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7.11.2008
Riflessioni di due scettici sulle implicazioni della vittoria di
Barack Obama, 44esimo presidente degli USA.
Questo articolo e' stato pubblicato originariamente su LaVoce.info,
che ce l'aveva gentilmente richiesto.
Cominciamo dalle certezze, ossia dai fatti. E dalle cose che possiamo
imparare in Italia da questa elezione.
Questa è una vittoria che, seppure scontata da un mese a questa
parte, era ancora in dubbio due mesi fa ed appariva impossibile
l'anno scorso. Da questo punto di vista, che si provi o meno simpatia
per Barack Obama, questa sua vittoria è la vittoria dell'under-dog,
dello sconfitto di sempre, dell'escluso e dell'illuso rispetto agli
insiders, ai saggi con i piedi di piombo, a quelli che "comunque
appartengono" e che, da sempre, contano. Per questo la presidenza di
Barack Obama è un fatto storico eccezionale. Ed è dovuto anche a
meccanismi di competizione politica ben funzionanti, regole chiare e
libera circolazione delle idee. Una vittoria del metodo democratico e
di istituzioni fondamentalmente solide che resistono e vincono, alla
fine, su tentazioni bonapartiste, o peroniste che dir si voglia.
Crediamo sia il caso di prenderne nota, specialmente in quei paesi
laddove queste cose non ci sono e, quindi, vincono sempre, e
comunque, quelli che appartengono al giro buono.
Prendere nota, soprattutto, che a fronte di diffusi annunci della
decadenza americana e della fine del ruolo degli USA come
nazione "guida" del mondo democratico e capitalista, questo paese
riesce a sparigliare il gioco di tutti. La sostanza è che gli USA
sono ancora una nazione innovatrice. Gli USA hanno stupito il mondo
per la loro disponibiltà ad assumersi un rischio che molti scettici
avevano escluso. Potrà andar bene o male, questo lo vedremo, ma al
momento il segnale di cambiamento è forte ed è quello dominante nelle
piazze di questo paese, a quest'ora.
A Novembre dell'anno scorso era chiaro che un democratico avrebbe
vinto, era molto meno chiaro che Obama avrebbe vinto. La vera
sorpresa quindi è venuta dalle primarie. Un candidato istituzionale
dei democratici c'era ed è stato sconfitto. Lezione: le primarie sono
un meccanismo efficiente di selezione di un leader solo se la base
elettorale dei partiti le prende sul serio e se esiste abbastanza
competizione nei media tale da permettere anche all'under-dog di
parlare ed essere sentito, e poi ascoltato. Questa reputazione va
guadagnata, questa libertà nella circolazione delle idee va
costruita. In Italia sarebbe il caso di cominciare a pensarci sul
serio, invece di litigare sulle preferenze.
Le campagne future saranno finanziate in gran parte su internet, con
una partecipazione attiva degli elettori. Il finanziamento pubblico
dei partiti negli USA è morto e non tornerà mai più. Obama ha
annientato McCain sul piano dei contributi. I repubblicani hanno
visto, studiato e promettono vendetta con un piano da miliardo di
dollari nell 2012. Queste sono anche le elezioni che vedono il
principio della fine dei grandi mezzi di comunicazione, in primo
luogo i grandi giornali. La loro popolarità è pari a quella del
congresso, che è più bassa di quella di Bush. Una larga maggioranza
degli elettori ha dichiarato che i grandi mezzi di comunicazione
hanno favorito Obama, e bisognava essere ciechi e sordi per non
accorgersene. Interi network (MSNBC in particolare) si sono
trasformati in cinghie di trasmissione di un candidato. Notiamo anche
l'enorme differenza da un momento storico simile: la fine della
presidenza Nixon-Ford, grazie al Washington Post. Oggi Obama vince
nonostante il New York Times lo appoggi, con questo smentendo anche
cose che noi stessi avevamo scritto pochi mesi fa. Vale la pena
rifletterci.
Obama è di origini umili, ma è stato selezionato da un sistema di
grandi università di elite, come la grande maggioranze dei
presidenti. Si può non essere d'accordo con il taglio ideologico di
quelle università , ma quelle università insegnano e selezionano. Chi
crede che un sistema elitario serva solo a garantire il mantenimento
di posizioni di privilegio e, allo stesso tempo, è entusiasta del suo
successo deve fare meglio i propri conti: delle due, l'una. Una forte
scuola con accesso di massa è necessaria, ma un vertice fatto di
istituzioni a cui solo pochi, altamente meritevoli, possono accedere
è vitale per il funzionamento democratico di una nazione. Selezione
sul merito, senza condizioni di favore per nessuno, ma selezione.
Riflettere anche su questo, nei giorni delle occupazioni e delle
misure tampone, non sarebbe una brutta idea.
Veniamo alle speculazioni.
