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Il sistema tedesco mette a rischio il Pd (di Stefano Ceccanti)
25.06.2008
L’editoriale su Europa di ieri di Roberto Gualtieri presenta il sistema tedesco in un modo non realistico e non descrive in modo corretto gli effetti che avrebbe in Italia. Partiamo dalla Germania.

Com’è noto, l’unico efficace correttivo alla proporzionalità, è l’esclusione delle forze che prendano meno del 5 per cento.

Chi prende di più o vince almeno 3 collegi, ha la garanzia di una pressoché perfetta fotografia dei voti in seggi. I collegi non esercitano un’influenza disproporzionale.

Il buon funzionamento originario era dovuto più alla proibizione dei partiti anti-sistema (sia nazisti sia comunisti) che alla soglia.

Tant’è che dopo l’unificazione, col partito di estrema sinistra non coalizzabile, si è dovuti ricorrere alla Grande coalizione.

Se vi è qualche speranza che non sia ripetuta è solo perché il bilancio positivo è attribuito dagli elettori alla cancelliera in carica, che potrebbe trainare il suo partito e punire seccamente il secondo, la Spd, che rischia di finire vari punti sotto il risultato del nostro Pd. Cdu e Liberali potrebbero arrivare oltre al 50 per cento dei voti e quindi dei seggi; altrimenti la Spd dovrebbe continuare a dare il suo sangue a un nuovo governo Merkel.

Arriviamo all’Italia.

Non volendo mettere fuorilegge nessuno, con un sistema fotografico, gli elettori non sarebbero incentivati a pensare in termini di scelta di governo.

Non ci sarebbe quindi la spinta a stabilizzare l’esperienza recente di partiti a vocazione maggioritaria; ne scatterebbe una opposta.

Né il Pd né il Pdl sarebbero arrivati ai risultati odierni: una parte degli elettori avrebbe ragionato in termini di voto identitario a partiti più estremi, non ci sarebbe stato nessun incentivo a far nascere il Pdl e il partito perdente sarebbe spinto a frammentarsi.

Un sistema del genere non disincentiva affatto le scissioni (a differenza delle formule selettive), purché gli scissionisti siano in grado di costruire spezzoni di almeno il 5 per cento. Chiedere a Lafontaine in caso di dubbi.

Inserire oggi questo sistema significa quindi, oggettivamente, mettere in discussione l’esistenza dell’attuale Pd come partito a vocazione maggioritaria e puntare invece su un Pd più piccolo, in grado di stipulare coalizioni post-elettorali.

La vocazione maggioritaria c’è quando il sistema funziona da trasformatore, non da macchina fotografica.

Del resto non sembra casuale che il sistema tedesco venga rilanciato insieme a vari elementi simbolici, quali la sigla “Red”, che identificano il richiamo regressivo a identità separate e lo sbarramento alla costruzione di una comune, dentro un’impostazione culturale di sfiducia nei confronti del corpo elettorale.

Non è solo la proposta di un sistema, che come tale potrebbe anche non avere esiti deterministici, è l’approccio complessivo da democrazia mediata pre-1993 che induce a valutarla in modo preoccupante. Anche nel caso migliore, in cui le dinamiche disgreganti non si realizzassero, il riflusso verso i voti identitari obbligherebbe con tutta probabilità, come ha denunciato per primo Giuliano Amato, alla stabile Grande coalizione del Pd attuale col Pdl, con l’Udc come sensale.

Il sistema tenderebbe a ruotare non più intorno alle scelte degli elettori di centro, ma sulle intese postelettorali tra partiti al centro del sistema.

Per questo, la proposta del sistema tedesco rappresenta di fatto, un invito a Berlusconi a sbarazzarsi della Lega per una grande coalizione col Pd. Le coalizioni preventive sarebbero archiviate, ma in favore di coalizioni successive ancor più eterogenee nonché bloccate al centro. Può anche darsi che chi propone il sistema tedesco speri in un accordo post-elettorale con l’Udc, che nasconderemmo prima agli elettori, magari in cambio della presidenza del consiglio a tale partito. Uno scenario velleitario, sempre escluso dalla leadership dell’Udc.

Né si dica che le norme costituzionali sarebbero risolutive.

Se il sistema elettorale resta selettivo (perfezionando quello attuale nella sua interpretazione data da Pd e Pdl che anticipa il quesito referendario o col francese o con altri), le norme costituzionali tedesche nel loro complesso, funzionano: l’articolo 63 con la fiducia al solo cancelliere, ma anche l’articolo 67 più per la maggioranza assoluta richiesta che non per il carattere costruttivo della mozione e soprattutto l’articolo 68, la norma più importante, che consente al cancelliere di chiedere le elezioni anticipate quando è battuto sulla fiducia.

Se invece, al di sotto di quelle norme, il sistema elettorale indebolisce la coerenza del sistema dei partiti, esse risultano impotenti. Non a caso la IV repubblica francese aveva norme costituzionali del tutto simili, ma votando con la proporzionale in presenza di significative forze antisistema non servivano a granché. Quanto poi al “presidenzialismo di fatto” bisogna distinguere due fenomeni.

Il primo, positivo, che conduce all’unità nella stessa persona della leadership del partito a vocazione maggioritaria e del governo (e specularmente del leader dell’opposizione con quella del secondo partito) è propria di tutte le grandi democrazie parlamentari, per un’esigenza democratica di identificazione delle responsabilità contro obsoleti modelli oligarchici, secondo quanto Duverger ha descritto sin dal 1973 con La monarchia repubblicana. Il secondo fenomeno, patologico, è legato alle lunghe liste bloccate che sbilanciano il sistema perché rendono scarso il ruolo dei singoli eletti. Ciò può ess ere risolto con i collegi uninominali o con liste corte: gli unici due sistemi praticati nelle grandi democrazie, opportunamente integrati da primarie.

Per questo insieme di motivi, Tonini e Morando hanno richiamato il senso del programma elettorale del Pd in cui si afferma che il sistema elettorale francese «ben si presterebbe a stabilizzare un bipolarismo fondato su grandi partiti a vocazione maggioritaria. Il Pd è disponibile anche ad esaminare ipotesi di sistemi elettorali diversi, a condizione che possano corrispondere alla medesima finalità».

Questa impostazione, confermata anche nella relazione di Veltroni, che certo include oltre al sistema francese anche molti altri ma non quello tedesco, può essere modificata. Non però in convegni culturali. Trattandosi di un aspetto significativo del programma elettorale, e che mette anche a rischio l’esistenza dell’attuale Pd, questa svolta radicale richiederebbe un passaggio congressuale che i suoi sostenitori avrebbero pertanto il dovere di chiedere.

da www.europaquotidiano.it

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