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Le priorità del sindacato di Nicola Nicolosi
13.05.2008

Le priorità del sindacato .Documento conclusivo proposto al Comitato Direttivo nazionale, presentato da Nicola Nicolosi a nome di Lavoro Società.

L’esito delle elezioni politiche ci consegna un quadro politico più difficile per gli interessi che rappresentiamo. Le controparti potrebbero cedere nuovamente alla tentazione di un rapporto privilegiato con il governo di destra e di dividere il sindacato.

Chiediamo alle associazioni padronali e al Governo la chiusura di tutte le vertenze contrattuali che sono ancora aperte, nel settore privato e in quello pubblico.

Staremo al merito: abbiamo l’esperienza e gli anticorpi per reagire, facendo il nostro mestiere. Contro l’egoismo sociale e le spinte particolaristiche, il sindacato promuoverà la solidarietà e l’interesse generale, anche nelle politiche rivendicative.

Dobbiamo continuare la lotta contro la precarietà e per una nuova redistribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro.

La precarietà è il paradigma del modello sociale neoliberista nell’epoca della globalizzazione e la chiave di lettura del disagio sociale ed esistenziale della condizione dei giovani, delle donne, degli anziani.

C’è stato in questi 15 anni uno spostamento costante della ricchezza dai salari alla rendita e ai profitti, con una dinamica delle retribuzioni nette inferiore a quell’inflazionistica - senza ridistribuire produttività e PIL - e con un crescente impoverimento relativo dei lavoratori, che in ampie fasce si è tradotto in impoverimento assoluto.

E’ cresciuta in questo modo la sperequazione dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro a partire dai soggetti più esposti nel mercato del lavoro: le donne cui continua ad essere negata la parità d’accesso, di retribuzione, d’inquadramento; i giovani; gli "over 50"; i migranti; le aree territoriali di buona parte del Mezzogiorno, ma anche d’alcune zone delle regioni più ricche.

La CGIL ha posto la questione della qualità e quantità della remunerazione del lavoro, come uno degli assi della politica generale per contrastare il declino del Paese.

Precarietà e povertà salariale mettono in discussione conquiste storiche del movimento sindacale in Italia. Si pone, più di prima, una questione della democrazia e dei diritti nei luoghi di lavoro.

La lotta intrapresa nel 2002, una volta superata la fase di contrasto, nella quale l’iniziativa sindacale è stata decisiva anche per determinare gli esiti della lotta politica, i cui risultati sono stati dissipati dalle forze democratiche in due anni di governo, ha dato esiti contraddittori.

 

E’ stato fermato l’attacco frontale sul terreno dei diritti, simboleggiati dalla lotta in difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Per via contrattuale, sono stati regolati parzialmente i contratti a causa mista e, attraverso iniziative legislative, vertenziali e contrattuali sono stati risolti alcuni squilibri e sanate sacche di precariato nella scuola, nelle pubbliche amministrazioni e nel settore delle telecomunicazioni. Sono state abolite alcune forme particolarmente odiose di lavoro precario. La determinazione delle categorie della CGIL ha vanificato le norme su funzione e ruolo degli enti bilaterali.

Ma la Legge 30 resta in vigore. Restano in vigore le norme sulla dismissione di ramo d’azienda e tutte le altre che rendono possibile rompere l’unità contrattuale in uno stesso luogo di lavoro, dividere i lavoratori sulla base del numero d’addetti e quasi tutte le fattispecie di lavoro precario.

L’accordo del 23 luglio 2007 sulla reiterazione dei contratti a termine ha segnato una pesante battuta d’arresto nella lotta alla precarietà.

La lotta alla precarietà, per il lavoro stabile e sicuro, contrattualmente tutelato, una nuova redistribuzione della ricchezza in uno stato sociale universalistico e inclusivo, resta questione centrale per chi voglia rimuovere l’ingiustizia sociale più profonda e si candidi a rappresentare, come sindacato generale, l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori.

La linea dell’estensione delle tutele e dei diritti per legge e per contratto resta l’orizzonte strategico della linea rivendicativa della CGIL che vede nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la forma "normale" di rapporto di lavoro.

