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30 anni senza Moro |
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12.08.2008
Intervento di Domenico Cella, Presidente dell’Istituto Regionale di Studi sociali e politici “Alcide De Gasperi” - Bologna. - Incontro della Festa dell’Unità di Reno - Bologna 2 luglio 2008
1) Il titolo segnala una mancanza, una mancanza che si conserverebbe nel passaggio dei
decenni, una mancanza che peserebbe ancora dopo tre decenni. E’ un titolo suggestivo,
anche troppo suggestivo.
Per lunghi tratti il tempo pubblico di Moro è il tempo di un sistema politico governato al
centro da un partito di ispirazione cristiana, popolare, antifascista, che esclude aperture a
destra ma trova un limite invalicabile al consolidamento e all’innovazione dei governi
nella chiusura del loro perimetro al Pci, una forza di sinistra estrema, legata al comunismo
internazionale guidato dalla seconda potenza mondiale, ma pur fortemente radicata e
coinvolta con la nostra storia nazionale e con il suo grande patto costituzionale.
Situazione bloccata sia nel senso dell’associazione di quella forza nei governi della Dc, sia
ancor di più nel senso di una sua abilitazione a farsi perno di governi di alternativa.
L’ultima parte del tempo pubblico di Moro, quella che qui ci interessa maggiormente,
coincide con il momento più agitato e confuso del governo al centro del sistema politico,
che ha pressoché bruciato tutto il carburante disponibile (i partiti di centro, i partiti
socialisti) ed è posto di fronte al suo limite, il Pci.
Naturalmente, bruciando quel
carburante, prima col centrismo poi con il centro sinistra il nostro paese,
complessivamente, si è ripreso ed è enormemente evoluto.
2) Giovanni Galloni, nel suoi 30 anni con Moro (Editori Riuniti, 2008), pone in evidenza
l’importanza che sulla personalità politica di Moro rivestono i lunghi anni trascorsi nella
responsabilità di Ministro degli Esteri: in quegli anni Moro viene intuendo la necessaria
evoluzione nel partito comunista dell’Unione sovietica e, soprattutto, l’indispensabilitÃ
del disarmo generale atomico e convenzionale, della revisione dell’Onu per far spazio ai
paesi usciti dalla colonizzazione, in particolare del dialogo con i Paesi arabi; un disgelo
insomma che avrebbe reso possibile un confronto sempre più intenso con il Pci di
Berlinguer, mano a mano che esso avesse conquistato la sua autonomia dal Partito
comunista sovietico.
Nell’ultima parte del tempo politico di Moro, a una grande difficoltà si accompagna
dunque l’apertura di un varco. Se Moro non fosse stato assassinato, come avrebbe
utilizzato quel varco? Per inciso, soprattutto dopo il libro di Galloni le testimonianze dei
protagonisti dovrebbero indurre la ricerca storica a qualche scavo rigoroso intorno a questo
interrogativo.
3) Galloni comunque è esplicito: tra Dc e Pci si doveva realizzare una convergenza, anzi
un’unità , nel sostegno ai principi fondamentali della Costituzione e una convergenza
parlamentare per superare l’emergenza economica e contrastare il terrorismo. Superata
questa fase, l’elettorato doveva scegliere tra maggioranze e programmi diversi, ma
all’interno dei principi fondamentali della Costituzione che restavano comuni. Galloni è
puntiglioso: Moro non avrebbe mai pensato che la politica di solidarietà nazionale potesse
prolungarsi oltre il limite della Legislatura 1976- 1981; era questo il termine nel quale si
dovevano accelerare i tempi per realizzare una democrazia compiuta nella quale o la Dc
potesse guidare uno schieramento di centro, capace di respingere le forze conservatrici
della destra estrema, o il Pci, compiuto il suo processo di autonomia dal Pcus e diventato
un partito equiparabile alle forze della sinistra europea, potesse guidare un’alternativa,
egualmente democratica, di sinistra.
Moro non era naturalmente un bipolarista nel senso attuale del termine. Al suo tempo, con
quella Dc e quel Pci, forse la polarizzazione e la semplificazione proprie dei sistemi
elettorali maggioritari sarebbero state al limite controproducenti all’insediamento di un
sistema di alternanza governativa e insieme di forte convergenza costituzionale
(diversamente valutabili le complicazioni sul sistema di alternanza della lunga confidenza
di Moro con la pratica del compromesso, del grande compromesso, in Parlamento).
Moro avrebbe dunque pagato con la vita non un progetto di compromesso storico, ma
un’intuizione di ristrutturazione del sistema politico, la reciproca legittimazione tra Dc e
Pci, prima, la loro alternanza al governo poi, alternanza assai più impegnativa del
compromesso storico e direi del tutto attuale.
