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Ingrao: «Basta recriminare, dobbiamo salvare Roma»
22.04.2008
Intervista di Simone Collini pubblicata su L'Unità
Pietro Ingrao confessa di vivere «con rabbia e con dolore» la situazione politica che si è venuta a creare dopo il 14 aprile. «C’è stata una vittoria delle forze reazionarie raccolte intorno a Silvio Berlusconi e di questo successo di una brutta destra, e delle sue fonti, bisognerà fare un’analisi cruda e approfondita», dice lo storico leader comunista. «Ma guai a rassegnarsi o a considerare la partita conclusa».

«Ci sono questioni brucianti tutt’ora aperte - sottolinea Ingrao - prima fra tutte la lotta per la guida di Roma».

È questa secondo lei la priorità, ora?
«Sono necessarie, contemporaneamente, un’analisi approfondita e di massa delle cause della sconfitta e un tornare in campo, un rilancio della lotta, innanzitutto per le elezioni del sindaco della Capitale. Roma è città simbolo, e oggi la scelta di chi dovrà dirigere il Campidoglio assume una doppia valenza: per il domani di questa metropoli così radicata nella storia d’Italia e del mondo, e per gli sviluppi dell’aspro scontro aperto con la destra berlusconiana».

Una destra diversa da quella che vinse nel 2001, con una Lega più forte. Una destra peggiore sostiene la sinistra.
«Sì, è peggiore. E del resto a questa deriva reazionaria non ha resistito nemmeno la relazione con un moderato come Casini».

È preoccupato per quello che potrà fare il prossimo governo?
«Purtroppo sì. E mi sembra che sia non abbastanza forte l’allarme per questa deriva autoritaria di schietta marca berlusconiana. Forse non tutti, nella sponda democratica, hanno capito bene tutto il rischio di questo blocco reazionario a cui hanno dato vita Berlusconi e Bossi».

Per alcuni commentatori la Lega abbandona i tratti a cui ci ha abituato nel passato e ne assume di più istituzionali. Lei che dice?
«A me sembra di cogliere anche nelle file democratiche una tendenza a leggere la Lega come un buffo folklore. Sarà che ho una chiusura paesana, perché invece io sono colpito dall’intensità con cui si è allargata la connotazione reazionaria dei bossiani».

Che risposta va data a questa destra?
«Noi, forze dell’opposizione, siamo chiamati in questi giorni, direi in queste ore, a sviluppare una doppia azione: capire e rendere chiare le cause della nostra sconfitta e contemporaneamente impegnare compattamente tutte le nostre forze per la prova di Roma e per quelle delle altre città in cui si torna subito a votare. Non ci sono consentiti ritardi o esitazioni».

Parla col “noi”: per la prima volta nella storia repubblicana, in Parlamento non ci saranno esponenti di partiti comunisti e socialisti.
«È un dato su cui non c’è stata finora un’adeguata riflessione. Eppure io mi ricordo che svolta e che emozione per noi quando, cacciati i tedeschi da Roma, nelle nuove assemblee elettive entrarono finalmente anche i “rossi”, quelli che venivano da Gramsci...».

Nelle forze della Sinistra arcobaleno si è aperto un vero e proprio scontro sulle cause della sconfitta. Secondo lei è ciò di cui c’è bisogno, adesso?
«Non propongo né a me né ai miei compagni e amici il silenzio sulle cause e le responsabilità della sconfitta. Vengo da una storia di aspre battaglie anche interne alla mia parte, forse c’era anche una pesante inclinazione a “punizioni” pesanti e affrettate. Ma io credo, spero, che noi della sinistra abbiamo anche imparato qualche cosa dai nostri errori del passato».

Cosa vuole dire?
«Ho una formazione leninista-stalinista. Ho vissuto in Italia le vicende straordinarie e talvolta eroiche con cui la componente comunista ha animato nel mio Paese, ma più largamente nel vasto mondo, una lotta epica per i diritti dei lavoratori. E tuttavia quella lettura e pratica del mondo, che chiamammo leninismo, è stata sconfitta. E oggi io e tanti altri miei compagni sappiamo bene per quali errori pesanti si determinò il crollo».

Tornando alla sinistra e applicando il suo ragionamento all’oggi?
«Lo scontro con la destra reazionaria è tutt’ora in corso, e anche il confronto elettorale è ancora in atto in molte città italiane. Per me questo passa avanti a tutto. Può anche darsi che dentro di me ciò sia radicato nell’antica, ostinata tensione che avevamo per realizzare l’unità, quella parola scelta addirittura a nome e simbolo del nostro giornale...»

Però è innegabile che errori a sinistra sono stati commessi, non c’è da stupirsi se ora si avverte la necessità e l’urgenza di capire...
«Ripeto, non sto chiedendo il silenzio. Anzi. La stessa battaglia aperta per Roma e altre città italiane chiede una iniziativa fresca e rapida per realizzare ciò che ci è mancato per la vittoria. Seppure da lontano, riesco a vedere le carenze, le divisioni, i silenzi che ci hanno fatto male. Ma dico un duro no alla rissa interna nelle nostre file».

Insiste molto sul ballottaggio di domenica: che ne è delle questioni di più ampio respiro a cui si è dedicato?
«Questo è il primo passo, necessario, ma è chiaro che l’amara vicenda italiana non cancella per nulla - non deve cancellare - lo scontro che continua nel vasto mondo: scontro a mano armata. In luoghi cruciali del globo tuttora si spara: nei modi della moderna “uccisione di massa”. Sembra incerto persino il luogo in cui si terranno le Olimpiadi. Le dimensioni della lotta hanno questi connotati. È viva in me l’amarezza per la scomparsa di quella nozione solenne e dimenticata che usammo chiamare: pace. Chi spera ancora nella pace?».

È la cosa che più la turba?
«Questa, sì. Ma resto turbato anche da questioni - come dire? - più semplici. Ostinatamente (forse ottusamente...) non riesco a capire perché siano ancora in campo istituzioni umane (chiamiamole così...) come la pena di morte, o anche l’ergastolo. Non le capisco nemmeno quando vengono usate contro gli assassini o i massacratori come quel tale Saddam Hussein...».

I difensori della pena di morte sostengono che sia per scoraggiare gli assassini.
«Scoraggiare uccidendo... Che straordinaria invenzione. Quante ne sappiamo inventare noi esseri umani».

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