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Un partito più Democratico (di Gianfranco Pasquino)
11.08.2008
Non è soltanto una preoccupazione estiva, di vacanze che, in modo speciale, per il governo e il suo capo, si presentano particolarmente rilassate (hanno ottenuto tutto e di più), ma il Partito Democratico continua ad apparire, a quasi un anno dall’elezione del suo segretario, una struttura non completata. Anzi, sembra, da un lato, ricadere, soprattutto a livello locale, sui tradizionali, collaudati, ma non spesso brillanti moduli del funzionamento passato, dall’altro, non avere una bussola per il futuro. Ha certamente ragione Antonio Padellaro nel notare qualche disinvoltura collaborativa di troppo manifestata da alcuni esponenti non marginali del Partito Democratico, che magari, si sono sentiti abbandonati o non abbastanza valorizzati, ma il problema rimane. Aggiungerei che è apparso anche in sede parlamentare quando il PD non ha saputo prendere una chiara posizione sul conflitto di attribuzioni sollevato dalle due camere nel caso Englaro. Su un argomento di tale rilevanza, un grande partito elabora una posizione propria oppure concede a ciascuno dei suoi parlamentari di argomentare la sua posizione in «scienza e coscienza» (come ha fatto, in maniera eccellente, Barbara Pollastrini) comunicando in questo modo a tutti gli elettori informazioni di notevole importanza e anticipando una propria posizione legislativa, sperabilmente capace di ampliare gli spazi di libertà delle persone.

Non è chiaro in che modo la raccolta di cinque milioni di firme e la manifestazione di massa del 25 ottobre potranno contribuire al rilancio di quella che è stata e ha le potenzialità per continuare a essere una grande operazione politica. L’obiettivo ultimo, e neppure il più importante, del Partito Democratico non può essere semplicemente la semplificazione del sistema partitico, e neppure la cancellazione della pur criticabile sinistra-sinistra, che, nel frattempo, ha dimostrato con i suoi congressi di non avere imparato niente e i cui dirigenti si preparano, come se niente fosse accaduto, a rioccupare molte cariche elettive, nelle amministrazioni locali e nel Parlamento europeo approfittando dei relativi sistemi elettorali proporzionale. L’obiettivo ultimo del PD che bisogna conquistare e ribadire giorno per giorno è quello di costruire e fare funzionare un grande partito democratico e riformista. Entrambi gli aggettivi mi paiono fortemente appannati e quanto al sostantivo sembra che di partiti ce ne siano diversi a livello locale, che vanno per la loro strada, non, peraltro, per accertata libertà federalista, ma per egoismi localistici. Per di più, non soltanto sarebbe inutile nasconderselo, ma sarebbe anche controproducente, esiste una corrente di pensiero, non tanto sotterranea, che già mette in conto una crisi della leadership di Veltroni e una sua possibile-probabile sostituzione se l’esito delle elezioni della primavera 2009 non sarà confortante. Quell’esito negativo non è affatto predeterminato, anche se i sistemi proporzionali renderanno meno incisivo l’appello al voto utile, ma il contro-esito positivo deve essere intelligentemente e pazientemente costruito. A mio modo di vedere, è venuto meno lo slancio iniziale poiché troppe decisioni importanti non sono state discusse nelle sedi apposite. Troppo spesso il gruppo dirigente ha preferito fare quadrato intorno a Veltroni, e lo stesso Veltroni, invece di giocare in campo aperto e di reagire con proposte e con sfide, ha preferito farsi proteggere. Troppo spesso le decisioni sulla composizione di alcuni organismi dirigenti sono state preconfezionate e hanno dovuto essere digerite, per, sempre riprovevole, carità di partito, lasciando non pochi mugugni che si traducono poi in minore attivismo, se non, addirittura, in disimpegni.

Quando, poi, la critica, a mio parere, fondata, è stata portata da Arturo Parisi direttamente sulle modalità visibilmente poco democratiche della gestione dell’ultima poco frequentata Assemblea del PD, si è preferito guardare al dito (lo stesso Parisi) piuttosto che alla luna da lui indicata, ovvero a un clamoroso calo di partecipazione, e criticarlo duramente, persino sul piano personale, quasi che colui che più si è battuto per l’idea del Partito Democratico intenda affossare il partito e non, piuttosto, farne davvero un Partito, che sia davvero Democratico. Invece di reagire con proposte concrete e anche con opportune correzioni di linea, il gruppo dirigente si limita a esternare qualche preoccupazione per lo sfarinarsi del partito in più o meno attive Fondazioni di studi e di ricerche i cui risultati, peraltro, non potranno dare profitto e lustro al partito, neanche lo volessero i «fondatori», poiché non esistono sedi apposite nelle quali procedere alla discussione e alla valorizzazione di quei risultati. Le Feste dell’Unitá (con qualsiasi altro nome si chiamino, «ma non è un piccolo particolare»), così poeticamente difese da Ugo Sposetti, potrebbero, anzi dovrebbero essere non soltanto luogo di sano divertimento, ma di altrettanta sana discussione politica. Sembra, invece, che nella maggior parte dei casi, gli organizzatori abbiano deciso di evitare confronti senza rete e di non invitare ospiti non allineati. Però, è soltanto dal conflitto, aperto ed esplicito, argomentato e giustificato, su idee, posizioni, progetti (e le materie, anche quelle che approderanno in Parlamento, non mancano) che il Partito Democratico riuscirà a ricevere nuovo slancio e che il suo segretario, se lo vorrà, potrà ottenere materiale per riflettere e per ridefinire le modalità di funzionamento degli organismi dirigenti e le modalità di attuazione della stessa linea politica. L’estate che non è finita è ancora in grado di portare buoni consigli e migliori propositi.

da www.unita.it

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