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Magia (di Paola Carini)
17.04.2008
All’origine dei tempi, il fratello più giovane di Primo Uomo perse la vita combattendo contro dei mostri. Così, sulla riva del Grande Mare, Primo Uomo scavò due buche: nella prima egli vi depose le ossa del fratello e vi poggiò sopra dei rami di cedro; nella seconda vi accese un fuoco su cui mise a scaldare quattro pietre tonde. Fatte rotolare ad una ad una le pietre sotto la copertura di rami, si mise a cantare, aspergendole con dei ramoscelli di salvia inumidita. Il vapore che ne uscì aveva sembianze umane e, quando le asperse nuovamente, le ossa si mossero. La terza volta che le asperse gli sembrò di udire una voce, e la quarta udì distintamente il fratello che gli chiedeva di aiutarlo ad uscire.

“Magia”, la chiama il medico Charles Eastman (Ohiyesa), raccontando così, in uno dei libri, questa usanza della sua gente, i santee (dakota) sioux. Da allora i sioux e altre gruppi tribali, continua Ohiyesa, praticano il “bagno di vapore” per purificare e rinvigorire lo spirito. Tutto quel che è associato a quel rito primordiale, dice, cioè il cedro, l’acqua, la salvia e soprattutto le pietre, ha valore sacro.

Tra i gruppi tribali delle Grandi Pianure e, più specificamente, tra dakota e lakota sioux, il bagno di vapore aveva, ed ha tuttora, innanzitutto uno scopo curativo. Come nella sauna nordeuropea, anche tra i nativo-americani si ricorreva al massaggio. Un frate prigioniero dei dakota negli anni ottanta del 1600 descrive la pratica, a cui egli stesso fu sottoposto, con minuzia di particolari. Gravemente malato e indebolito, il frate racconta della tenda bassa, dalla forma ovale, in cui fu fatto entrare. Dentro c’erano già delle pietre “rosse come il fuoco” (sicuramente nel numero di quattro), asperse di tanto in tanto con acqua dai suoi compagni. Tutto quel che gli fu chiesto di fare fu di trattenere il respiro il più a lungo possibile e poi rilasciarlo, poi gli altri si misero a cantare e a massaggiarlo; la sua debolezza era tale che venne portato fuori. Ripetuto il bagno di vapore tre volte la settimana per un certo periodo di tempo, si ristabilì completamente.

Fonti missionarie dell’Ottocento documentano, dal punto di vista occidentale e cristiano, l’uso cerimoniale del bagno di vapore, che variava da gruppo a gruppo e a seconda delle circostanze. L’aspetto che più colpiva era la purificazione fisica e spirituale procurata dal bagno e preliminare ad una battaglia, alla possibile morte, nonché a riti religiosi come la Danza del Sole o il complesso rito della “ricerca di una visione”. Per alcuni oglala lakota, fu spiegato a James Walker, medico vissuto tra i lakota tra il 1896 e il 1914, tutto era incentrato sul “ni”, il respiro. Se il “ni” è forte, scorre nel corpo e lo mantiene in buono stato. Il “ni” viene dato alla nascita da “niya”, lo spirito della persona, ma quando niya è debole si manifestano intrusioni, ossia malattie. A quel punto il niya va rafforzato attraverso il rinvigorimento del ni, e questo avviene quando il vapore (anch’esso chiamato ni), entra in circolazione nel corpo. Se per i dakota sono le pietre a fortificare, per gli oglala è il ni ad emergere come sudore e lavare via le impurità. Un po’ come il “chi” dei maestri cinesi di t’ai-chi che, se scorre senza blocchi, rafforza a tal punto il corpo da irrobustire le ossa anche in persone avanti di età, anche il “ni” influisce positivamente sulla fisiologia umana. E come il t’ai-chi, pratica dai risvolti spirituali nata nell’antichità in un monastero taoista, anche il bagno di sudore esercita un duplice giovamento, alla salute e allo spirito. Ed è proprio questo aspetto, questa “magia”, che ha contribuito ad attirare l’attenzione di adepti della New Age e, più in generale, di persone alla ricerca di risposte al disagio umano. In alcuni casi il rito è stato mercificato, cioè letteralmente venduto come merce, da personaggi che vantano appartenenza indiana sia per nascita che per adozione, causando sfiducia e frizione tra chi vi si avvicina pur con buone intenzioni, per bisogno, e chi, tra i nativo-americani, vuole salvaguardare un aspetto culturale e religioso dallo sfruttamento e dalla banalizzazione.

Oggi, il bagno di vapore è praticato dai lakota per i motivi più vari. Attraverso di esso si rinsaldano legami sociali e familiari, si dà il benvenuto a persone di origini diverse accolte dentro la comunità, si cerca di guarire dai mali odierni dell’alcolismo, della droga, della depressione, della povertà, ritornando a quell’armonia dentro e fuori di sé che è sempre stata il fine ultimo del rito.

Oggi molte cose sono cambiate, altre si sono perdute, ma il bagno di vapore rimane molto popolare. Non avendo mai poggiato su di una rigidità liturgica, esso ha acquisito sempre maggiore flessibilità formale, qualità questa che ha permesso di praticarlo anche in contesti moderni molto diversi da quelli conosciuti dal frate del 1600. Ciò che è rimasto come costante ineludibile nell’esercizio serio e preparato di questo rito, è la sua caratteristica di preghiera, umile e diretta, verso il Creatore. E siccome per i lakota il pensiero, come la parola, ha una sua energia e una sua forza, liberarsi dei pensieri negativi e pregare per quelli positivi significa ristabilire verità ed equilibrio, salute e guarigione.

E questa è, davvero, la vera “magia”.

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