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I Gesuiti aprono ai gay |
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20.08.2008
Il gruppo di bioetica della Congregazione invita i politici cattolici ad accettare le unioni omosex. La famiglia tradizionale non si tocca. ma i rapporti stabili sono OK (Delia Maccarello L'Unità )
Prende la penna con coraggio l’autorevole rivista «Aggiornamenti sociali», diretta da padre Bartolomeo
Sorge per dire, fuori da ogni polemica, che le convivenze tra due persone dello stesso sesso fanno bene
alla vita sociale ed è possibile il loro riconoscimento giuridico. Venti pagine di studi firmate dal Gruppo
che lavora sulla bioetica (www.aggiornamentisociali.it) e tra le righe l’impalpabile e prezioso tocco di un
tono che non condanna né esclude, ma cerca la possibilità di uno «spazio di incontro» tra le diverse
posizioni.
Si parte dagli interventi della Congregazione per la dottrina della fede, si passa attraverso considerazioni
sociologiche e relative a «sesso e genere», per approdare alle analisi etiche, politiche, giuridiche.
Colpisce la sensazione, annunciata da subito, di voler costruire il dialogo. Dopo almeno due anni in cui
troppo spesso il dire dei religiosi cattolici è stato di aspra condanna dell’omosessualità , l’impegno a
voler comprendere davvero lascia il segno, emoziona.
Due le costanti negli interventi dei sette studiosi impegnati (Carlo Casalone, Giacomo Costa, Paolo
Fontana, Aristide Fumagalli, Angelo Mattioni, Mario Picozzi, Massimo Reichlin): l’importanza della
stabilità nella coppia omosessuale, la «levità » di uno istituto che riconoscendo diritti e doveri a chi offre
cure e sostegno al partner, non s’interessi delle espressioni – sessuali? «solo» affettive? - che
caratterizzano quel legame. Importa, sembra dire la rivista, che il rapporto sia duraturo.
Poi, che sia sessuale o sublimato, al legislatore non deve interessare. Perché è così importante il
riconoscimento delle coppie omosessuali stabili? I gesuiti lo dicono con chiarezza: «per il bene comune».
La definizione è presa alla lettera dal Concilio Vaticano II: il bene comune è «l’insieme di quelle
condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria
perfezione più pienamente e speditamente» (Gaudium et spes, n.26).
Il Concilio ha a cuore la piena dignità della persona che fiorisce in un rapporto stretto tra individuo e
società . L’una e l’altra soffrono se separati. Ancora, il «bene comune» del Concilio trova radici anche
nella nostra Costituzione, laddove l’articolo due prescrive che alla persona debbano essere riconosciuti
diritti e imposti doveri sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si esplica la sua personalità .
Perché la lesbica e il gay che vivono, amano, soffrono, gioiscono da tempo dentro una coppia, in
rapporto stretto con la società (lavorano, pagano le tasse, vivono di cultura, si esprimono ecc.), non
devono da questa essere riconosciuti? Lasciarli ai margini, vuol dire non contribuire al «bene comune». È
ledere gli individui, è impoverire la società .
Paolo Fontana, incaricato per la bioetica nella Diocesi di Milano, si pone alcuni interrogativi in un
lessico da studioso che «traduciamo» così: che ne facciamo del peso sociale delle relazioni tra
conviventi? Se c’è una coppia stabile emergono diritti e doveri, e la società deve tutelarli. Come fare?
Gli scritti magisteriali hanno davvero esplorato tutta la questione, o ancora non si sono pronunciati sulla
rilevanza sociale di una coppia solida? Intanto, Fontana traccia l’ipotesi di lavoro della rivista: per le
coppie stabili, occorre trovare soluzioni in cui ai diritti corrispondano uguali doveri.
SESSUALITÀ
Identità sessuale, orientamento? Di cosa stiamo parlando? Carlo Casalone, vice direttore di
Aggiornamenti sociali, con chiarezza dipana confusioni, fraintendimenti, corregge il tiro sull’uso dei
termini, e si sofferma sull’annosa questione della «scelta» di essere omosessuali. Fa il punto: «La persona
riferisce di scoprirsi omosessuale senza volerlo e quasi sempre in modo irreversibile». Poi indica la
strada: «Il compito dell’etica non sta quindi nell’insistere per modificare questa organizzazione
psicosessuale, ma nel favorire per quanto possibile la crescita di relazioni più autentiche nelle condizioni
date».
