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Avezzano, Italia. Alla Micron arrivano gli americani e finiscono
9.08.2003

«Amico mio, quando varchi i cancelli di questa fabbrica devi dimenticare di essere un uomo con i tuoi diritti, le tue esigenze, le tue debolezze. Sei un microchip, una parte dell’ingranaggio. E devi pure sorridere». Cancelli della Micron, fabbrica ad altissima tecnologia. Qui, in questa multinazionale dell’Idaho (Usa) - siamo ad Avezzano, nella Marsica - si producono memorie sdram e semiconduttori.

Gli operai non si chiamano operai ma team members, i capisquadra e i capireparto non esistono, roba da archeologia industriale, li hanno sostituiti gli shift manager, i lead operator e i trainer. In tutto 1500 persone, uomini e donne, laureati e diplomati, età media bassissima. Chi supera i quarant’anni è out. «L’azienda - racconta un operatore, vale a dire l’ultimo livello della gerarchia interna - ha da tempo messo in atto un piano di rottamazione dei lavoratori. Ti offrono 24 mensilità se accetti di andartene spontaneamente rinunciando per iscritto a future cause per eventuali malattie professionali. La procedura è semplice: il capo ti chiama e ti dice che ormai sei fuori dagli standard, che non rispetti più i livelli di produzione richiesta. "Cerchiamo gente più motivata", è la frase magica. Tu gli opponi la tua esperienza, i tuoi anni di anzianità aziendale e lui niente. Una sfinge. Da quel momento sai che ti conviene accettare, altrimenti la tua vita là dentro sarà un inferno». Carriera bloccata, lettere di richiamo al primo sbaglio, gli altri - i più giovani e motivati - che ti passano davanti. Un inferno. «Già - dicono sornioni al Cim, il centro di igiene mentale - se continua così i nostri migliori clienti diventeranno quelli della Micron», e ti mostrano una pila di richieste di assistenza di lavoratori dello stabilimento. Perché qui si lavora e sodo: 12 ore al giorno, gli occhi incollati al video o ai microcircuiti, le dita che tamburellano sul mouse. Si lavora di giorno e di notte. Due giorni dalle otto del mattino alle otto di sera, altri due dalle otto di sera alle otto del mattino. Per quattro giorni si riposa, poi si riprende per altri tre, in attesa di riposare nuovamente per altri cinque. Dodici ore nelle clean room, in un ambiente ad una temperatura costante di 22 gradi e con un tasso di umidità del 40 per cento, con addosso una tuta - rigorosamente bianca - una cuffietta in testa, un cappuccio che ti copre fino al naso, guanti in lattice per le mani, occhiali e copriscarpe. Roba da «Guerre stellari». Chiedo ad un «operatore» (la parola operaio è semplicemente tabù) come si fa ad andare in bagno così bardati. «Il break (la pausa) complessiva sull’intera giornata lavorativa (12 ore) è di due ore appena, pausa pranzo compresa. Per andare in bagno la "procedura" è governata da regole rigide: prima devo avvisare il mio superiore che mi dà il permesso, poi ho sette muinuti per spogliarmi - altrettanti per rivestirmi - se sgarro mi tolgono il tempo che ho sprecato dal break, se esagero mi mandano una lettera di richiamo». Ascolto e penso con orrore agli effetti devastanti che una colite o una prostata infiammata possono avere sulla carriera del povero team member.

Condizioni di lavoro dure? Ma quando mai? L’azienda respinge ogni accusa. Quello della Micron è il migliore dei mondi possibile. E se qualcuno ritiene che non lo sia faccia i conti col fatto che la multinazionale sta tagliando posti di lavoro negli altri Paesi dove è presente. Nel febbraio scorso, mister Steve Appleton, un alto dirigente del gruppo, scrive a tutti i manager degli stabilimenti una accorata lettera nella quale spiega i motivi della «inderogabile necessità di riduzione della forza lavoro», Sergio Galbiati, direttore generale della Micron di Avezzano, la «gira» via e-mail a tutti i dipendenti. «Invito di cuore tutti a riflettere sulla situazione. Da una parte si deve, con grande tristezza, fare ciò che si è riusciti ad evitare per vent’anni. Dall’altra si continua ad assistere alla incredibile incoscienza di coloro che, incuranti del pericolo reale a cui continuano ad esporre l’intera organizzazione italiana, ancora parlano del "disagio psico fisico" del lavoro alla Micron...paladini dello sfascio...Sarebbe molto interessante poterli vedere alle prese con coloro che il disagio psico fisico vero da domani lo avranno sul serio...».

