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Terra Patria (Edgard Morin alla Scuola estiva del PD)
12.09.2008
“Dobbiamo ripensare lo sviluppo, la nozione di crescita in funzione del criterio fondamentale: il miglioramento della condizione umana. Il meglio non è per forza il più, in alcuni casi lo è il poco, sostituiamo la qualità alla quantità”. Non è un’utopia ma il fil rouge della conferenza tenuta dal sociologo francese Edgar Morin nella giornata di inaugurazione della scuola politica del PD, Globale Locale.
In un italiano a tratti incerto e sostituito da un meltin-pot linguistico italo-franco-inglese Morin ha analizzato smontato e riassemblato il significato di globalizzazione, indicando per l’umanità un obiettivo suggestivo: una nazione dell’umanità estesa su tutto il globo, la terra patria.
Riallaccia la storia da Colombo e Magellano agli anni ’90. “Oggi ci sono tutte le informazioni, ma abbiamo difficoltà a a raggiungerle. C’è stata una nuova tappa della storia, la globalizzazione. Cosa intendiamo quando parliamo di globalizzazione? Soprattutto lo sviluppo di due fenomeni”. Il primo è l’affermarsi di un mercato capitalistico mondiale a fronte dell’implosione sovietica che ci ha portati a passare dalla contrapposizione politico – economica all’unificazione globale; il secondo lo sviluppo delle comunicazioni che ha portato a una platea mondiale unificata.

3 paradossi per un modello in crisi.

Primo paradosso: dall’unificazione economica e tecnologica si è arrivati alla “balcanizzazione in Yugoslavia, nella Cecoslovacchia e nel resto del mondo, con tendenze alla chiusura etnica e religiosa.

Secondo paradosso: dalle due ultime decadi del ventesimo secolo è iniziata la dissoluzione della fede nel progresso. “La legge irresistibile della storia ha mosso uno sviluppo inesorabile a partire da una società industriale avanzata, che voleva ridurre le diseguaglianze in nome di un domani migliore. Era così in Europa dopo la rivoluzione francese, negli USA e nell’Urss che parlava di un avvenire radioso. Poi c’è stata la generale disillusione del progresso, con il montare di incertezze ed ambiguità. Questo perché la scienza è progresso della conoscenza, certamente, anche della conoscenza delle armi di distruzione di massa come gli ordigni nucleari, della manipolazione genetica, è l’ambivalenza della scienza che migliora il peggio - è il primo dei giochi linguistici con cui per quasi due ore l’ottagenuario sociologo avvincerà il pubblico seduto nell’anfiteatro della rocca di Castiglione del Lago - il benessere crea angoscia e malessere morale, perché è privo di amore.

Terzo paradossola crisi del progresso è la crisi del futuro. Morin ci descrive un percorso ciclico, scelto da noi: “Se il presente è un presente di miseria, angoscia, paura del futuro non può indurci che a ritornare al passato, a radici etniche o religiose, a un mondo unificato con conflitti tra religione e sviluppo”.

3 globalizzazioni, una terra.

Il sociologo francese descrive tre globalizzaizoni, di intensità diverse. C’è quella economica che è evidente, c’è quella della democrazia, in America latina e in Africa. E poi la globalizzazione culturale. “Già Marx capiva le potenzialità del capitalismo di fare una cultura universale, ma si tratta di una globalizzazione ambivalente, ambigua, così nella letteratura e nel cinema possiamo trovare prodotit da tutto il mondo, ma c’è una tendenza omologante – ha spiegato Morin – ma poi alcuni valori culturali importanti vi hanno torvato soccorso. A me piace il flamenco, ma questa musica andalusa stava scomparendo. L’industria discografica ha messo sul mercato delle antologie e oggi non solo è vitale ma dà vita a delle simbiosi culturali, come il flamenco rock! Vi sono diverse globalizzazioni, non possiamo dimenticarlo e dobbiamo affrontare assieme alcuni pericoli”. Sono i temi anticipati nella prima parte della lezione: la diffusione del nucleare, la degradazione della biosfera dovuta allo sviluppo tecnico economico, i conflitti ideologico/religiosi. “E cosa sono? Sono problemi di vita e morte che fanno di noi una comunità di destini umani,la Terra patria, che non abbandona gli stati nazione ma vede una patria collettiva. L’umanità è fatta di diversità ma il suo tesoro è l’unità umana. Abbiamo tutti la stessa anatomia e la stessa genetica, non la cultura. ci sono le culture, le musiche e non la musica, le lingue e non il linguaggio, ma ogni cultura è diversa, perché diverso è l’apprendimento".

