UN TETTO PER LA CULTURA di Antonio V. Gelormini Quanta amarezza e quanto sconforto nel vedere le foto dei volti stravolti dei genitori, degli amici e dei professori di Vito Scafidi, increduli e disperati per una morte che arriva dal soffitto della scuola a Torino. Quanta delusione e quanta rabbia, qualche pagina più in là , nel leggere ancora della puntigliosità e della meticolosità ministeriale nella querelle per la riapertura del Teatro Petruzzelli a Bari.
Il teatro più sicuro del mondo non può riaprire, ma le aule, gli edifici e i plessi più fatiscenti di un sistema scolastico, che sta in piedi per chissà quale misericordia, aprono i battenti ogni mattina e accolgono i nostri figli, i nostri ragazzi e quanti si occupano di loro, nella sicura quotidianità di un terno lotto.
Nel Paese con oltre la metà del patrimonio mondiale artistico ed architettonico, la cultura cerca casa. Ridotta come un homeless a soluzioni di fortuna, a sopravvivere di elemosine e di sostegni benefici, a conservare una parvenza di dignità , tra lo squallore dilagante di una marea di approssimazione e una risacca di sensibilità verso la bellezza e la fatica della ricerca nel sapere.
In questo Paese, specializzatosi nel "non far fare", piuttosto che nel "fare insieme", ci si è quasi assuefatti all’inevitabile scadere della tragedia in dramma; e si dà per scontato, con malcelato pudore e inaspettato cinismo, che sia naturale sorprenderci a riderne quando essa indossa i panni della farsa.
La scuola cade a pezzi e noi si dibatte di grembiulini, voti in condotta e maestri unici. Il teatro più sicuro del mondo è pronto e persino la presa di posizione del ministro Bondi, sull’iter procedurale per la sua riapertura, rimanda più allo sciopero bianco dei piloti Alitalia, che all’improbabile attenzione verso le aspettative di un’intera città e di tutto il mondo dello spettacolo.
La cultura in Italia è senzatetto. Materiale o finanziario che sia. Ha sempre più i caratteri di un soggetto "senza fissa dimora". In balia delle panchine, di un marciapiede o dei giardini pubblici; dei tavoli di raccolta firme, dei gradini di una chiesa o di spazi improvvisati per accoglierla. Perché meravigliarsi, allora, se per sbarcare il lunario la soluzione più pratica ed economica, al di là della solita mensa parrocchiale, non resta quella di affacciarsi al primo McDonald’s?
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