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Notizie americane di Furio Colombo
17.08.2003

Per fortuna non era terrorismo. Ma milioni di persone sono restate per decine di ore senza una guida, senza un governo. Il presidente degli Stati Uniti può esportare una potentissima macchina da guerra ma non può parlare al suo popolo se c’è un black out che interrompe ogni forma di comunicazione, come è accaduto nel pomeriggio del 14 agosto.
L’evento, per fortuna, non è stato pericoloso, ma la risposta organizzata è stata lentissima. Nessun centro nazionale di notizie, nessun punto di informazione certa. Esemplare solo il sindaco di New York che, quasi immediatamente, ha fatto sapere, attraverso le radio delle auto bloccate nel traffico e le radio a transistor (fuori uso tutti gli altri strumenti di comunicazione) che non si trattava di un attentato.
La voce del cosiddetto superministro per la sicurezza Tom Ridge, l’uomo che era stato insediato come punto di informazioni certe per tutto il Paese, non si è sentita mai. La Casa Bianca era vuota, il presidente in vacanza. Quasi tutte le centrali elettriche che si erano spente a catena per ragioni ancora misteriose, sono di proprietà privata, senza alcun progetto di modernizzare o migliorare la tecnologia, senza alcun incentivo o ragione di farsi carico dell’immenso disagio di un black out e - meno che mai - del dovere di scambiare e coordinare le comunicazioni.
Un esempio. Tre giorni dopo il black out, milioni di americani non sanno se e quali aerei, treni, bus, partono o arrivano, se e quali tunnel che collegano l’isola di Manhattan alla terra ferma sono stati riaperti, e non hanno informazioni sulla ripresa dei trasporti di massa nelle vaste aree metropolitane rimaste prive di energia elettrica.
Gli americani non sanno ancora - mentre stiamo scrivendo dopo avere consultato “on line” tutte le possibili fonti - che cosa davvero è successo. Dove, perché, come si ripara e come si eviterà nel futuro.

* * *

L’argomento sembra essere la fragilità del colosso americano, immensa macchina militare e disordinato e incoerente sistema di funzionamento quotidiano. I falsi amici dell’America, coloro che si sono gettati a fingere un nuovo patriottismo filo-Usa, solo perché questo momento della politica americana sembra assecondare certe esigenze della loro politica interna, accuseranno chi discute questa sequenza disastrosa di eventi, di anti-americanismo.
Ma ciò che è accaduto in questi giorni sulla costa dell’Est degli Stati Uniti e del Canada è un problema per adulti responsabili, e tocca ad essi, nei giornali e nelle televisioni del mondo, cercare - accanto alle notizie vere che scarseggiano - le spiegazioni e le interpretazioni dei fatti.
C’è un identikit dell’America di Bush in questo grave e, per fortuna, “innocente” evento, nella sua vastità, nella sua imprevedibilità, nelle sue conseguenze.
Al centro di tutte le immagini sul black out che si sono viste negli Usa (in Italia chi non è collegato alla Cnn non ha visto quasi niente e non in tempo reale, perché non si devono interrompere i varietà, e mai la Rai e Mediaset sono apparse così inferiori al loro compito, forse per mancanza di ordini sul senso politico da dare alle sequenze allarmanti) c’è la solitudine. Non è una descrizione di colore con richiami e nostalgie letterarie. Se mai viene in mente la fantascienza amara e senza speranza di Philip Dick.
Chi ha visto i milioni di newyorkesi che camminavano in lunghe colonne da nord a sud, da sud a nord e verso i due lati dell’isola di Manhattan, si è reso conto che tutta questa gente può essere mandata in guerra ma non a casa. Ognuno - milioni e milioni - ha dovuto fare da sé, trovare la sua soluzione, sopravvivere, arrangiarsi, secondo quel che vedeva, ascoltava dalla persona vicina o credeva di avere capito. Tecnologie immense, pagate fino all’indebitamento astronomico di Bush con i soldi dei contribuenti, sono disponibili all’istante per realizzare in poche ore un intervento militare nel mondo, secondo disegni stabiliti al chiuso da poche persone sulla base di informazioni segrete.
Ma niente è predisposto, pensato e preparato per vivere un’emergenza dalla parte dei cittadini. Si può e si deve ammirare la straordinaria autodisciplina di un popolo, il senso di responsabilità individuale, la poderosa capacità collettiva di risposta spontanea.
Ma è una esistenza “fai da te”, in cui i cittadini non hanno a fianco nessuno, una vita in cui informazione, forza, tecnologia, comando, sono pagati dai cittadini ma non sono per loro. Funzionano altrove. In un grave incidente della vita quotidiana, come il black out cominciato il 14 agosto, non servono e non aiutano nessuno.
Colpisce soprattutto, in un Paese già duramente colpito dal terrorismo, la mancanza di una rete alternativa di comunicazione, la mancanza, per i cittadini, di informazioni certe, di notizie e istruzioni sicure. Il problema non è la disputa su ciò che è accaduto. Quella disputa diventerà enorme nei prossimi giorni e svelerà, forse, una inadeguatezza che è quasi incuria, un medioevo della tecnologia domestica.