Voglio sottolineare: alternanza sulla base di una unità vera sui principi costituzionali e di
una vera diversità di programmi. Non una diversità sotto traccia e talora evidente sui
principi costituzionali e una omologazione dei programmi e della pratica ordinaria di
governo.
4) Quell’intuizione viene messa in crisi dal “preambolo” del XIV Congresso della
Democrazia Cristiana (febbraio 1980), che pone fine alla politica di solidarietà nazionale e
apre la strada alla competizione al centro tra Dc e Psi per il potere.
Sottolinea Galloni che “ la teoria espressa da Craxi e da lui più volte ripetuta nei colloqui
privati, era che la Dc raccoglieva tanti consensi perché esercitava tanto potere. Trasferendo
maggior potere ai socialisti si sarebbero trasmessi inevitabilmente col tempo questi
consensi anche al Psi”.
Lo sfibrante confronto ed emulazione per il potere di un decennio fanno tabula rasa di
tutto il centro dello schieramento politico. Tuttavia, se l’Italia non conoscerà un curioso
bipolarismo tra Dc e Pci (entrambi cospicue eccezioni nel panorama politico europeo), una
parte assai significativa del partito di ispirazione cristiana, anche se con ritardo, prenderÃ
posto insieme agli eredi del Pci da una parte di un più classico bipolarismo centrodestracentrosinistra.
Cosa manca a questo bipolarismo? E cosa manca al Pd per concorrere efficacemente alla
sua evoluzione?
5) Al bipolarismo italiano manca innanzitutto una destra decente, che possa convergere
sui principi fondamentali della costituzione. Bisogna aspettare senza sconti che il
fenomeno politico Berlusconi finisca e finisca anche in virtù di un cambiamento che
maturi dall’interno della destra. Guardando al sistema politico nel suo insieme, Moro non
avrebbe attratto e integrato l’Udc e Casini dalla sua parte, ma lavorato per rendere
problematica e vivace la vita di entrambi i poli, anche di quello avverso. Che senso
avrebbe l’UDC insieme al PD? Qualche voto in più di un piccolo bacino che presto si
disperderebbe? Non è meglio che nel centrodestra rimanga un termine di confronto per il
cambiamento? Certo la polarizzazione del “voto utile”, da chiunque promossa, non è utile
al permanere delle isole critiche, dovunque, e quindi all’evoluzione del nostro
bipolarismo.
6) Veniamo a noi, al PD.
Non abbiamo una progettualità che, facendo sul serio i conti col liberismo e
l’individualismo così profondamente penetrati anche in Italia dagli anni ’80 in poi (nel
lavoro, nelle organizzazioni sociali, nella legislazione), ci consenta davvero di pensarci
programmaticamente alternativi alla destra, anche ad una destra decente.
Facendo qualche esempio, penso alle quasi inesistenti reazioni nel nostro campo
all’orientamento dei Ministri del lavoro europei concernente l’allungamento delle ore
settimanali di lavoro a 60 e forse anche fino a 65.
Ancora: per mesi, prima del voto del 13-14 aprile, i migliori sondaggi hanno continuato
testardamente ad indicare il lavoro come occupazione (lavoro flessibile, lavoro precario)
al primo posto delle preoccupazioni degli italiani, tanto intelligenti e saggi da distinguerlo,
persino, dal lavoro come salari e pensioni (al secondo posto) e comunque da percepire la
loro importanza cruciale rispetto ad altre emergenze (tasse e sicurezza, non ai primissimi
posti). Una gerarchia di preoccupazioni, quella presente nella testa degli italiani, che è
poi stata ben poco rispettata dall’indistinto affastellamento dei motivi nel programma del
Pd, sino al confronto, nelle ultimissime settimane, fondamentalmente sui temi cari agli
avversari.
7) Tutti abbiamo fatto i nostri sforzi per aprirci a logiche di meno occhiuto
proporzionalismo, ma il sistema di alternanza è partito, nel 1994, con la peggiore delle
opzioni maggioritarie, l’uninominale a turno unico. Preciso il preminente interesse
personale sul punto: l’aspetto, indissociabile dal turno unico, della pianificazione centralizzata e direi romana delle candidature, che da allora, con effetti non dissimili da
quelli del proporzionale in vigore, ha depresso la nostra partecipazione e democrazia di
Soci del partito e di cittadini elettori.
A ciò si aggiungano, con nuovo Statuto del Pd, le abnormi barriere alle diverse
candidature, i collegamenti obbligati tra le candidature alle Assemblee e quelle a
Segretario che, come mi è sembrato di vedere alle primarie dell’ottobre 2005, imbragano
piuttosto che sprigionare un vero democratico indirizzo politico. Tutto così conquistato,
tutto così presidiato! Tutto così debole e inospitale.
Forse Aldo Moro, con quel suo sorriso di persona riflessiva, ci avrebbe sussurrato:
liberatevi, liberateci, liberiamoci.
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