L’abc di una società è dato da pochi elementi, che non perde occasione di ricordare per confutare le sue parole: “Una società necessita di un territorio con comunicazione, un’economia che si c’è, ma senza la regolazione statale, da una coscienza comune e da una struttur apolitica. Queste ultime due non le abbiamo ancora”. Quando si fa ormai buoi Morin scarta e offre alla platea il quarto paradosso: “è il progresso a impedire la concretizzazione di Terra – Patria. La nave spaziale terra ha come motore la tecnica, la scienza il profitto e l’economia. Tutto questo, che chiamiamo sviluppo va verso la catastrofe! Si producono armi, si degrada l’ambiente e crescono i conflitti etncio-religiosi. Ripensiamo questo processo perché lo sviluppo può dare vantaggi importanti, ma lasciato a sé stesso produce la catastrofe”.

Crisi e soluzione.

"Stiamo correndo lasciandoci alle spalle un complesso di crisi: la crisi della civilizzazione tradizionale, l’occidente ipermodernizzato produce più problemi che soluzioni, c’è la crisi delle relazioni, quella delle diseguaglianza. E rinasce la miseria, la popolaizone cacciata dai campi finisce nelle bidonville, nelle favelas, in condizioni illegali. Cos’è più importante? Gli aspetti negativi sono considerati più importanti di quelli positivi, come ad esempio accade nella Cindia, dove viene prodotta miseria. È la proletarizzazione totale e non la povertà, che può essere vissuta con dignita. lo sviluppo disintegra la solidarietà tradizionale e sviluppa egoismo, individualismo, egocentrismo. e produce corruzione”. Nel giorno dell’ottavo anniversario dell’11 settembre quando lo scenario sembra quello più fosco, delinea la soluzione: “Dobbiamo ripensare lo sviluppo, il concetto di crescita, non per abbandonare tutto in nome della decrescita ma per lasciare la visione binaria e adottarne una più complessa. Ripensiamo tutto in nome del criterio fondamentale”. Ci sono lunghi secondi di causa prima che l’ottantasettenne pensatore cominci a scandire: “il miglioramento delle condizioni di vita, dimenticato nelle visioni della globalizzazione. Il meglio e non il più, in alcuni casi il poco è meglio. Sostituiamo la qualità alla quantità è la soluzione. Meglio e non di più, prima di tutto la qualità della vita. La qualità della vita è diventata un problema politico centrale. Lo sviluppo ci ha portato addirittura ad un uso spasmodico di ansiolitici per questa vita”.

Occorre cambiare l’idea dello sviluppo anche e soprattutto verso i paesi in via di sviluppo, rispettando le peculiarità locali (che sono diversità), nella cultura come nella medicina tradizionale, perché ogni cultura ha i suoi difetti e le sue ricchezze. “La politica dell’umanità deve integrare le diversità. Certo è difficile cambiare, ma questa è la scommessa. Come ? in 7 settori”.

L’interdisciplinarietà che lo ha reso celebre, rendendo difficile agli accademici inserirlo tra i sociologi o tra i filosofi si spiega con questo approcio: lucido, provocatorio, ambizioso, a volte romantico. Proviamo a sintetizzare la politica del cambiamento di Morin.

1. Economia. Serve una forma di regolazione dell’economia mondializzata e serve un’economia plurale, che non ruoti solo intorno alle grandi multinazionali, all’agricoltura intensiva, ma cresca con l’artigianato, le cooperative, le medie imprese, lo sviluppo della produzione biologica e di qualità, la reumanizzazione delle città, la rivitalizzazione delle campagne. Le politiche economiche devono essere orientate a questa pluralità.

2. Politica. Vanno ritrovate le tre fonti della sinistra: la fonte libertaria (attenzione ai problemi delle libertà fondamentali, all’autonomia personale), la fonte socialista (la relazione tra individuo e società), la fonte comunista (relazioni di comunità non anonime e separata). L’aspirazione umana all’armonia di vita è unmovimento trans-storico, forse soddisfatta nelle società antiche prima dell’esperienza statuale, ricomparsa nel ’68. dice Morin: “è l’ispirazione che viene da più lontano. Dal passato ma è anche l’ispirazione del futuro”.

3. Riforma del pensiero. Va superata l’idea dei compartimenti stagni che impedisce di vedere e affrontare i problemi globali e le relazioni delle situazioni particolari in un unico globale. Ciò ci impedisce di affrontare i problemi globali come i problemi personali individuali. Riforma del pensiero è anche una riforma dell’educazione. E lancia un monito. “Il PD riformi l’educazione”.

