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Sud, federalismo e solidarietà (di Antonio V. Gelormini)
18.04.2008
Si dice che ci sia la rivincita del territorio nella “sorpresa” elettorale della Lega Nord, che in alcune aree metropolitane raddoppia i consensi e diventa forza ancora più determinante per la vittoria del centrodestra e il ritorno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Una rivendicazione, in qualche modo gridata, per portare al centro dell’attenzione quotidiana il particulare dei problemi locali e sottrarlo con forza dall’imprescrutabile orizzonte di un moderno e confuso contesto globale.

Anche nel Partito Democratico tornano ad aver peso l’intuizione e l’esigenza di una struttura federale del nuovo organismo riformista. Per andare oltre l’iniziale progetto dell’articolazione regionale e puntare decisamente verso un’ipotesi organizzativa di macroaree. Il tutto in un percorso di adeguamento e di sostegno ai processi evolutivi di sistema, che già caratterizzano gran parte dei settori della nostra società. Distretti produttivi, sistemi turistici e progetti interregionali ne sono solo un esempio immediato.

E’ innegabile. Col crollo dei muri e l’abbattimento delle frontiere sono diventati evanescenti anche i confini ideologici, che contornavano la sfera d’influenza dei diversi partiti. L’approdo verso una cosiddetta società più liquida (Baumann), vede ancorare al territorio entusiasmi e speranze da proiettare nel mare aperto di un moderno assetto sociale. Non ci si meravigli, allora, se tra le brume di una sconfitta cominciassero a prendere corpo le insegne di un Partito democratico padano o di un Partito democratico meridiano.

E se al Nord si spinge per integrare l’Emilia Romagna ad un contesto territoriale che vede insieme già Triveneto, Lombardia, Piemonte e Liguria (magari per riequilibrare gli eccessi leghisti lombardo-veneti), toccherebbe al resto del Paese superare la contrapposizione col Centro e col Sud. Sparigliando, ad esempio, lungo i versanti comuni dell’Adriatico e del Tirreno, e mettendo insieme da un lato: Toscana, Sardegna, Lazio, Umbria e Campania, e dall’altro: Marche, Abruzzi, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia. In una sorta di modulo di gioco, a schema d’attacco, finalizzato alla migliore performance dei vari reparti della stessa squadra.

E’ tempo che il Sud si riappropri della sua identità e faccia valere con più determinazione il peso reale, avuto dalla sue risorse umane, naturali, finanziarie, intellettuali, patrimoniali e spirituali, nello storico percorso evolutivo dell’intero Paese e del suo Nord in particolare. Alle spinte secessioniste di Bossi e agli strappi laceranti del Carroccio, contrapporre la forza dell’accoglienza e le radici nobili di una cultura mediterranea vecchia quanto il mondo.

Si parli pure di federalismo fiscale, di fondi perequativi, di Irpef, Iva e accise da trattenere sui territori generanti, ma solo dopo aver determinato adeguate aliquote di compensazione e i limiti intangibili di solidarietà, per l’utilizzo improprio del giacimento Mezzogiorno, in atto nel Paese da troppe generazioni.

Il Sud sia più consapevole di essere radici di un albero rigoglioso. Radici che non basta innaffiare, ma che rivendicano la possibilità di fortificarsi e svilupparsi, per far crescere meglio l’intero albero, nonché l’affascinante intreccio dei suoi rami e delle sue foglie.

Non l’autonomia, ma la forza di poter alimentare adeguatamente il sistema linfatico dell’unità nazionale. Questo dovrebbe avere come obiettivo un Partito del Sud o delle Sponde Mediterranee. Un partito che, contrariamente alle forze di un centrosinistra divenuto asfittico o alla Lega allergica al Sud e a quant’altro trovasi al di sotto della Padania, sfonderebbe al Nord davvero alla grande.

(gelormini@katamail.com)

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