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Cina. Campagna Abiti Puliti
14.06.2008

LABOUR ACTION CHINA E LA CAMPAGNA ABITI PULITI SCRIVONO AL GOVERNO E ALLE IMPRESE ITALIANE. La lettera è stata presentata questa mattina a Roma da Suki Chung, portavoce di Labour Action China,

da Deborah Lucchetti, presidente di [fair] e portavoce, insieme a Ersilia Monti, della Campagna Abiti Puliti

Appuntamento con le imprese a Hong Kong, dal 29 giugno al 2 luglio prossimi, al forum "Lavoro dignitoso nell'industria sportiva globale - costruire progressi sostanziali in materia di diritti" organizzato dalla piattaforma da Play Fair 2008 nel quale sono coinvolti la Fair Labour Association e la World Federation of Sporting Goods

Roma, 12 giugno - "Tutti in questo momento attendono con ansia che si accendano i riflettori sul più grande evento sportivo degli ultimi anni, le Olimpiadi di Pechino 2008; Labour Action China, organizzazione che rappresento e che lavora al fianco dei lavoratori cinesi quotidianamente, intende richiamare l'attenzione sul sistema di sfruttamento e di abusi che si nasconde dentro i capannoni e gli stabilimenti che in Cina, come in tutto il mondo, producono scarpe e abbigliamento sportivo, e che in questo momento lavorano a pieno ritmo in vista di questo grande evento.

Fin dalle Olimpiadi di Atene del 2004 collaboriamo con la Campagna Abiti Puliti – Clean Clothes Campaign all'interno della piattaforma "PlayFair", e siamo impegnati a visitare le fabbriche, parlare con i lavoratori, raccogliere le loro voci, per scoprire e far conoscere quali e quante violazioni dei diritti umani e del lavoro nel nostro Paese non abbiano trovato ancora alcuna soluzione. Le nostre ricerche e le nostre rilevazioni sono contenute nel nuovo rapporto "Vincere gli ostacoli – come migliorare salari e condizioni di lavoro nell'industria dell'abbigliamento sportivo" che presentiamo nella sua versione italiana oggi a Roma. Nel corso delle visite agli stabilimenti di produzione ho conosciuto personalmente donne e uomini della mia stessa età, ma anche più giovani e bambini, che passano fino a 18 ore delle loro giornate a cucire e assemblare tute, palloni, divise, magliette, scarpe e attrezzi sportivi. I loro posti di lavoro sono malsani, insicuri, e per di più riescono a mettersi in tasca a fine turno meno di due dollari al giorno.

I loro prodotti porteranno marchi internazionali famosi come Nike, Adidas, Puma, ma anche di imprese italiane come Lotto e Kappa. Imprese che hanno dato ampia visibilità alle loro politiche di responsabilità sociale e al loro impegno nel promuovere codici etici. E che tuttavia tollerano che in Cina e in molti altri paesi emergenti ove fanno confezionare i loro prodotti, non siano rispettati gli standard sociali che consentirebbero una vita dignitosa a centinaia di migliaia di famiglie. Inoltre le imprese del settore hanno spesso utilizzato l'alibi della debolezza della legislazione in Cina per giustificare la non applicazione dei loro stessi codici, salvo poi ostacolare il Governo cinese quando ha lavorato per elevare le condizioni dei lavoratori per legge.

Mi preme qui sottolineare che i lavoratori in Cina sono sottoposti a condizioni di lavoro pesantissime per quattro ragioni strutturali che non è più possibile ignorare.

La libertà di associazione e di contrattazione collettiva non viene rispettata in un contesto in cui l'organizzazione di sindacati indipendenti è legalmente non consentita e anche le imprese transnazionali non favoriscono lo sviluppo di libere associazioni fra i lavoratori; la precarizzazione del lavoro è in forte aumento grazie all'utilizzo dissennato di forme di lavoro flessibile, a tempo e informali che minacciano costantemente la sicurezza dei lavoratori; la chiusura delle fabbriche, dovuta alla continua ricollocazione della produzione da parte delle imprese alla ricerca di profitti sempre maggiori unita a pratiche di acquisto irresponsabili che spremono i fornitori per ottenere prezzi stracciati , determinano l'impossibilità di riconoscere ai lavoratori condizioni migliori e un salario dignitoso, questione chiave su cui nessuno passi avanti è stato fatto, visto che nella realtà non si rispetta neanche il salario minimo legale.

