sui quali si era avventatamente incamminato l’Ulivo nella passata legislatura. E tuttavia un’alternativa dalla quale non è possibile realisticamente attendersi radicali rotture nei confronti delle logiche con le quali viene gestito il potere nel cosiddetto Occidente.

Ed allora si pone a sinistra un duplice problema: il rapporto tra la sinistra politica moderata o riformista e quella antagonista o radicale per giungere ad un’intesa sui possibili "equilibri più avanzati" (secondo una datata ma sempre valida formula socialista) ed il rapporto fra questa sinistra politica radicale, chiamata dal suo ruolo a farsi carico dell’ "oggi" pur guardando al "domani" e la sinistra sociale e di coscienza che, per la sua contrapposizione al liberismo e per la sua ripulsa "senza se e senza ma" di tutte le guerre, non potrà, pur favorendo l’evolversi dell’ "oggi", non guardare essenzialmente al "domani" restando perciò rigorosamente opposizione ideale e sociale.

La sinistra dei movimenti e per la pace, in Brasile (con Lula) come forse tra qualche tempo da noi (con l’auspicata alternativa) non può mai identificarsi con l’area del potere politico anche quando vi fanno ingresso espressioni ad essa vicine o da essa provenienti. Verso queste forze può e deve, questa sinistra, avere un atteggiamento positivo e di sostegno nella misura in cui esse s’impegnano a fare avanzare gli equilibri politici ma il suo "proprium" deve rimanere quello di lavorare, con le parole e con i fatti, per il superamento di un sistema, come ha scritto di recente Raniero La Valle, per il quale "la rottura dell’unità del mondo è diventata l’asse portante della politica mondiale, realizzata con gli strumenti del mercato e della guerra". Mercato e guerra come strumenti appunto dello strapotere mondiale statunitense che non va certo contrastato con "logiche di potenza", per quanto edulcorate, come l’ipotesi di costruire una rete euroasiatica da contrapporre alla coalizione euroamericana, centrata quest’ultima sull’asse Stati Uniti-Inghilterra, ma con le logiche di quella "superpotenza" fondata sulla forza dei diritti ed il rifiuto della violenza che non invano ha fatto sentire la sua voce contro la guerra in Iraq.

In una limpida prospettiva di fede ma con una radicalità di scelte comune alla sinistra di coscienza sia laica che cristiana, don Lorenzo Milani scriveva cinquant’anni fa al comunista Pipetta: "Il giorno che avremo installato insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidare di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno non resterò là con te". Parole profetiche e sempre attuali perché il rapporto dialettico fra speranza e contingenza, fra profezia politica e istituzioni, fra tensione civile trasformatrice e liberante e gestione del potere, non è mai riducibile ad una indistinta unità ma è strumento indispensabile per ogni avanzamento ed ogni progresso.

Brindisi, 27 luglio 2003

Michele DI SCHIENA

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