L’accordo del 23 luglio 1993 sul modello contrattuale protratto nel tempo e la prassi rivendicativa che n’è seguita non hanno raggiunto l’obiettivo di mettere in sicurezza stipendi e salari attraverso il contenimento delle spinte inflazionistiche. Non ha funzionato lo scambio tra invarianza dei salari e degli stipendi contrattuali e restituzione del drenaggio fiscale, controllo di prezzi e tariffe e generalizzazione della contrattazione integrativa di secondo livello.

I salari reali sono diminuiti, mentre la contrattazione di secondo livello è rimasta prerogativa di un numero limitato d’aziende, soprattutto in ragione dell’enorme frammentazione del tessuto produttivo.

Le norme di legge per l’elezione, nel Pubblico impiego, di RSU e di definizione di criteri e soglie minime di rappresentanza, non hanno avuto seguito negli altri settori.

 

 

Difendere funzioni e ruolo del contratto nazionale

estendere la contrattazione

Bisogna rafforzare la potestà contrattuale dei sindacati di categoria nei comparti e delle RSU nella contrattazione di secondo livello. Occorre un modello contrattuale unico per il settore pubblico e quello privato.

Un modello contrattuale unico tutela le categorie più deboli e più esposte, permette di tenere assieme settori forti e settori deboli, rafforza peso e ruolo del sindacalismo confederale.

Il CCNL è lo strumento unitario per l’azione sindacale di categoria volta a tutelare e migliorare la condizione lavorativa e garantire diritti e tutela in materia di orari, inquadramenti e sicurezza che non possono essere derogate al secondo livello o alla bilateralità.

Occorre indicare modi e tempi di recupero del divario tra salari, profitti e rendita. Bisogna indicare l’obiettivo politico di portare le quote di salario dal 41% di oggi a oltre il 50% del PIL, così come avviene nelle democrazie europee.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro è lo strumento di solidarietà generale per difendere e aumentare i salari reali, garantendo interamente il recupero dell’inflazione e ripartendo quote di produttività e di PIL.

L’esperienza di questi anni ci ha insegnato che la prima priorità è "mettere in sicurezza" il contratto nazionale: ci vogliono regole più incisive, con meccanismi sanzionatori verso le controparti e risarcitori vero i lavoratori, per contrastarne la tendenza a rinviare il rinnovo dei contratti.

 

Il superamento del biennio economico con la triennalità di vigenza contrattuale è possibile soltanto con la esplicitazione di uno strumento automatico e annuale di recupero dell’inflazione reale, qualora questa si discostasse da quella prevista dall’intesa contrattuale. Bisogna rivedere l’individuazione del tasso d’inflazione, agendo sulle voci di composizione del paniere e ridefinendo il peso specifico d’ogni singola voce, anche utilizzando parametri europei, così da valutare realmente l’effetto inflattivo sui redditi da lavoro.

La CGIL è contraria alla detassazione degli straordinari e degli aumenti contrattuali di secondo livello, perché produrrebbe divisione nel mondo del lavoro, renderebbe più forte il potere datoriale e ridurrebbe il potere contrattuale del sindacato,; provocherebbe l’aumento delle ore lavorate (già oggi in Italia la media di ore lavorate e di 1800 contro le 1600 medie europee…) e dello sfruttamento e svuoterebbe nei fatti ruolo e funzione del CCNL.

Occorre un intervento sulle aliquote fiscali basse e medie per recuperare a posteriori quanto dovuto dalla mancata restituzione del drenaggio fiscale e l’introduzione d’automatismi d’attenuazione del drenaggio fiscale.

Va prevista la fiscalizzazione degli oneri sociali per gli stipendi più bassi.

Gli enti bilaterali d’emanazione contrattuale devono essere ricondotti alla loro funzione originaria, contro gli stravolgimenti previsti dalla Legge 30. La bilateralità vale se strumento di sostegno e servizio alla contrattazione.

