29.10.2008
IL PETRUZZELLI E L’INCOMPIUTA DI PALINURO. di Antonio V. Gelormini Alzare gli occhi al cielo e girare su stessi per farsi avvolgere, quasi in un abbraccio pudico e ammaliante, dal vortice di ricordi, di immagini, di luci, di personaggi e di emozioni. E’ il primo e spontaneo movimento che prende il sopravvento nel varcare la soglia della platea, ancora senza poltrone, del Nuovo Teatro Petruzzelli.
Ti accorgi subito che il tempo non si è fermato, che il vecchio Politeama resterà fissato nella memoria di ognuno, nelle suggestive inquadrature di Enzo Lattanzio e nelle drammatiche sequenze di una notte sciagurata, avvolte dai bagliori infausti di una tragedia irripetibile. Il luogo è lo stesso. Ma il teatro non è un museo, dove il passato può essere "visitato" e "ricostruito", come ci ricorda S.E. Mons. F. Cacucci. Il teatro è azione, che si rinnova incessantemente su quell’altare laico rappresentato dal suo palcoscenico e attraverso quella rituale liturgia codificata nei suoi copioni.
Il costume di scena è il solito, ma questo è un altro Teatro, che guarda al futuro e si appresta a muoversi in ritmi decisamente più contemporanei. Te ne accorgi guardando come verranno disposte le poltrone in platea: non più divise dall’unico corridoio centrale, ma intervallate da due corsie più laterali, per guadagnare più posti e rendere più accessibili le poltroncine centrali di ogni fila. Lo rilevi guardando la cupola spoglia, dove gli affreschi perduti saranno proiettati da moderni sistemi digitali. Lo percepisci dalla freschezza degli stucchi, dalla leggerezza dei decori e dal dedalo futurista della torre scenica. Per questo ritengo che quel "MMVIII" c’azzecchi molto sul frontone del nuovo palcoscenico, al di sopra del grande arlecchino del Petruzzelli.
Ma le cronache ci dicono che tutto questo non basta ad esorcizzare la maledizione caduta sul Teatro quella notte di ottobre di 17 anni fa. Un falò di interessi contrapposti, che continua ad essere alimentato, nonostante i fiumi di acqua e di denaro profusi dai baresi e dai tanti italiani sensibili alla sopravvivenza di un tale scrigno d’arte e di bellezza.
Una maledizione che vorrebbe rendere vano lo sforzo pervicace e coerente del Sindaco di Bari e della sua Amministrazione, per tener fede ad un impegno preso con l’intera città e con l’intera comunità dello spettacolo e della cultura, come ha sottolineato Maddalena Tulanti, lo stesso giorno che quell’orologio a piazza del Ferrarese ha cominciato a scandire il suo conto alla rovescia. Una maledizione comune a tante prestigiose proprietà private, dilaniate da un ventaglio ereditario disomogeneo, che anno dopo anno si allarga a dismisura, espandendo minaccioso la sua ombra.
E’ il caso emblematico ed analogo di Palinuro, nel Cilento. Un tempo su quella costa il Club Méditerranée gestiva uno dei suoi più affascinanti e suggestivi villaggi con capanne. Una realtà economica e un flusso turistico internazionale, che influenzavano significativamente l’economia dell’intero comprensorio territoriale. Tanto da dar vita a una nuova linea ferroviaria Parigi-Palinuro. Trent’anni fa medesime vicende ereditarie provocarono lungaggini contrattuali e l’abbandono da parte del Club Med. Nonché la perdita di centinaia di posti di lavoro e lo svanire di una risorsa straordinaria per quell’area. Da trent’anni il complesso è ancora recintato e se ci si affaccia, è possibile scorgere ancora qualche capanna. Uno squallore che fa rabbia e che brucia ancora oggi.
Dio non voglia che analoga incompiuta si profilasse all’orizzonte di via Putignani, al di là di corso Cavour. E se possiamo permetterci un suggerimento: si lasci uno spazio in platea, sin dall’inaugurazione, a un nutrito gruppo di bambini, per consegnare al futuro l’impegno della città a perpetuare il suo rapporto con l’arte e con la bellezza.
(gelormini@katamail.com )
|