Il Comitato Olimpico, cui ieri i nostri colleghi della piattaforma Playfair2008 hanno consegnato ben 12mila firme di protesta e al quale ci siamo rivolti più e più volte perché prendesse un'iniziativa di giustizia, in sintonia con i valori olimpici di lealtà e fratellanza, è rimasto inerte in tutti questi anni.

Ogni giorno in Cina ci sono scioperi, rivolte, proteste nelle fabbriche, anche se non se ne parla. E' arrivato il momento che ciascuno si assuma le proprie responsabilità ed agisca in maniera proattiva ed è per questo che sono venuta qui in Italia, paese con grande tradizione e passione per lo sport, ma anche casa madre di tante imprese che operano in Cina in questo settore. Come lavoratori e attivisti cinesi, al fianco della Campagna Abiti Puliti, chiediamo al Governo italiano di fare la sua parte per restituire credibilità,

promuovendo azioni di controllo e monitoraggio sulla condotta delle proprie imprese all'estero in relazione all'impatto delle attività produttive sulle condizioni di lavoro e sulle comunità locali. Non possiamo più accettare una totale e non regolata mobilità degli investimenti esteri esclusivamente finalizzata a perseguire i profitti delle imprese.

Pensiamo che il Governo italiano debba istruire un tavolo aperto con le imprese, le organizzazioni dei lavoratori e le reti della società civile, per trovare insieme soluzioni efficaci a tutte quelle ingiustizie e violazioni alimentate dagli acquisti e dagli investimenti che i cittadini italiani spesso pagano di tasca propria, senza saperlo, pensando di acquistare o di sostenere prodotti e imprese di qualità.

Invito, infine, i rappresentanti delle imprese dell'abbigliamento sportivo italiano a partecipare all'incontro organizzato da Play Fair 2008 ad Hong Kong intitolato "Lavoro dignitoso nell'industria sportiva globale - costruire progressi sostanziali in materia di diritti" e che si terrà dal 29 giugno al 2 luglio prossimi. Questo evento, nel quale sono coinvolti la Fair Labour Association e la World Federation of Sporting Goods, ha l'obiettivo di avviare il confronto sulle proposte contenute nel report "Vincere gli ostacoli", e di costruire strategie di sistema sui problemi chiave rilevati dai ricercatori: libertà di associazione sindacale e contrattazione collettiva, salario dignitoso, orari e precarizzazione del lavoro. Sul tavolo delle proposte offriamo un piano di azione basato su miglioramenti e indicatori verificabili e concreti, con un approccio multistakeholder basato sul controllo etico della catena di fornitura.

La vostra partecipazione sarebbe per noi un segnale concreto nella direzione di affrontare seriamente il tema del rispetto dei diritti umani lungo le filiere produttive internazionali.

Suki CHUNG

Campaign and Program Officer

LABOUR ACTION CHINA

CAMPAGNA ABITI PULITI

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APPROFONDIMENTO

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"Sono stanco da morire adesso…Nessuno di noi ha tempo di andare in bagno o di bere un bicchier d'acqua. Ciononostante, stiamo lavorando senza sosta e abbiamo persino paura di essere abbastanza veloci nel preparare le suole per la fase successiva della linea di montaggio. I supervisori fanno pressione e ci assillano di continuo. Siamo stanchi e sporchi. Lavoriamo senza pause e siamo comunque rimproverati dai supervisori."

- lavoratore che produce scarpe per la New Balance a Dongguan, China

Olimpiadi: Ming Lai CHUNG, attivista cinese, è in Italia per presentare una lettera al Governo e alle imprese italiane, a nome degli operai cinesi e della Campagna Abiti Puliti (www.abitipuliti.org), nella quale chiede di cogliere l'occasione delle Olimpiadi per cominciare a migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche dell'abbigliamento sportivo in Cina, dove molti dei lavoratori guadagnano meno di due dollari al giorno.

Ming Lai CHUNG (detta SUKI) ha 28 anni, vive ad Hong Kong ed è una delle 'anime' della Labour Action China, una delle poche organizzazioni che stanno lavorando, con grandi difficoltà e pericoli in Cina, per aiutare i lavoratori delle fabbriche di abbigliamento cinesi a difendere i propri diritti umani. Da mesi TUTTE le più grandi fabbriche di tessile cinese stanno lavorando per produrre abbigliamento sportivo con il marchio delle Olimpiadi, o in vista dell'evento considerato che tutti gli sportivi saranno sotto i riflettori dell'opinione pubblica globale e anche i loro abiti.