A chi dice che abbiamo bisogno di valori queste parole rispondono a pieno. Non prescrizioni. Non
terapie per convertire gli omo in etero. Ma una sola bussola: l’autenticità dei legami. Non stupisce la
premessa raffinata con cui lo studioso aveva accostato il tema: la sessualità si lascia avvicinare
riconoscendo «un certo non-sapere, e una certa ignoranza». Così spesso i discorsi sulla sessualità restano
segnati da «una insuperabile incompiutezza». È un elogio del mistero che apre la riflessione.
E induce a un rispettoso silenzio. L’inconoscibile fa da sfondo alle critiche sugli eccessi della «gender
theory» che svincola del tutto la biologia (il sesso) dalla cultura. Secondo questa teoria il corpo può non
dir nulla su di noi, chi ha l’ultima parola è solo l’identità culturale plasmabile all’infinito. Se ne occupa
Aristide Fumagalli, professore di teologia morale nel seminario arcivescovile di Milano. Anche lui
individua gli «spazi di incontro» e indica un pregio: la gender theory ha sottratto l’identità sessuale alla
sola natura.
Il corpo, come il vestito, non dà tutte le informazioni sulla persona. In pratica, la differenza di cui tanto
si parla non è solo quella tra uomo e donna, e non è solo questa differenza che garantisce la maturità di
un rapporto a due, se per rapporto maturo si intende un legame che deve fare i conti con un essere
diverso dal «me», con una alterità . L’altro essere che amiamo è ben più che il suo corpo. Dunque,
l’uguaglianza dei corpi nella coppia omo «non impedisce in assoluto di riconoscere l’alterità delle
persone». Sono cenni antropologici da sviluppare in varie direzioni. Così Massimo Reichlin constata: «di
fatto l’esistenza di una duratura relazione affettiva è esperienza dell’alterità , la quale non si concretizza
unicamente nei rapporti genitali».
LA FAMIGLIA NON E’ IN DISCUSSIONE.
Se le relazioni gay possono essere stabili e proficue sul piano personale e sociale resta un abisso tra
l’istituto della famiglia e il riconoscimento delle convivenze. La rivista lo sottolinea spesso, quasi a
scanzo di equivoci. La famiglia garantita dall’art.29 della Costituzione, è «società naturale»
potenzialmente aperta alla procreazione. Dunque potenzialmente in grado di far ricorso a quella
genitalità biologica la cui importanza non va eliminata del tutto. Ma con onestà gli studiosi dicono
anche che non può essere la fertilità il semaforo verde per l’accesso ai diritti, nessuno infatti si
sognerebbe di toglierli a una coppia etero sterile.
IL POLITICO CATTOLICO PUÒ DIRE SÌ
L’indicazione è allora nella valorizzazione della stabilità del legame e nella solidarietà . «Poiché si
riconosce nella stabilità la fonte dei diritti e dei doveri, sarebbe contrario al principio di eguaglianza
escludere da queste garanzie certi tipi di convivenze». Il politico cattolico può dunque con coscienza
esprimersi a favore di una norma di legge che valorizza la stabilità e non si interessa se il legame tra i due
partner è sessuale. Qui politica e norma di legge esauriscono il proprio compito, avverte la rivista. Non
hanno necessità di entrare nell’intimità dei partner.
Basta la stabilità . «La scelta di riconoscere il legame tra persone dello stesso sesso appare giustificabile
da parte di un politico cattolico. Rappresenta un’opzione confacente al bene comune... senza mettere in
discussione il valore della famiglia». È la quadratura del cerchio? No. È un’ottica innovativa, da studiosi.
Ben più dei Dico, che citavano solo i diritti dei conviventi. Ben più dei Cus, che sono morti in
Parlamento. La legge per i gay compagni di vita, proposta dai Gesuiti, è un passo fondamentale per
smantellare le barricate e dare una risposta ai primi dubbi dei cattolici.
E parlare davvero.
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