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Finanziaria 2009.Interviene Dario Francschini
11.08.2008

L'intervento di Dario Franceschini. Dichiarazione di voto sul voto finale della manovra finanziaria. Oggi finiscono politicamente i primi cento giorni del vostro governo. Finisce quella fase in cui, in ogni paese, i cittadini osservano chi ha vinto le elezioni e rinviano il momento della critica o del consenso perché vogliono prima misurare il nuovo esecutivo alla prova dei fatti.

Finisce e dunque da oggi è già tempo di bilanci.

Del resto anche sul mercato globale le società ormai verificano trimestralmente i loro bilanci.

Il mondo e l’economia corrono sempre di più e deve correre anche la politica.

Tempo di bilanci.

Tempo in cui comincia a suonare fastidioso e stucchevole quel ritornello ripetuto stancamente da troppi esponenti della maggioranza secondo cui ogni cosa non fatta, ogni dato negativo dell’economia, ogni promessa elettorale non mantenuta sarebbe colpa del governo Prodi.

Basta. E’ ora di smetterla.

E’ tempo che vi assumiate pienamente la responsabilità di ciò che avete fatto e di ciò che avviene, senza deprimere ulteriormente un’opinione pubblica già confusa e preoccupata con l’evocazione di sicure catastrofi dell’economia mondiale che sembrano enfatizzate apposta per prepararsi ad allargare le braccia, quando la situazione peggiorerà ancora, dicendo agli italiani "Non è colpa nostra, ma del destino cinico e baro".

Di certo è già tempo di bilanci per gli italiani.

Soprattutto per quelli che vi avevano dato il loro voto con molta speranza e che ora si accorgono che il trailer che gli avete mostrato in campagna elettorale, così attraente, così roboante nell’annuncio di cambiamenti miracolosi, è drammaticamente diverso dal film andato poi in onda, quello che ora gli state facendo vivere.

Il film di un paese preoccupato e insicuro.

L’inflazione sopra il 4%, una riduzione preoccupante dei consumi, un calo della produzione industriale stimato da Bankitalia sopra 1punto percentuale, i salari medi lordi italiani inferiori di quasi il 20% alla media Ocse, il 7% per cento in meno di entrate Iva, che certifica in modo inequivocabile un aumento dell’evasione, la disoccupazione che torna a crescere, nulla della promessa riduzione della pressione fiscale.

Questo è il quadro del Paese oggi, dopo i vostri 100 giorni.

Una situazione difficile, di cui sarebbe certo sarebbe sbagliato e scorretto attribuire tutta la responsabilità alla vostra azione di governo.

Ma è proprio in una congiuntura negativa che i governi debbono occuparsi prima di tutto delle famiglie e delle persone che non ce la fanno più.

Quelle che hanno già tagliato ogni spesa possibile nei loro bilanci, che hanno rinunciato alle vacanze, a un vestito nuovo, a un gioco per i figli perché non riescono nemmeno a pagare l’affitto, la rata del mutuo, le bollette e vedono nella spesa quotidiana che aumenta ogni cosa, dal pane alla pasta.

Noi saremmo partiti da loro.

Era un impegno preso davanti al Paese in campagna elettorale: prima di tutto aumentare gli stipendi, i salari, le pensioni più basse.

Poi abbiamo chiesto a voi di farlo.

E invece a quelle persone, a quelle famiglie in difficoltà avete scelto di dire: vedete di cavarvela, arriveranno tempi migliori.

Potevate intervenire subito e invece avete consumato enormi risorse per togliere 200 o 300 euro di ICI, non ai redditi bassi ma anche a chi guadagna 100, 200, 300mila euro all’anno!

Anziché mettere in campo una manovra in grado di ridare fiducia e slancio al Paese, voi avete scelto una manovra depressiva (lo hanno spiegato bene molti parlamentari del PD, da ultimo l’on. Colaninno) e piena di elementi in grado di accentuare le disuguaglianze e le ingiustizie.

Tagliando alla scuola, all’università, al sud, alla sanità, agli enti locali e, pensate un po’, alla sicurezza, tradendo il primo impegno che avete preso coi vostri elettori.

30.000 uomini nelle forze dell’ordine in meno nell’arco della legislatura.

Nei momenti di difficoltà è normale che un governo chieda anche sacrifici ai cittadini, ma deve farlo sempre in nome di una missione per il Paese.

Lo fecero Ciampi e Prodi per l’ingresso nell’Euro più di dieci anni fa e gli italiani capirono.

Voi no.