Suki ha girato personalmente le fabbriche, incontrato i lavoratori e le lavoratrici (la maggior parte sono donne) e aiutato la costruzione del rapporto della Campagna Abiti Puliti internazionale "Vincere gli ostacoli", che, sulla base di 320 interviste a lavoratori e lavoratrici del settore sportivo in Cina, India, Tailandia e Indonesia hanno rilevato che, nonostante alcuni marchi abbiamo messo in campo azioni di miglioramento e monitoraggio per adeguarsi agli standard internazionali su diversi aspetti, le violazioni sostanziali dei diritti dei lavoratori nell'industria globale sportiva sono ancora la norma.

Anche nel panorama delle imprese sportive italiane poco è cambiato, pur avendo registrato, proprio a seguito della campagna Play Fair del 2004, un interessante avvio di dialogo con Lotto, importante marchio italiano del settore, che ha dimostrato la volontà di affrontare concretamente le problematiche che affliggono le catene di fornitura e sub-fornitura internazionali.

Suki è in Italia come partner della campagna Abiti Puliti perché, a nome degli operai cinesi, presenti un appello al Governo e alle imprese italiane richiamandoli alle proprie responsabilità. Marchi, agenti, fornitori devono lavorare insieme alla società civile ed ai sindacati per rimuovere quelle cause strutturali che impediscono ancora oggi un netto miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori impegnati nella produzione di abbigliamento sportivo.

Il tremendo terremoto che ha colpito la Cina ed è costato al vita a quasi centomila persone, inoltre, ha colpito una zona, il Sichuan, da dove provengono molti dei lavoratori immigrati che hanno lavorato per preparare le Olimpiadi di Pechino; è il loro sudore e il loro sacrificio che ha reso possibile la preparazione del set impeccabile che accoglierà i nostri atleti il prossimo 8 agosto 2008.

Il 10 giugno, gli attivisti della Campagna hanno consegnato al Comitato Olimpico Internazionale a Losanna le 12.000 firme raccolte nei 99 paesi che hanno partecipato alla staffetta Olimpica alternativa indetta attraverso il web dalla campagna internazionale Play Fair 2008 a Marzo e terminata il 1 maggio in Cina.

Anche atleti importanti come Vera Lischka, campionessa europea di nuoto, hanno sostenuto la campagna chiedendo condizioni eque per i lavoratori che producono le sue Adidas, indossate appositamente durante il lancio della campagna.

Il messaggio per Jaques Rogge, a capo del Comitato Olimpico Internazionale è chiaro: non sono più ammissibili ritardi da parte degli organizzatori delle Olimpiadi nell'affrontare le gravi violazioni che affliggono i lavoratori e le lavoratrici impiegati nelle filiere internazionali che producono prodotti e gadget per le Olimpiadi, ovunque nel mondo. C'è in ballo la reputazione di tutto il movimento olimpico e il Comitato Olimpico Internazionale deve assumersi la responsabilità della catena di fornitura esattamente come qualunque altro marchio committente.

Contattato per la prima volta nel 2003, il Comitato Olimpico Internazionale non ha ancora prodotto alcun piano concreto per trattare i problemi gravi come salari da fame, straordinari eccessivi, violazioni in materia di salute e sicurezza, repressione sindacale riscontrati nelle fabbriche dove si produce per le Olimpiadi nel mondo. Ma le proposte ci sono, e sono molto concrete.

Il giro d'affari delle Olimpiadi

Sappiamo che le Olimpiadi di Pechino 2008 rappresentano un'occasione d'oro per i grandi marchi dell'industria mondiale dello sport che assoceranno i loro loghi alla prestigiosa manifestazione internazionale. Le televisioni di tutto il mondo saranno puntate sull'evento che sembra promettere un'audience da capogiro. Secondo le previsioni del comitato olimpico cinese (BOCOG) il numero complessivo e cumulativo di telespettatori toccherà i 40 miliardi[1]. Una platea infinita di potenziali consumatori, dei quali i più interessanti sono proprio i cinesi, benvenuti nella nuova società mondiale degli affluenti. Sono loro il gigantesco mercato emergente che già si attesta al top della classifica come il secondo più grande mercato mondiale, che ha saputo generare profitti stimati in 1 miliardo di dollari nel 2007[2]. Con una popolazione giovane[3] e sempre più avvinta dal potere del marchio, il mercato cinese per i prodotti sportivi ha un potenziale annuo valutato tra 4,2 e 5,6 miliardi di dollari. Sarà per questo che la Nike è già presente in più di 3.000 centri commerciali[4] e apre un nuovo negozio in Cina ogni giorno[5]; Adidas invece possiede più di 2.500 outlets in 300 città e spera di espanderli fino a 5.000 nel 2010[6].

