9.05.2008
Il confinamento della CO2: un'illusione. Sintesi del rapporto "False Hope – Why Caron Capture and Storage won’t save the climate" La tecnologia di "cattura e stoccaggio della CO2" (CCS) ha l’obiettivo di ridurre l’impatto climaticocausato dalla combustione di fonti fossili. L’operazione consiste nel catturare la CO2 prodotta dallecentrali termoelettriche, per confinarla sottoterra. Lo sviluppo della CCS viene ampiamentepromosso dall’industria del carbone e dalle aziende elettriche, tra cui Enel in Italia, come
giustificazione alla costruzione di nuove centrali a carbone. La tecnologia è tuttavia ancora agli
albori e non sarà in grado di fornire alcun contributo efficace alla riduzione delle emissioni di gas
serra, così da prevenire i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici.
Il Rapporto "False Hope – Why Carbon Capture and Storage won’t save the climate" si basa
esclusivamente su ricerche scientifiche indipendenti1, e mostra che:
• la tecnologia CCS non arriverà in tempo per arginare i cambiamenti climatici. Non si prevede
infatti che la tecnologia potrà essere commercialmente disponibile prima del 2030. Per evitare i
peggiori impatti dei cambiamenti climatici, le emissioni mondiali dei gas serra devono invece
iniziare a ridursi dopo il 2015, tra appena sette anni;
• la CCS consuma molta energia: tra il 10% e il 40% dell’energia prodotta da una centrale
termoelettrica. Si prevede che l’adozione su ampia scala della CCS annullerà quindi i
miglioramenti in termini di efficienza degli ultimi 50 anni e farà aumentare il consumo delle
risorse di un terzo;
• stoccare la CO2 sottoterra è rischioso. Il confinamento sicuro della CO2 nel lungo periodo non
può essere garantito, e persino una quantità molto bassa di perdite di CO2 potrebbe
compromettere qualsiasi sforzo per attenuare i cambiamenti climatici;
• la CCS è una tecnologia costosa e potrebbe far raddoppiare i costi per la realizzazione di
centrali a carbone, con un aumento dei prezzi dell’elettricità del 20-90%. Il denaro speso per la
CCS farebbe allontanare gli investimenti destinati a soluzioni sostenibili per i cambiamenti
climatici, come fonti rinnovabili (eolico, solare, biomasse sostenibili) ed efficienza energetica;
• la CCS comporta notevoli rischi legali e la legislazione che gestisca in maniera adeguata
tali rischi non è ancora stata sviluppata.
Cos’e la CCS?
La CCS è un processo integrato, suddiviso in tre parti distinte: la cattura della CO2, il trasporto e lo
stoccaggio (insieme a misurazione, monitoraggio e verifica). La "cattura" permette di ottenere dai
fumi di combustione un flusso concentrato di CO2 che può essere compresso, trasportato e
stoccato. Il trasporto dell’anidride carbonica verso i siti di stoccaggio avviene principalmente
attraverso gasdotti.
Lo "stoccaggio" della CO2 catturata costituisce la parte finale del processo. La maggior parte della
CO2 stoccata dovrebbe essere confinata in siti geologici su terraferma o sotto il fondale oceanico.
Era anche stato proposto di disciogliere l’anidride carbonica nelle acque degli oceani ma questo
metodo è stato ampiamente criticato per gli impatti negativi che si avrebbero sugli ecosistemi
marini, in seguito a processi di acidificazione, e per le restrizioni legali che proibiscono lo
smaltimento di rifiuti industriali in mare, come la Convenzione di Londra del 1972.
1 Per verificare la fonte delle informazioni contenute in questa sintesi si rimanda al rapporto completo in
inglese, disponibile su www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/ccs
La tecnologia CCS non arriverà in tempo per arginare i cambiamenti climatici
La crisi climatica richiede un rapido intervento. Gli esperti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on
Climate Chence, il maggiore organismo delle Nazioni Unite) avvertono che per evitare i peggiori
effetti dei cambiamenti climatici, le emissioni mondiali di gas serra devono raggiungere l’apice
entro il 2015, così da poter essere dimezzate entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990.
Attualmente non esistono ancora centrali a carbone di dimensioni industriali (500 MW) in grado di
catturare e confinare la CO2, ma solo alcune centrali in cui si praticano operazioni di stoccaggio.
Le prime tecnologie CCS applicate a impianti di scala industriale potrebbero essere
commercialmente disponibili solamente entro il 2030. Tuttavia, le nuove centrali a carbone
immetteranno in atmosfera nuove emissione di CO2 da qui al 2030.
Il carbone è la fonte fossile con le più alte emissioni specifiche di gas serra (circa 800-1000
grammi di CO2 per kilowattora prodotto, contro i 300-450 grammi/kWh del gas naturale), ed è giÃ
oggi responsabile di oltre un terzo delle emissioni mondiali di CO2. Se le proiezioni "business-asusual"
dell’International Energy Agency (IEA) venissero rispettate, le emissioni di CO2 da carbone
aumenterebbero del 60% entro il 2030, compromettendo definitivamente la possibilità di arrestare i
drammatici effetti dei cambiamenti climatici. Se la CCS potrà mai funzionare, sarà troppo tardi.
