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L*unica via per fare le riforme (di E. Macaluso da lastampa.it) |
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7.08.2008
Nel corso di una conferenza stampa Berlusconi ha detto che
l'opposizione non è «leale», che non c'è quel rispetto (nei suoi
confronti) necessario per fare insieme le riforme le quali, ha
aggiunto, saranno comunque realizzate «con la forza di una vasta
maggioranza che gli italiani ci hanno dato sia alla Camera che al
Senato». Forse è bene ricordare al presidente del Consiglio che in
questa legislatura non ci sono parlamentari eletti, ma solo nominati
dai capipartito e che la maggioranza è larghissima anche perché ha
usufruito di un premio in seggi parlamentari grazie a una norma
costituzionalmente discutibile e politicamente indecente.
È bene anche ricordare che l'articolo 138 della Costituzione ha
previsto il meccanismo di approvazione delle modifiche
costituzionali, anche con maggioranza semplice e possibilità di
referendum, perché tutto l'impianto della Carta ha come premessa la
legge con cui fu eletta la Costituente, cioè la proporzionale.
Nessuno certo pensa di mettere in discussione la netta vittoria
elettorale della coalizione governativa, ma pensare che quella
maggioranza può fare e disfare la Costituzione è solo delirio di
onnipotenza. Non è un caso del resto che i presidenti delle due
Camere e i leader della Lega insistono per riaprire un dialogo tra
maggioranza e minoranza per fare le riforme. Fatta questa
affermazione, occorre verificare - con onestà e realismo - se i
rapporti politici fra governo e opposizione consentono di attuare
quelle riforme con gli stessi protagonisti di entrambi gli
schieramenti impegnati nello scontro quotidiano nelle aule
parlamentari.
Luca Ricolfi, domenica scorsa su queste colonne, ha osservato
che «sarebbe molto più facile cooperare sulle riforme economico-
sociali che sulla riforma delle istituzioni». Questo è assolutamente
vero. E anch'io, che sono più vecchio di lui, avverto, come lui, un
brivido alla schiena tutte le volte che sento ripetere che «questa
sarà una legislatura costituente». Del resto bastano i primi cento
giorni che hanno caratterizzato la vita di questo Parlamento per
capire che legislatura sarà .
Il Capo dello Stato fa il suo dovere quando disinnesca mine che
possono fare saltare tutti i ponti tra le due sponde del Parlamento e
fa bene a sollecitare l'attraversamento anche di un solo ponte per
costruire qualcosa che serva alle istituzioni e al Paese. Ma non è un
caso che, disinnescata una mina, ne viene confezionata un'altra: sono
prodotti della realtà politica in cui viviamo. Infatti nel momento in
cui dal Quirinale venivano diffuse esortazioni alla distensione e al
lavoro comune, in un altro Palazzo (il Palazzaccio), l'onorevole Di
Pietro depositava la richiesta per indire un referendum sulla legge
Alfano. E questo senza sapere se e quando un'autorità giudiziaria si
rivolgerà alla Consulta per contestare la costituzionalità di quella
legge.
Bene ha fatto Veltroni a respingere la richiesta dell'ex pm di
aiutarlo a raccogliere le firme. Ma abbiamo visto con quanta
prontezza due autorevoli esponenti del Pd amici di Prodi, Arturo
Parisi e Franco Monaco hanno manifestato sostegno caloroso
all'iniziativa dipietrista. Non saranno i soli se guardiamo il ventre
molle del Pd. Un partito che non riesce ancora ad avere una politica
e un'identità chiare come abbiamo visto nel voto promosso dalla
destra per aprire, sul caso della povera Eluana, un conflitto di
competenze tra il Parlamento e la magistratura. Di Pietro, ma anche
Parisi e altri, sanno che la fermezza di Veltroni non reggerà e
saranno in molti nel Pd a firmare la richiesta del referendum.
Faccio una parentesi per dire come, Berlusconi da una parte e Di
Pietro dall'altra, entrambi beneficiari della transizione post-
tangentopoli, continuano a tenere il sistema in tensione. Insomma con
il mio ragionamento voglio dire che nelle aule parlamentari non ci
sono le condizioni per un comune progetto di riforme. Berlusconi
continuerà ad accusare il Pd di «slealtà » e Veltroni a rinfacciare al
Cavaliere di non volere seguire la linea suggerita dal Capo dello
Stato. Un duetto che dura da anni e può durare ancora sino alla fine
di questa legislatura checché ne pensi Tremonti. Il quale,
nell'intervista alla Stampa, sulla base di dati politici
incomprensibili, ritiene che la bicamerale resusciterà .
E così al pessimismo di Ricolfi che non vede soluzioni Tremonti
risponde con soluzioni solo sognate. Ai miei due amici dico che
occorre rompere questo giuoco e rivolgersi direttamente al popolo
eleggendo con il sistema proporzionale 75 persone impegnate a trovare
in un anno una soluzione condivisa o votata a maggioranza ma, in ogni
caso, sottoposta a referendum popolare. Una forza che si
chiama «partito del popolo» ha paura di un voto popolare? E una forza
che si chiama «partito democratico» ha paura di una consultazione
democratica?
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