Voi avete chiesto solo sacrifici e annunciato tagli senza un obiettivo condiviso da indicare e raggiungere.

Chiedetevi perché protestano e si mobilitano i sindacati di Polizia, il pubblico impiego, i pensionati, gli operatori della sanità, dei comuni, delle università, gli insegnanti, i precari e l’elenco si allungherà nell’autunno.

E per favore, Ministro Tremonti, lasci stare Robin Hood che dal cuore di generazioni di ragazzi e di romantici sta finendo, per colpa sua, nelle imprecazioni gridate davanti alle pompe di benzina !

E per di più raggiungere questi bei risultati avete scelto una strada parlamentarmente arrogante.

Nessun spazio di discussione, né in Consiglio dei Ministri, né in Commissione, né in Aula.

Sempre e subito il voto di fiducia e non per garantire la conversione dei decreti, non come modo per bloccare l’opposizione, ma come via per impedire insidiose libertà dei parlamentari di maggioranza.

Così sempre lo stesso percorso: decreto legge, maxiemendamento integrativo e voto di fiducia.

E in questo clima di esproprio delle prerogative parlamentari, dell’opposizione ma soprattutto di quelle emendative dei parlamentari di maggioranza, il ministro Tremonti e il Presidente Berlusconi, non sazi, hanno avuto l’ardire di immaginare la presentazione della finanziaria in agosto, per evitare, hanno detto, "l’assalto alla diligenza" !

Dobbiamo ricordarvi che nella nostra democrazia, per la nostra Costituzione, in questo luogo, nel Parlamento sovrano non si assale proprio nulla.

Qui si decide dove deve andare la diligenza e chi vi sale e chi vi scende.

E’ bene ricordarlo.

E bene che lo ricordi soprattutto lei, Ministro Tremonti, che nell’ultima legislatura in cui avete governato, da quella diligenza è dovuto salire e scendere più volte per decisione dei suoi compagni di viaggio.

E’ questa sovranità del Parlamento che ci aspettiamo che tuteli lei, presidente Fini, nell’impostazione dei calendari, nei tempi di lavoro, nel giudizio severo di inammissibilità di emendamenti estranei alla materia dei decreti legge.

Se deciderà di farlo in modo rigoroso e imparziale, le nostre critiche, quelle che le abbiamo rivolto quando ci ha fatto votare il lodo Alfano in tre giorni, non esiteremo a trasformarle in giudizi positivi.

Ecco.

La capacità di dire anche dei sì.

Oggi all’opposizione non c’è la miriade di sigle e partiti che l’Italia ha visto quando in questo ruolo si sono alternati il vecchio centrodestra e il vecchio centrosinistra.

C’è invece anzitutto una forza politica, che rappresenta da sola più di un terzo degli italiani, e che come tutti i grandi partiti, non ha l’ansia della visibilità per sopravvivere, la paura del consenso provvisoriamente perduto per una parola troppo scomoda.

Un partito che ha invece la consapevolezza della propria forza e che sente la responsabilità del mandato ricevuto: cambiare la politica italiana, cambiare il Paese, anche stando all’opposizione.

Un partito che non esita a criticare con durezza, che alza la voce quando vede attaccato lo Stato di diritto, che chiama anche il suo popolo in piazza, come faremo il 25 ottobre, per contrastare e denunciare le politiche economiche di un governo che dimentica i più deboli, che rinuncia, rassegnato, allo sviluppo e alla crescita.

Ma un partito che non esiterà anche a dire dei sì, se quelle misure arriveranno, che non ha bisogno di insultare e aggredire l’avversario, che lo combatte ma lo rispetta.

E che non dimentica soprattutto che lo scontro, anche duro, sulle politiche di governo non cancella il principio che le regole della convivenza democratica, le leggi elettorali, le modifiche costituzionali, possono essere approvate con un accordo, trasparente e alla luce del sole, tra avversari, tra maggioranza e opposizione.

Tra un mese saremo di nuovo qui,

Per voi, lo sapete, sarà tutto più difficile, perché gli italiani pretenderanno di vedere fatti al posto di parole, di scuse e di annunci.

Anche per noi sarà tutto più impegnativo. Ma saremo pronti.

E la nostra voce non sarà solo quella dei 12 milioni che ci hanno votato il 13 aprile ma sarà anche la voce dei tanti italiani che non hanno ancora scelto il Partito Democratico ma che ci chiedono comunque di rimboccarci le maniche e di lavorare per costruire un’Italia diversa.

Un’Italia più moderna, più europea, più giusta.

Noi saremo qui. E saremo pronti.

Fonte: Partito Democratico

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