La CCS consuma energia
La cattura e lo stoccaggio di CO2 comporta l’impiego di elevate quantità di energia, generalmente
dal 10% al 40% di quanto prodotto da una centrale elettrica. Perdite di questo tipo costituiscono
una drastica riduzione dell’efficienza dell’impianto, e significano maggiori risorse da consumare per
produrre la stessa quantità di energia.
Si prevede che l’adozione su ampia scala della CCS annullerà i miglioramenti in termini di
efficienza degli ultimi 50 anni e farà aumentare il consumo delle risorse di un terzo. Non solo
maggiore carbone da estrarre, da trasportare e bruciare, ma anche acqua. Studi indicano infatti
che le centrali con CCS avranno bisogno del 90% in più di acqua dolce rispetto a quelle che ne
sono prive.
Il rischio di stoccaggio sottoterra
L’Agenzia Internazionale per l’energia (IEA) stima che la quantità di CO2 da catturare e confinare
per avere qualche effetto sensato sulla mitigazione del clima al 2050, richiederebbe la
realizzazione di 6.000 progetti, ognuno dei quali dovrebbe pompare nel sottosuolo un milione di
tonnellate di CO2 all’anno. Attualmente non sappiamo se catturare e confinare tale quantità di CO2
sia tecnicamente possibile, in quanto non è chiaro se esistono siti di stoccaggio in numero
sufficiente e se questi siti si trovano nei pressi degli impianti. Il costo per il trasporto della CO2 per
distanze superiori a 100 km risulterebbe infatti proibitivo.
Tuttavia, anche se fosse possibile confinare milioni e milioni di tonnellate di CO2, non esiste alcun
modo per garantire che i siti di stoccaggio vengano progettati e gestiti correttamente nei secoli a
venire. Fino a quando la CO2 si troverà in siti geologici, esisterà il rischio di perdite, e qualsiasi
rilascio di CO2 può avere impatti sull’ambiente circostante, tra cui danni agli ecosistemi,
contaminazione delle falde acquifere, inquinamento dell’acqua potabile e dei suoli, effetti negativi
sulla salute. Un esempio dei pericoli connessi alla fuoriuscita di CO2 si è avuto in Camerun, a Lake
Nyos nel 1986. In seguito a una eruzione vulcanica, si sprigionarono improvvisamente enormi
quantità di CO2 accumulatesi sul fondo del lago, che uccisero circa 1.700 persone e migliaia di
bovini nel raggio di 25 km.
Per quanto riguarda il clima, bastano perdite minime di CO2 dal sottosuolo per rendere vani i
benefici che si otterrebbero dalle operazioni di confinamento. Fuoriuscite pari ad appena l’1%
all’anno della CO2 confinata, basterebbero infatti per riportare in atmosfera il 50% di questo gas
serra nel giro di settanta anni.
La CCS è costosa e minaccia gli investimenti per soluzioni sostenibili
Sebbene le stime oscillano ancora fortemente, già oggi si ha la certezza che la CCS sarÃ
estremamente costosa. Il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti (DOE) ha calcolato che
l’installazione di sistemi di cattura e confinamento di CO2 farà raddoppiare i costi di realizzazione
delle centrali a carbone. Questo comporterà un aumento dei prezzi dell’elettricità compreso tra il
20% e il 90%.
Le ricerche attuali mostrano che l’elettricità generata dal carbone attraverso la tecnologia CCS
sarà quindi più costosa di molte altre fonti meno inquinanti, come ad esempio l’eolico e alcune
biomasse sostenibili.
Pur ipotizzando che la cattura della CO2 sarà realizzabile a livello commerciale, e che mantenere
lo stoccaggio sia possibile nel corso dei secoli, l’industria dovrebbe affrontare costi esorbitanti. Al
contrario, come mostra il rapporto di Greenpeace "Future Investment", investire in un futuro di
energia rinnovabile farebbe risparmiare 180 miliardi di dollari l’anno e dimezzare le emissioni di
CO2 entro il 20502.
I soldi investiti nel CCS saranno invece sottratti allo sviluppo delle fonti rinnovabili e di misure di
efficienza energetica, le vere soluzioni per fronteggiare la crisi climatica. Tali fonti energetiche
devono essere considerate prioritarie in quanto sono già oggi disponibili e in grado di soddisfare
largamente il crescete fabbisogno di energia primaria mondiale, permettendo di dimezzare le
emissioni globali di CO2 al 20503, così come mostra il rapporto "Energy [R]evolution" di
Greenpeace. La CCS è una pericolosa distrazione, in quanto la tecnologia è ancora immatura,
rischiosa, costosa e difficilmente realizzabile nei prossimi venti anni.
Un’idea dei costi effettivi della CCS è offerta dal progetto statunitense "FutureGen", il maggior caso
di applicazione di tecnologie CCS ad una centrale a carbone. Il progetto, partito da un accordo
www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/future-investment
www.greenpeace.it/energyrevolution.
Fonte http://www.greenpeace.org
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