La contrattazione integrativa di secondo livello, deve essere acquisitiva, ovvero migliorativa rispetto al contratto nazionale. Ovunque le dimensioni d’impresa e il livello di rappresentanza sindacale lo consentano, la contrattazione integrativa deve essere aziendale e affidata alle RSU, coadiuvate dai sindacati di categoria con priorità alla contrattazione di sito o di filiera – che n’è un’articolazione – e che deve avere come obiettivo la ricomposizione unitaria delle tutele e dei diritti a parità di prestazione e di lavoro, considerando come riferimento le condizioni normative e salariali applicate nell’"azienda-madre". La confederazione deve coadiuvare i sindacati di categoria per favorire sinergie, impedire la "concorrenza" sulla titolarità d’organizzazione e promuovere il raccordo tra i delegati e le delegate delle aziende interessate.

Ovunque non sia possibile la contrattazione integrativa aziendale va prevista una contrattazione territoriale categoriale che non deve essere aggiuntiva, né alternativa o contrapposta alla contrattazione aziendale.

Un modello contrattuale universale, per pubblici e privati, dovrà tenere conto anche delle attuali modalità di contrattazione di secondo livello del settore pubblico, che è in larga parte e per alcuni esclusivamente contrattazione di quote di salario già definite nel contratto nazionale.

Il salario indiretto dei lavoratori è demandato al sistema universale di welfare.

La CGIL conferma la scelta per uno stato sociale universale e inclusivo e quindi riterrebbe un errore se quote di ricchezza, che oggi attraverso la tassazione sono utilizzate per finanziare lo stato sociale, fossero dirottate verso forme di welfare aziendale o contrattuale.

Diritto alla salute e all’assistenza, all’istruzione e alla formazione lungo tutto l’arco della vita sono diritti di cittadinanza, rispetto ai quali ciascuno deve concorrere proporzionalmente e progressivamente sulla base del proprio reddito, come costituzionalmente previsto, e non sarebbero accettabili prestazioni "minime"differenziate e discriminatorie, su base contrattuale e aziendale, come avveniva, ad esempio, prima della riforma sanitaria del 1978.

Una moderna politica contrattuale deve fare i conti con la dimensione europea.

Il sindacato italiano può contribuire alla definizione di un modello contrattuale europeo rafforzando il proprio modello rivendicativo, centrato sul contratto collettivo nazionale di lavoro e sulla solidarietà e confederalità, diverso dai modelli redistributivi basati sulla centralizzazione del confronto distributivo in sede politica – che non reggono rispetto alla giurisprudenza europea – e che basa il sindacato sul livello aziendale o di mestiere.

Il sindacato italiano è un sindacato generale che ha attuato un compromesso tra rappresentanza generale degli interessi della classe e spinte particolaristiche d’azienda o di mestiere. Il contratto collettivo nazionale di lavoro è il collante, che ha permesso al sindacato di unire il Paese e i lavoratori e di reggere le trasformazioni di una società sempre più piegata vero il particolarismo e la disgregazione sociale.

Un modello universale di democrazia e rappresentanza sindacale

Un modello contrattuale valido per tutte le categorie chiede regole di democrazia e di rappresentanza sindacale che diano certezza alla titolarità della contrattazione e rendano possibile, de iure oltre che de facto, l’erga omnes.

Deve essere applicata la Costituzione, normando la registrazione degli Statuti e prevedendo meccanismi terzi di certificazione degli iscritti, al fine di determinare la natura democratica e l’effettiva consistenza di tutte le organizzazioni.

Bisogna estendere a tutte le categorie, sul modello della legislazione attualmente in vigore per il Pubblico impiego, meccanismi certificati d’elezione di rappresentanze sindacali unitarie aziendali cui vada riconosciuta titolarità nella contrattazione di luogo di lavoro.

Le Rappresentanze sindacali unitarie dovranno essere organismi di rappresentanza di tutti i lavoratori e alla loro elezione pienamente proporzionale dovranno poter concorrere tutte le organizzazioni sindacali che, a determinate condizioni, siano in grado di presentare liste nei luoghi di lavoro secondo regole da definire, con la raccolta di firme in numero qualificato, per un pluralismo sindacale senza condizioni di monopolio, ma senza favorire processi dispersivi e disgregativi.