* * *

Il problema è la noncuranza per una voce che raggiunga tutti i cittadini, informandoli da un lato sulle cose da sapere subito e sul posto, le cose da non fare, le marce inutili da evitare, gli affollamenti da cui stare lontano, le false soluzioni per problemi ignoti di durata sconosciuta. Dall’altro, specialmente in epoca di terrorismo, è la mancanza di piani immediati, sensati e realistici, per sgomberare un’isola.
Possibile che nessuno abbia pensato a dividere Manhattan, o meglio l’intera regione, in aree in cui responsabilità precise sono affidate a personale addestrato, con competenze immediatamente utili e strumentazione adeguata?
E poi è mancata la voce del Presidente. Ha parlato tardi, ha parlato poco, non ha spiegato niente. E infine - abituato dal clima di guerra a ignorare le brutte notizie - ha deciso di non parlare affatto, nel suo discorso radio del sabato dell’evento tutt’ora misterioso che ha coinvolto cinquanta milioni di cittadini.
Bush, che nel caos iracheno sta perdendo punti di popolarità ogni giorno, nel caos della costa dell’Est deve avere perduto molti altri punti a causa del senso di vuoto che quei milioni di cittadini, che si sono ingegnati a saltar fuori dagli ascensori, a farsi strada da soli nelle gallerie delle ferrovie sotterranee, a camminare per ore senza sapere se facevano la cosa giusta, devono avere provato per un giorno, una notte e un giorno.
Al caos è seguita una lunga incertezza di tutto e su tutto: quando e dove torna la luce, quando e dove parte un treno o un aereo, quando e dove la ferrovia metropolitana riprenderà le corse, quando e dove potrai trovare dell’acqua e un panino, quando e dove sarà possibile usare di nuovo un telefono (tutti saltati, fissi e cellulari) per avere o fare avere notizie.

* * *

Caos e silenzio sono circondati da una costellazione di interessi privati. Ciascuno, come nel gioco “Monopoli”, possiede separatamente una o più centrali elettriche che rispondono all’economia del gruppo proprietario, ai suoi legittimi interessi di bilancio, non alle logiche di una vasta regione (l’area di Nord Est degli Stati Uniti) in cui vivono, lavorano e producono ricchezza milioni di persone.
Infatti non è in atto alcuna concorrenza, in un mercato in cui ciascun operatore di centrali elettriche ha sistemato secondo convenienza i suoi rapporti con gli altri operatori.
Ecco l’America di Bush. Solitudine del governo al vertice, che preferisce propaganda e segreto. Solitudine dei cittadini, immensamente disciplinati, ma senza sostegno, senza guida, senza piani per affrontare un’emergenza di queste proporzioni.
Il caos del black out, vissuto in solitudine è una vicenda esemplare. È ragionevole immaginare che partirà di qui, oltre che dal disastro iracheno, la campagna elettorale dei democratici per restituire l’America agli americani e a chi ha sempre amato quel Paese. La destra di Bush, come le destre dei governi vassalli che la sostengono con obbedienza servile, non sa governare.

da www.unita.it

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