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Nove anni fa l'omicidio di Massimo D'Antona
24.05.2008

Nove anni fa l'omicidio di Massimo D'Antona Veltroni: "Il Paese si inchini davanti alle vittime" Video intervista a Olga D'Antona "E' il momento che parlino le vittime e che il paese si inchini davanti a magistrati, poliziotti, carabinieri, sindacalisti, militanti politici dell’una e dall’altra parte". Walter Veltroni, prendendo parte alla cerimonia in ricordo di Massimo D’Antona, ucciso nove anni fa in via Salaria a Roma da un attentato terroristico a firma delle nuove brigate rosse, ha ricordato come il vento sia cambiato. Basta con gli altoparlanti per chi è stato terrorista politico, ora è il momento che a parlare siano le vittime, per voce dei loro parenti e dei loro cari.

"L'assassinio di Massimo D'Antona arrivò a squarciare il tempo in cui pensavamo che il terrorismo fosse terminato. Era un riformista - dice Veltroni- e cercava una soluzione a problemi tra le diverse esigenze del mondo del lavoro. Il terrorismo si oppone agli uomini che vogliono il dialogo. Sceglie coloro che vogliono cambiare la nostra società".

A chiedere che si giunga finalmente a fare luce su una delle pagine più oscure del nostro Paese è la moglie di Massimo D’Antona, Olga. "Non ci può essere memoria condivisa senza che ci sia verità. Non sono tra quelli che intendono mettere marchi a vita, neppure a chi si è macchiato di gravissimi delitti. Penso che si debba lasciare a tutti la possibilità, una volta scontata la pena e dimostrato un reale ravvedimento, di essere riaccolti a pieno titolo nella società. Purtroppo – continua Olga D’Antona, oggi deputata del PD – in Italia non c'è ancora memoria condivisa. Oggi auspichiamo che si faccia finalmente verità, grazie anche al fatto che è stato tolto il segreto di stato sui carteggi, su ciò che ne rimane, anche rispetto all'enorme carteggio Moro. Senza verità non c'è memoria condivisa, e senza memoria condivisa non ci può essere riconciliazione".

Democratica TV in occasione della prima giornata della memoria delle vittime del terrorismo ha intervistato Olga D'Antona.

Pubblichiamo la versione integrale di quell'intervista.

Chi era Massimo D'Antona

A Roma, nove anni dopo l’omicidio di Massimo D'Antona, si è svolta una manifestazione in suo ricordo, proprio nel luogo dove è avvenuto l’assassinio, in via Salaria. Il ricordo corre a quel drammatico giorno, quando, dopo anni di pausa "apparente", le brigate rosse tornarono a colpire per uccidere. L’obiettivo non fu affatto casuale. Massimo D’Antona, 51 anni, avvocato e docente di diritto del lavoro, era braccio destro del ministro Bassolino durante il governo D’Alema.

Un tecnico, ma anche e soprattutto, l'uomo simbolo della lotta contro le inefficienze della pubblica amministrazione. "L'uomo delle riforme e l'uomo del dialogo – scrisse nel 2002 in un messaggio ad Olga D'Antona l'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – che ha posto al servizio della nazione il suo impegno intellettuale e la sua passione etica e civile". Un uomo che ha quindi contribuito a riformare il mondo del lavoro, cercando soluzioni concrete, in grado di conciliare le esigenze di razionalizzazione e di sviluppo con quelle della tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Si deve a lui la privatizzazione "piena" del pubblico impiego, un'operazione normativa di grande spessore nella quale si pose come obiettivi la sostituzione della disciplina legislativa in materia di lavoro pubblico con una di tipo contrattuale, e la compatibilità fra i costi della contrattazione collettiva e gli equilibri di finanza pubblica. Sua anche l'elaborazione del "testo unico sul lavoro pubblico", che figura nella legge n. 50 del 1999, e che lo avrebbe visto protagonista di un'opera di razionalizzazione del mercato lavorativo e di riforma dell'amministrazione dello Stato centrale.

L'idea di fondo di D'Antona era che le questioni del rapporto di lavoro pubblico rappresentassero il nodo essenziale da sciogliere per costruire non solo un Paese al passo con i tempi, ma anche un'Europa moderna, attenta ai diritti e ai bisogni delle persone. Da qui le attenzioni rivolte al diritto di sciopero, ma anche al diritto di rappresentanza, perché fossero attuati nel pieno rispetto dello spirito costituzionale, e i suoi continui richiami al sindacato perché desse più attenzione, parole sue, "al lavoratore concreto in carne e ossa, al suo progetto di lavoro e di vita, più che al lavoro massificato di cui per lo più oggi parlano leggi e contratti".

Nel concreto operare istituzionale, a fianco al ministro Bassolino, Massimo D'Antona seppe misurare la bontà di certe sue idee, che in campo giuslavorista avrebbero gettato le basi di una cultura nuova dell'unità delle regole del privato e del pubblico, e i presupposti di un più ordinato processo produttivo, teso a realizzare tutti i valori costituzionali, e a fare del patto sociale e della concertazione l'asse portante di un moderno welfare state.

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