4. Riforma della vita: aspirazione ad un’altra vita, alla poesia della vita, fatta di amore, comunione, partecipazione. Bisogna lottare per l’evasione, ritrovare un sentimento della solidarietà e della comunanza, superare la vita prosaica.

5. Riforma etica. Ha due fonti : solidarietà e responsabilità. Due dimensioni connesse che si alimentano e si completano. Oggi è distrutta ogni forma di solidarietà personale (in famiglia, sul lavoro, nel proprio paese) . Oggi c’è una nuova solidarietà burocratizzata che però non viene incontro alla persona e ai suoi problemi.

Che fare? Morin ricorda due proposte da lui fatte in Francia: “Costruire in ogni città una casa della solidarietà, un luogo dove le persone sono disponibili per gli altri. E un servizio civico di solidarietà internazionale, in modo che i giovani possano partire e soccorrere i loro fratelli in difficoltà in altri paesi Le ultime due riforme riguardano l’ecologia e il lavoro, strettamente connesse per garantire uno sviluppo sostenibile e una nuova centralità umana".

“Il problema è cominciare”. Lo dice così: secco, lapidario. Poi riparte: “tutto nasce dal piccolo, tutti gli inizi sono devianti e così siamo noi. Il cristianesimo è nato da gesù con 12 apostoli e un uomo di nome Paolo. L’islam da un uomo che deve fuggire, il socialismo dall’anarchia di Bakunin. È necessario operare una connessione permanente tra le diverse dimensioni di riforma per produrre una nuova cultura politica. La questione è una rigenerazione della politica, senza la quale si produce una degenerazione inesorabile della stessa. Il Pd deve seminare, fare workshop, formaizone permanente, e inziare una nuova cultura politica. Dove ‘è il pericolo, la coscienza del pericolo fa trovare la coscienza e le possibilità della salvezza”.

Probabilità e l’improbabile che si avvera. Si ricorre alla storia per dimostrare ciò che sembra più arduo. E così fa Morin: “ Le probabilità sono contro di noi, ma spesso nei momenti cruciali l’improbabile si avvera. La piccola Atene ha battuto due volte l’impero persiano e 50 anni più tardi nascevano la democrazia e la filosofia. Nel 1941 ero un ragazzo, e il dominio nazista era inevitabile. Ho vissuto con l’esercito nazista alle porte di Mosca, l’esercita nazista in Francia. Ma l’inverno fu duro e precoce finendo per congelare il nazismo! I nazisti dovettero correre in aiuto degli italiani in Grecia. Mussolini non riusicva a sconfiggere i greci, e i tedeschi s’impantanano in Yugoslavia, dove impiegano un mese a piegare la resistenza serba. Infine Stalin è avvisato da alcune spie del fatto che il Giappone non attaccherà la Siberia, e deicde di concentrare le sue forze nella difesa di Mosca. Quando i giapponesi attaccheranno Pearl Harbour anche gli USA entreranno in guerra. Tutto ciò che era improbabili si è avverato e ha reso improbabile la vittoria nazista”.

La speranza e la volontà

Oggi l’incapacità del sistema è evidente. Non è più in grado di affrontare i problemi fondamentali, ma la crisi è pericolo e allo stesso tempo possibilità di soluzioni nuove. Spiega Morin: “O si arriva alla degenerazione o si arriva ad un sistema nuovo, una metamorfosi verso un metasistema. Enormi sono le possibilità creatrici umane e ognuno di noi ha possibilità creatrici dormienti. Come nell’embrione le cellule hanno possibilità rigenerative nella società ognuno di noi può svegliare queste possibilità e portare alla metamorfosi. Una metamorfosi che parte dall’autodistruzione del sé e va verso l’autocreazione del nuovo, come il bruco che nella crisalide diventa farfalla.
La metamorfosi è propria della società, è già accaduto nel passaggio dalla società rurale alle società storiche. Anche oggi questa possibilità è presente, possiamo cambiare l’umanità, la vita umana. Come uomini e come politici abbiamo il dovere di far sopravvivere l’umanità e di metamorfosizzarla. attraverso una politica lungimirante, che guarda ai problemi quotidiani, senza dimenticare l’urgenza dei problemi fondamentali. Questa è la via per cambiare vita”.
Non ci sono commenti, solo un applauso, I 1000 iscritti in piedi a battere le mani, in minuti lunghissimi.

Marco Laudonio

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