Cosa farà Obama? Difficile dire per chiunque, visto che ha cambiato
posizione su tutte le questioni essenziali. Ma una cosa è certa:
Obama governerà dal centro-sinistra e non a sinistra. Lo farà in
parte per necessità , perché la crisi economica è reale e rimane tale
anche domani, ed anche per scelta, perché il suo oscillare su diversi
punti essenziali è risultato strumentale alla costruzione del
consenso che lo ha eletto oggi. Di più: lo fara' anche per saggezza
politica, non solo per necessità economica. Deve realizzare molte
promesse. Ma una prima grande trasformazione è già avvenuta: nulla
sarà come prima nella società civile, non solo in quella politica,
americana. E gli elettori neri non sono ingenui: basta vedere come
hanno accuratamente studiato il nuovo venuto prima di appoggiarlo
incondizionatamente. Ancora a Gennaio, prima della Iowa caucuses, il
candidato degli elettori neri era Hillary. Hanno visto che una
strategia "senza brusche mosse" è una strategia vincente, e hanno
imparato la lezione.
I test di come si muovera'? Molte delle cose che non costano e che si
possono fare subito o quasi subito. Fra questi le nomine, quando
verranno, alla Corte Suprema; l'aborto per il quale non è impossibile
che (dopo tanto tempo) si arrivi ad un minimo di legislazione
federale che tagli il nodo gordiano; i diritti degli omosessuali; la
ricerca sulle cellule staminali; la chiusura di Guantanamo: tutte
riforme che la maggioranza dei cittadini americani appoggia, e che
non costerà molto intraprendere, seguendo il modello di Zapatero
nella Spagna post 2004. Un Obama di sinistra realizzerebbe la
Fairness Doctrine (intesa sostanzialmente a limitare il potere
mediatico delle radio di destra). Noi crediamo che non lo farà . Un
Obama di sinistra realizzerebbe la EFCA (Employee Free Choice Act),
un provvedimento che elimina il voto segreto nelle elezioni sindacali
e contro il quale persino il vecchio "comunista" McGovern si è
schierato. Questo è più probabile della Fairness Doctrine, quindi è
un vero test. Certo è che i democratici nel congresso hanno giÃ
votato a favore. Lo stesso per gli accordi commerciali. Un Obama di
sinistra li cambierebbe molto, quello che abbiamo visto al lavoro nei
mesi passati ne parlerà molto. Ma i democratici al congresso hanno
gia 'votato contro i precedenti (CAFTA). Le cose che costano dovranno
aspettare, anche se per dare l'impressione di un pacchetto di stimolo
e per la riforma della sanità qualcosa sarà fatto. Ma non ci sono i
430 miliardi di dollari anno che il programma intero prevede. In
parte dipenderà da quanto rapidamente riuscirà ad uscire dall'Iraq e
dai risparmi che questo potrà fornire. Poi ci sono le tasse ed i
contributi alla sicurezza sociale: li alzerà davvero, come promesso,
o andrà passin passetto? Propendiamo per il passin passetto, e non
solo per l'incombente recessione. Ma forse stiamo solo illudendoci di
risparmiare sulle tasse dell'anno prossimo.
La grande incognita? La politica estera. Per i giovani nel mondo, la
vittoria di Obama è un messaggio di innovazione e di speranza. Altri
avranno la tentazione di leggerlo in un modo diverso. Ricordiamo: il
9 aprile 2003 la guerra in Iraq era popolare, con 139 morti. La
stessa guerra è diventata impopolare quando i morti hanno superato
soglia mille. Qualcuno potrebbe pensare che soglia mille è il prezzo
massimo che oggi un presidente americano può pagare in politica
estera se l'opzione militare diventa realtà . Per fare un confronto,
la svolta in Vietnam avvenne nel 1968, dopo 20 mila morti. Ci potrÃ
quindi essere la tentazione di interpretare questa elezione come un
momento di debolezza. Per combattere questa tentazione, Obama dovrÃ
avere più che la politica della speranza. Kennedy fu messo alla prova
subito dopo la sua elezione, e dalle sue incertezze nacquero il muro
di Berlino e la guerra del Vietnam.
Il futuro? Obama vuole lavorare per il lungo periodo: quello che ha
in mente è una grande trasformazione per realizzare la quale mancano
tutti i dettagli tecnici anche se è riuscito a farne intravedere ai
suoi elettori l'obiettivo essenziale. Esso consiste nella riduzione
dell'ineguaglianza economica, ma come raggiungerlo? Obama, come noi,
non ha la ricetta magica in tasca, e lo sa, come lo sanno i suoi
consiglieri. Poiché non è disposto a rischiare le sue carte con una
sconfitta come quella che nel 1994 (quando i Repubblicani vinsero
con "Il Contratto con l'America'') cambiò la presidenza Clinton solo
due anni dopo la sua prima vittoria, sceglierà di andare molto cauto
su come avviare il processo che dovrebbe portare ad una riduzione
delle diseguaglianze economiche oggi esistenti. Per questo la sua
vittoria è probabilmente più significativa di quanto lo sembri oggi,
per quanto importante essa appaia. Se gli USA sono il paese della
libertà e l'Europa quello dell'uguaglianza, gli USA oggi si sono
mossi in direzione dell'Europa. L'uguaglianza come ideale politico ha
un prezzo, ma quello si vede e si paga solo nel lungo periodo. La
nostra speculazione finale è che Barack Obama, non potendo calcolare
ancora quanto alto sia quel prezzo, procederà con cauti esperimenti
invece che con la coraggiosa baldanza che ha caratterizzato la sua
corsa alla presidenza. Ma l'uomo, avendoci sorpreso già un paio di
volte, potrebbe farlo di nuovo.
welfareitalia.it ringrazia
www.noisefromamerika.org
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