Ma non sono solo le transnazionali occidentali ad espandersi con percentuali di crescita a due cifre; anche le transnazionali asiatiche stanno emergendo come players fondamentali del mercato cinese: Li Ning vanta oggi 4.300 outlets soprattutto nelle città cinesi minori[7], dove i grandi big internazionali sono meno presenti; i prezzi dei suoi prodotti sono del 30%-40% inferiori a quello dei marchi più conosciuti; Anta Sport possiede 4.000 outlet mentre Yue Yuen, il gigante taiwanese e più grande produttore mondiale di scarpe, ne possiede 3.000[8]. Questi numeri cambiano lo scenario consueto dando corpo ad una nuova geografia di rapporti e responsabilità all'interno delle filiere produttive internazionali.

E così mentre le Olimpiadi di Pechino sono costate ad Adidas tra gli 80 e 100 milioni di dollari in cash, servizi, prodotti e uniformi[9], un lavoratore cinese che confeziona le sue scarpe non può permettersi neanche il biglietto per la cerimonia iniziale, che gli costerebbe quattro mesi di stipendio.

Anche il maggiore competitor, la Nike, non scherza; con l'80% della fornitura di scarpe e indumenti sportivi alle squadre cinesi professioniste di pallacanestro[10] e una spesa in pubblicità e sponsorship pari a 1,9 miliardi di dollari nel 2007, la Nike si colloca in cima alla classifica dei top spender mondiali.

E le imprese italiane?

Tutti i marchi citati nel presente report hanno registrato un trend di crescita molto significativo. Freddy, 55 milioni di euro nel 2006 con 5,5 milioni di utili e sponsor ufficiale del team italiano a Pechino, ha avuto una crescita del giro d'affari in dieci anni (1997-2006) del 700%, mentre gli utili nello stesso periodo sono aumentati del 3000%[11]. Spende ogni anno 8 milioni di euro in sponsorizzazioni e pubblicità e tra le squadre che veste troviamo il Corpo di ballo del Teatro alla Scala, la Federazione Ginnastica d'Italia e atleti quali Jury Chechi. Per Pechino 2008 ha speso 20 milioni di euro[12].

La Kappa ha speso nel 2007 11,3 milioni di euro in sponsorizzazioni e pubblicità ed è interessante notare che tale cifra è inferiore al costo del lavoro che ammontava a 10,4 milioni di euro, oneri sociali inclusi. È la quinta azienda in Europa per numero di contratti per la sponsorizzazione di squadre di calcio ma investe anche in rugby e golf, oltre alle Olimpiadi di Pechino[13].

La Lotto con un giro d'affari di 160 milioni di euro nel 2006[14] spende in media tra il 10 e il 12% del fatturato in sponsorizzazioni. Nel 2007 ha sponsorizzato anche le 16 squadre partecipanti al campionato di calcio della "Città del Vaticano" dedicato ai religiosi e seminaristi, la "Clericus Cup"[15]. Mentre nel 2008 ha siglato un accordo di sponsorizzazione di 20 milioni di sterline per cinque anni con la squadra di calcio Queens Park Rangers[16]. Interessante inoltre notare che il 68% delle vendite è realizzato in Europa mentre il 15% avviene già in Asia. Nel gennaio 2006, infatti, Lotto Italia è entrata in Cina e congiuntamente alla società cinese di abbigliamento Scienward International Holdings Ltd ha creato la Lotto Cina Ltd, partecipata al 50% e proprietaria di negozi monomarca in cinque città: Hong Kong, Pechino, Shanghai, Shenzhen e Nanjing. Ma l'obiettivo è di aprirne altri 12 nelle principali città cinesi mentre ne ha affidato circa 100 in licenza[17].

Anche la Diadora spende ogni anno il 10-12% del fatturato in sponsorizzazioni per vestire venti giocatori di calcio tra cui Totti, squadre come l'Hannover in Germania e la nazionale scozzese; giocatori di Rugby e alcuni tennisti[18]. Dall'aprile 2008 partecipa del 40% del capitale societario di una ditta cinese che produrrà e commercializzerà i prodotti a marchio Diadora[19].

Per i lavoratori e le lavoratrici che cuciono scarpe, palloni e indumenti per tutti le cose non cambiano, i redditi non crescono e la notorietà neppure, mentre gli indici di crescita dei loro paesi volano insieme ai tassi di inflazione.

fonte: Monica Di Sisto <moni.disisto@iol.it>

 

 

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