«Quando vai in direzione a porre il problema delle condizioni di lavoro - racconta un lavoratore - i capi ti guardano commiserevoli. "Guarda sulla scrivania: ho seimila richieste di assunzione"». Un messaggio chiaro nella Marsica, dove il tasso di disoccupazione supera il 10 per cento e il lavoro alla Micron è visto da giovani diplomati e laureati come un miraggio. Quindi poche chiacchiere. La filosofia della Micron è brutale. È’ sempre il direttore generale a riassumerla in una e-mail ai dipendenti del giugno 2002. «È tempo di far capire da che parte si sta e perché...Deve essere molto chiaro a tutti che certe scelte, per le implicazioni che hanno, non sono neutrali: fiancheggiare chi continua a cogliere ogni occasione per dare spazio a voci negative e di disturbo sull’andamento della Compagnia, significa agire coscientemente per far sì che la Micron decida di staccare la spina».

Chiaro? O con noi o per strada. Ed è proprio sotto la pressione del ricatto occupazionale che i sindacati (La Fiom-Cgil, la Fim-Cisl, la Uilm e la Fismc, un sindacato autonomo che raccoglie la maggioranza dei pochi lavoratori sindacalizzati) nel ‘99 siglarono l’accordo sulle 12 ore di lavoro al giorno e sulle notti consecutive, con l’azienda che si impegnò a ridefinire dopo un anno modelli di organizzazione del lavoro e riduzione dei turni notturni. Zero, impegni disattesi, con mister Galbiati che in più occasioni ha detto tondo tondo ai lavoratori che «non era intenzione dell’azienda discutere della riduzione delle notti». Testa bassa e lavorare. Altrimenti son lettere di richiamo e licenziamenti. Il lavoratore X (nessuno pretenderà in una situazione del genere che si facciano nomi e cognomi) con laurea in lettere, viene assunto e messo in amministrazione, riceve una lettera di richiamo (era arrivato al lavoro in anticipo. Sì, proprio così) e viene spostato a fare le fotocopie, passano tre mesi e viene confinato in produzione. Il lavoratore Y è ingegnere nucleare, non va giù alla direzione aziendale (i suoi ritmi produttivi non sono ritenuti sodddisfacenti), e fa l’operatore. Il lavoratore Z ha in tasca la laurea in ingegneria e un giorno si rifiuta di partecipare ad un corso di algebra. Un po’ perché alla Micron non si usa retribuire le ore di aggiornamento professionale, un po’ perché riteneva che la sua laurea bastasse ed avanzasse per conoscere la materia. Risultato? Retrocesso in produzione. La Cajenna dove finiscono le donne che tornano dalla maternità o i lavoratori reduci da un periodo di malattia. Due esempi, che quelli della Micron ti raccontano con le lacrime agli occhi e le rabbia nel cuore. Un responsabile dei sistemi informatici, anziano ed esperto, viene colpito da tumore, due mesi prima di morire torna in azienda: lo spostano in produzione. Senza pietà. Un altro lavoratore - questa volta un giovane - viene colpito da cancro al bacino, un mese prima di morire rimette piede alla Micron: stesso destino, produzione.

La filosofia della Micron è chiarissima: chi è con l’azienda fa carriera, chi rema contro no. Puoi iniziare da specialist, dopo due anni di corsi non retribuiti aspirare al ruolo di associato tecnico, se ti comporti bene diventare tecnico senior e finalmente «giovane ingegnere», anche se hai solo un diploma. La laurea te la consegna direttamente la Micron. Ma te la può togliere a suo piacimento. Racconta un «giovane ing.»: «Quando riuscii a conquistare questa qualifica mi fecero un discorso chiaro: se vuoi mantenerla devi mandare messaggi di approvazione delle politiche aziendali, fare un’ora o due di straordinario al giorno non retribuiti. "Pensaci, stai investendo sul tuo futuro...». Il ragazzo disse di no e fu retrocesso a tecnico di turno. Ma una cosa deve essere chiaro a tutti quelli che lavorano alla Micron: iscriversi al sindacato (a qualsiasi sindacato) non è gradito all’azienda. Che nel suo «Team member handbook», in pratica la Bibbia del gruppo, così recita: «Micron è una impresa non sindacale, ed è suo desiderio restare tale. I sindacati non possono garantire le paghe, i benefits, i lavori o l’occupazione. Risultati e sicurezza di avere lavoro si creano solo attraverso l’impegno di ciascuno e di tutti per fare di Micron un’impresa in attivo e sana».

Accade ad Avezzano, Italia. Qui, oltre i cancelli, si vive in un mondo a parte. Un mondo senza diritti.

di Enrico Fierro

da www.unita.it

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