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La controriforma scolastica della Gelmini. di Eros Baroni
19.05.2008

La controriforma scolastica della Gelmini Un'analisi delle proposte della neo-ministra .La lettura della proposta di legge formulata da Maria Stella Gelmini, nuovo ministro dell’Istruzione (non più ‘Pubblica’), e contraddistinta da un titolo sesquipedale ("Delega al Governo per la promozione e l’attuazione del merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione e istituzione della Direzione di valutazione e monitoraggio del merito presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato"), risulta altamente istruttiva per chiunque voglia comprendere quale sia il programma di governo delle destre.

Il principio fondamentale che caratterizza il modello di scuola proposto dal Pdl e dalla Lega Nord è la distruzione non solo del diritto allo studio inteso come bene realmente pubblico in quanto universale e indivisibile, ma anche della stessa libertà di insegnamento dei docenti intesa come garanzia della loro responsabilità verso la Repubblica: diritto e libertà che vengono sostituiti da una concezione integralmente privatistica, mercantile, aziendalistica, concorrenziale, autoritaria, familistica e localistica dell’istruzione. Tale concezione emerge dalla prosa che caratterizza la suddetta proposta: infatti, dall’esaltazione dell’«autonomia degli individui rispetto alle proprie scelte e alla propria vita» (autonomia che, come emerge con chiarezza dagli altri articoli della proposta di legge, costituisce il presupposto ideologico della coincidenza economica, che «la competizione fra una pluralità di offerte» dovrà assicurare, fra quantità e qualità del ‘diritto allo studio’ e quantità e qualità della domanda solvibile rappresentata da tali individui) discendono due corollari che colpiscono al cuore l’attuale sistema dell’istruzione pubblica, cioè il delicato equilibrio fra tre diritti costituzionali equipollenti (il diritto ad apprendere degli alunni, la libertà di insegnamento dei docenti e la libertà di scelta delle famiglie).

Per rilanciare la scuola occorrerebbe, secondo il nuovo ministro, manovrare tre leve: "Valorizzazione del merito e piena applicazione del principio di autonomia scolastica", "valorizzazione del merito degli studenti" e, infine, "valorizzazione del merito dei docenti". Come? ‘In primis’, passando per il "rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente" (il principio è, in questo caso, il seguente: "tutto il potere ai presidi"). Proseguendo, poi, per "la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l’adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo", che pubblicherà "annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili" e attraverso "il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private" (ritorna in campo il buono-scuola di morattiana memoria). Gli studenti dovrebbero essere spronati a dare il meglio attraverso "la cancellazione del sistema dei debiti formativi e l’aumento della selettività dei meccanismi di avanzamento scolastico, anche attraverso la reintroduzione degli esami di riparazione". Per coloro che sono in difficoltà occorrerebbe prevedere "all'interno del piano dell’offerta formativa delle singole istituzioni scolastiche, anche consorziate tra loro, appositi moduli integrativi obbligatori che diano l’opportunità, senza oneri a carico dello studente, di recuperare nel corso dell’anno eventuali insufficienze nelle singole materie" (in sostanza, dei doposcuola ispirati al ‘capitalismo compassionevole’) e per i più bravi incentivare "gli interventi volti alla concessione di borse di studio legate al merito, ferma restando la necessità di garantire un sistema adeguato di sovvenzioni a studenti meritevoli in stato di necessità" (come sopra). Per spingere i docenti a lavorare "meglio" dovrebbe essere eliminato "ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti" (il principio è quello ‘premiale’ e si può formulare in questi termini: "sono i presidi che valutano gli insegnanti e decidono quali siano gli insegnanti meritevoli di ottenere aumenti retributivi"). Bisognerebbe liberalizzare progressivamente la professione docente "attraverso la chiamata nominativa da parte delle autonomie scolastiche su liste di idonei, con un periodo di prova di due anni scolastici propedeutico all'assunzione a tempo indeterminato" e dare "la possibilità alle singole istituzioni scolastiche di stipulare con singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico" (ciò significa dare il via libera ad una nuova forma di lavoro precario nella scuola, condito con una buona dose di clientelismo).

Di fatto, la libertà di insegnare dei docenti viene vanificata, in quanto viene seccamente subordinata (nello stesso modo proposto dai fautori della ‘riscrittura’ dei libri di testo) al diritto di apprendere degli allievi e alla libertà di scegliere delle famiglie, come se i docenti, retrocessi allo ‘status’ premoderno di istitutori privati, non fossero titolari di alcuna specifica competenza. In realtà, il famoso ‘concorsone’ di Berlinguer, contro il quale una parte consistente della categoria insorse come un sol uomo, si può paragonare ad una gentile carezza rispetto al trattamento riservato ai docenti dalla controriforma scolastica della Gelmini, che si può paragonare invece ad una scarica di poderose pedate nelle terga, con cui i docenti vengono spediti, senza troppi complimenti e con tanti saluti sia alle antiche graduatorie sia all’articolo 33 della Costituzione che garantisce contestualmente la libertà di insegnamento del singolo docente e l’indipendenza della scuola dall’esecutivo politico, nella fossa dei leoni di un mercato selvaggio. Dunque, nel quadro della ‘devolution’ regionale e dell’autonomia scolastica, che si rivelano sempre di più le teste di turco della destrutturazione della scuola pubblica, la proposta di legge della Gelmini, una volta divenuta legge, ridarà vita ad un sistema di tipo feudale-assolutistico, in cui il dirigente scolastico, scelto magari dal governatore della regione, a sua volta sceglierà il docente di suo gradimento.

Non credo che occorra procedere oltre in questa sintetica esposizione della surriferita proposta. Sarebbe già una buona cosa se la riflessione su un simile modello di scuola, il cui significato è quello di una controriforma del sistema educativo radicalmente classista e totalmente antiemancipazionista, costituisse la premessa di una mobilitazione unitaria degli insegnanti, degli studenti, dei genitori e del mondo del lavoro in difesa del diritto allo studio e di una scuola pubblica, qualificata e di massa: una scuola di tutti e per tutti.

 

Eros Barone

 

 

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