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Leggende (di Paola Carini)
20.05.2008
America del Nord, 30 aprile 1803. La Francia napoleonica ha appena venduto agli Stati Uniti di Thomas Jefferson la parte centrale del continente che va dal Golfo del Messico al confine canadese, dal fiume Mississippi alle Montagne Rocciose. Anche New Orleans è stata ceduta ma, a parte questo agglomerato urbano e pochi altri insediamenti importanti come St. Charles e St. Louis, tutto quel che giace a nord del 33° parallelo è sinonimo di natura selvaggia e di indiani selvaggi, cioè wilderness, dalla parola in antico inglese wilddēor, bestia selvaggia. L’apparato burocratico americano si mette prontamente in moto per sostituire le autorità francesi che avevano governato il territorio in precedenza, e Jefferson nomina un governatore, il Generale Wilkinson, per sistemare la situazione. Il nodo centrale è il commercio: l’acquisizione geografica diventa potere politico, e il potere politico regolamenta le relazioni commerciali. Ora i nativo-americani dell’area possono commerciare solamente con gli americani, i quali mettono fuori legge ogni attività con i concorrenti francesi, inglesi e spagnoli. Ma l’annessione del nuovo Territorio della Louisiana prospetta ben altri esiti: c’è una terra talmente vasta da vendere a coloni sempre più esigenti in cui si possono confinare anche gli indiani dell’est, in piccoli ritagli, beninteso, in modo da liberarsi una volta per tutte della loro ingombrante presenza. Il presidente successivo, Andrew Jackson, porterà a compimento quest’idea di Jefferson, obbligando ad una marcia forzata lunga centinaia di chilometri migliaia di persone di discendenza autoctona.

Le terre sul Pacifico, si sapeva, erano in parte messicane e in parte inglesi, ma cosa c’era nel mezzo, e soprattutto chi c’era laggiù, tra il Mississippi e le Montagne Rocciose? Agli inizi dell’Ottocento, quando Napoleone dominava l’Italia attraverso i suoi consanguinei e metteva a ferro e a fuoco l’Europa incoronandosi imperatore, le nazioni indiane che vivevano nella fascia centrale degli odierni Stati Uniti, come i temibili sioux, non avevano ancora avuto contatti con i rappresentanti del governo americano. Fu così che al Congresso Jefferson propose la sovvenzione di 2.500 dollari ad una spedizione formata da un gruppo di uomini scelti con a capo due ufficiali, Meriwether Lewis e William Clark, che esplorasse l’ovest per conoscere meglio sia l’area, sia gli indiani che l’abitavano. La spedizione, The Corps of Discovery, passò alla Storia ammantata di leggenda e ai due leader, Lewis e Clark, successe altrettanto. Ma anche una ragazzina passerà alla Storia diventando leggenda, una giovane shoshoni rapita da bambina dagli hidatsa e comprata da un commerciante francese, Toussaint Charbonneau, dal quale aspetta un bimbo che si unirà a loro accompagnandoli nel viaggio. Clark le diede il soprannome di Janey, e poco altro si sa di lei, se non che il suo nome era Sàcagawea.

Lo scopo ufficiale della missione era quello di esplorare il corso del Missouri e di altri fiumi che sfociavano nel Pacifico in modo da trovare la via acquea più favorevole agli scambi commerciali verso occidente. Nei piani di Jefferson, infatti, c’era la creazione di una compagnia delle pelli americana che facesse concorrenza a quelle francesi e inglesi che, pur non possedendo di fatto il territorio, lo conoscevano e lo praticavano perfettamente. Così, il 14 maggio 1804, un gruppo di una trentina di uomini, tra cui dei francesi, un tedesco, lo schiavo di Clark e il cane di Lewis, partirono per un avventuroso viaggio che li impegnò fino all’anno successivo, quando raggiunsero il Territorio dell’Oregon e la costa oceanica. Un solo uomo morì, non ci fu nessuna battaglia né con gli aggressivi lakota né con altre tribù, e nei loro diari i capitani Lewis e Clark registrarono scoperte botaniche (178 piante sconosciute), faunistiche (122 nuovi animali), geologiche (un gran numero di minerali) che periodicamente spedivano indietro direttamente a Jefferson, a cui giunse anche un piccolo cane della prateria, vivo.
Tra insidie naturali e difficili approcci con le tribù indiane, la spedizione si destreggiò piuttosto bene, anche grazie alla giovane. Quando la piroga con gli ufficiali e Charbonneau si capovolse, Sàcagawea fu così coraggiosa da gettarsi nelle acque e portare in salvo gran parte del materiale – strumentazioni, libri, medicine – che sarebbe drammaticamente andato perduto senza la sua prontezza nel reagire, e fu merito suo se i colloqui con gli indiani ebbero sempre esito pacifico. Nella sua lingua o con il linguaggio dei segni, Sàcagawea comunicava con gli indiani, e poi con Charbonneau in hidatsa ed egli lo traduceva in francese ad un membro della spedizione il quale lo ritraduceva in inglese.
Anche per la sedicenne Sàcagawea il viaggio non fu facile: ebbe un attacco di quel che oggi si ritiene fosse gonorrea, partorì il bambino, sano, e rischiò di annegare in una gola inondata all’improvviso a causa di una pioggia torrenziale. Finalmente poté riabbracciare la sua famiglia e la sua gente quando la spedizione raggiunse gli shoshoni, il 17 agosto 1805, nell’odierno Idaho. Proseguirà comunque, col bambino, nell’ultima parte del viaggio fino all’oceano attraverso le Montagne Rocciose.
La breve vita di Sàcagawea ebbe fine nel 1812, dopo aver dato alla luce una bambina. Con Charbonneau latitante, entrambi i suoi figli furono adottati e cresciuti da Clark.

La vita di questa ragazza ben presto fu circonfusa di un’aura leggendaria. Dettagli fantasiosi infarcirono gli scarni resoconti di Lewis e Clark, mentre sedicenti Sàcagawea, ormai anziane ma ancora viventi, alla fine del secolo si ritrovavano fra varie tribù disseminate lungo il percorso della spedizione. Le suffragette la elevarono a simbolo femminista, e il cinema degli anni quaranta la immolò al grande pubblico, nonostante il suo ruolo fosse dato ad attrici bianche. Il suo aspetto, ignoto, venne idealizzato e ricreato per un francobollo nel 1993, la zecca americana prese a modello una giovane shoshoni per riprodurne il viso sul “dollaro sàcagawea” del 2003, mentre ciò che rimane di certo è, semplicemente, il coraggio di vivere di questa giovane donna sconosciuta.

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