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Sulle pensioni non tratteremo alcun taglio
31.08.2003

Intervista a Livia Turco
«Va affrontato il tema dello Stato sociale nel suo complesso. L’esecutivo si presenta però completamente privo di qualunque credibilità» «Siamo disponibili a discutere, ma per migliorare il Welfare»
Le parole di Francesco Rutelli sull’Ulivo «pronto a discutere e a fare proposte serie» sulle pensioni sono state interpretate da alcuni come un’apertura al governo. L’Ulivo intende discutere di pensioni con questo governo?
«L’Ulivo critica pesantemente il governo che si presenta senza alcuna credibilità su un tema cruciale come quello della previdenza e del Welfare. Quando diciamo al governo di avanzare una proposta, intendiamo mettere in risalto la sua totale non credibilità che lo rende ancora più pericoloso per la difesa dei diritti delle persone. Il sottosegretario al Welfare Maria Grazia Sestini ha detto con grande candore, non so se per faccia tosta o ingenuità, che con i soldi che si risparmieranno sulle pensioni si finanzieranno interventi contro la povertà estrema, dice cioè che si punta a fare cassa con le pensioni. Noi siamo disponibili a discutere di Welfare, ma in un contesto complessivo e per un sistema equo, non certo per fare cassa».
Verdi e Comunisti italiani sostengono però che con questo governo non si può discutere perché è evidente che i suoi interventi puntano a ridurre i diritti. La stessa cosa diceva ieri la Cgil...
«Sono d’accordo, le due cose non sono in contraddizione. Quando si dice al governo di presentare una proposta credibile non vuol dire che siamo pronti a trattare, si vuole sottolineare una cosa ancora più grave: che questo governo non ha proposte chiare, rincorre ipotesi velleitarie, populiste, pasticciate. Dopodiché il giudizio sulla politica sociale è assolutamente netto, sta destrutturando il Welfare, sta costruendo un sistema di Welfare duale con l’abbandono del pubblico e l’incentivo del privato, così in tutti i comparti».
Disponibili a discutere di pensioni: quali sono le coordinate?
Innanzitutto con grande orgoglio diciamo che la riforma il centrosinistra l’ha fatta. Il punto è applicarla, magari accelerandone alcuni aspetti, affrontare i problemi che la riforma Dini non aveva visto perché quella legge faceva riferimento a un mercato del lavoro che adesso non c’è più, aveva come punto di riferimento un lavoratore a tempo indeterminato che matura costantemente contributi e che a 57 anni con il metodo contributivo può andare in pensione e con la previdenza complementare può mantenere una pensione dignitosa. Oggi il mercato del lavoro è cambiato».
Sulla base di questi cambiamenti qual è la strada che può essere percorsa senza prevedere tagli?
«Il primo punto fondamentale è la previdenza complementare. Siamo d’accordo sull’utilizzo del Tfr con il silenzio assenso del lavoratore e con una garanzia di rendimento dei fondi pensione, prevedendo un aiuto alle imprese perché smobilizzare il Tfr soprattutto per quelle minori significa un danno. Secondo: va affrontato il nodo del tasso di attività che da noi tra i 55 e i 65 anni è tra i più bassi d’Europa. Va risolto come indica l’Unione europea, cioè va aumentato con politiche attive per l’occupazione. Quindi una seria riforma degli ammortizzatori sociali per togliere l’alibi alle imprese che espellono gli anziani dal processo produttivo (e poi chiedono la decontribuzione e l’allungamento dell’età di pensionamento), un sistema di formazione permanente, e poi ad esempio, misure come il part-time in uscita. E incentivi a restare che siano però seri ed efficaci».
Gli incentivi proposti dal ministro Maroni lo sono?
«Come la Cgil penso che gli incentivi debbano essere più convenienti. Intanto credo che bisogna abolire la norma sul divieto di cumulo tra pensione e lavoro. Quanto alla convenienza non la vedo nella proposta del ministro perché se invece di versarli i contributi vengono messi in busta paga si ha un vantaggio per due o tre anni poi però si va in pensione con i contributi di tre anni prima. Mi sembra una bufala. Però il principio degli incentivi per mantenere le persone al lavoro va condiviso, ma collocato nel quadro più complessivo che descrivevo».
La solidarietà tra generazioni: i Ds insistono molto su questo. Come si pratica?
«È un punto importantissimo. Intanto va tolta la decontribuzione e siccome il problema del costo del lavoro c’è si trovi un’alternativa, noi e i sindacati l’abbiamo indicata, si riprenda a parlare della fiscalizzazione degli oneri impropri, è un’alternativa seria. Dell’equità generazionale noi facciamo un punto di fondo. Si applichi un meccanismo di totalizzazione per il calcolo della pensione, è necessario che il lavoratore possa sommare tutti i contributi anche di gestioni separate diverse. A partire dai co.co.co o comunque dalle forme di lavoro discontinuo: se come afferma la delega pagheranno più contributi devono avere più indennità di disoccupazione, formazione e accesso alle altre prestazioni sociali».
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