Va definita una soglia minima di rappresentatività, uguale in tutte le categorie, basata su un mix tra iscrizioni certificate e voti riportati nelle elezioni delle Rsu.

Devono avere valore gli accordi sindacali siglati da singole organizzazioni o da coalizione delle stesse che raggiungano almeno il 50%+1 di rappresentatività certificata.

Dovrà essere previsto sulle Piattaforme e sulle intese siglate il ricorso al voto certificato, sulla base di platee definite di aventi diritto al voto e con il diritto al confronto tra posizioni diverse, per convalidare definitivamente intese confederali, categoriali e aziendali.

Qualora un accordo abbia conseguenze solo per specifici gruppi di lavoratori, il diritto di voto andrebbe riservato solo agli interessati.

Non dovrebbero essere oggetto di referendum accordi che prevedano procedure di licenziamento collettivo.

Un accordo endosindacale può essere utile a costruire le condizioni più favorevoli per la regolamentazione per legge della rappresentanza.

Nell’accordo dovrebbe essere previsto un meccanismo democratico di validazione certificata delle Piattaforme e la possibilità di eleggere le delegazioni trattanti, il referendum sulle intese.

 

La CGIL considera l’unità con CISL e UIL un obiettivo: una proposta unitaria è condizione necessaria per aprire un confronto di merito con il Governo e le controparti.

L’unità si fa nel merito e il merito è fatto di metodo e contenuti.

La proposta alle altre organizzazioni sindacali di elaborare posizioni comuni, all’interno di regole universali e di democrazia, richiede un comportamento coerente della CGIL nella definizione della propria posizione e nella costruzione del percorso unitario, conformemente allo Statuto, ai regolamenti e alla prassi di un organizzazione democratica che ha posto il pluralismo a fondamento della propria dialettica e democrazia interne.

Per un’intesa con CISL e UIL

Il CDN della CGIL, riunito a Roma il 7 maggio 2008, da' mandato alla Segreteria nazionale di ricercare un’intesa con CISL e UIL per la definizione di una proposta di riforma del modello contrattuale che corrisponda agli obiettivi sopradescritti: recuperare in tempi certi il divario tra profitti e salari, attraverso l’aumento dei salari reali contrattuali, per riaffermare la centralità e la funzione sovraordinata del contratto collettivo nazionale di lavoro, estendendolo erga omnes; per estendere la contrattazione di secondo livello.

Presupposto per l’intesa unitaria è la comune valutazione che esista una gerarchia tra i due livelli contrattuali e che il contratto collettivo nazionale di lavoro debba determinare aumenti del salario reale.

La CGIL conferma l’impianto unitario del XV Congresso.

Il CDN della CGIL ritiene che la Piattaforma comune, una volta valutata nei Direttivi unitari, dovrebbe essere sottoposta a consultazione tra i lavoratori con voto certificato, con la possibilità di presentare emendamenti e che sia definita una sede unitaria di ratifica del testo definitivo.

La Piattaforma dovrebbe definire a priori la platea cui si riconosce il diritto di voto. Il diritto di voto dovrebbe essere riconosciuto a tutte e tutti coloro che siano effettivamente coinvolti nella proposta di riforma.

Nella Piattaforma dovrebbero essere definite, sull’intesa eventualmente raggiunta, tempi certi di discussione nei luoghi di lavoro, modalità referendarie di voto nel merito della stessa, il diritto di pubblicizzazione di opzioni diverse nelle assemblee, il pluralismo nella composizione delle commissione elettorali e di seggio.

Qualora la Piattaforma unitaria contenga una proposta sui criteri di rappresentanza e di democrazia sindacale, e questa riguardi anche pensionate e pensionati e altre categorie non contrattualizzate, andranno previste due distinte procedure di validazione, esercitabili anche contemporaneamente dal punto di vista temporale.

La CGIL intende esercitare, conformemente al proprio Statuto, la democrazia sindacale

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