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Sinistra, non dire di no di Alfredo Reichlin
2.09.2003

Con il progressivo scollamento della maggioranza di centro-destra e il rivelarsi di Berlusconi come persona priva della dignità e della cultura minime necessarie per governare uno Stato, si è riaperta la grande questione che grava da troppi anni su questo paese e rende incerto il suo cammino. Parlo della difficoltà a stabilizzare un nuovo ordine democratico dopo quello della Prima repubblica e di garantire agli italiani una guida politica e morale. Questo problema non è più rinviabile anche per il fatto che, con il procedere della costruzione europea, politica interna e politica estera tenderanno a coincidere. La formazione di partiti trasnazionali diventerà ineluttabile e le forze progressiste tenderanno a raccogliersi in un “partito europeo” mentre quelle più moderate si faranno scudo della potenza americana.
Cambieranno in tempi non lunghi molte cose e il sistema politico italiano - compreso l'assetto attuale del centro-sinistra - sarà costretto a semplificarsi. Che ruolo avrà la sinistra? La tesi che voglio sostenere è che la sinistra sbaglierebbe se vedesse in ciò solo un pericolo per la sua autonomia. Penso, al contrario, che il solo modo per riaffermarla è prendere la testa di questo processo. Non, quindi, facendo un "passo indietro" come i moderati (anche interni alla sinistra) da anni ci chiedono ma occupando quello che è il terreno più avanzato dello scontro con le forze reazionarie: l'Europa, la sua missione politica civilizzatrice, la sua costruzione come potenza politica globale. Essendo questa, oltretutto, la via maestra per aprire orizzonti nuovi e più avanzati alle forze che vogliono battersi per garantire nuovi diritti e nuovi spazi di libertà a un mondo in cui le attuali logiche di dominio stanno provocando lacerazioni devastanti e rischi seri di imbarbarimento. Che autonomia può avere una sinistra che si chiudesse, invece nei suoi vecchi confini?
Siamo quindi di fronte a un mutamento profondo della situazione politica ma anche del quadro storico. E di ciò dovremmo tener conto nel discutere sulle ragioni di un più forte soggetto politico unitario del riformismo italiano. Queste ragioni sono molto serie. Basta accennare alla sostanza della crisi italiana. Da decenni l'Italia non era di fronte a una scelta così radicale, addirittura tra diversi destini: accettare un certo declassamento cercando di vivacchiare come appendice subalterna della superpotenza imperiale? Oppure fare le riforme necessarie per partecipare in prima persona alla costruzione europea? Noi dobbiamo sapere che tipo di sfida questo rappresenta anche per la sinistra e per i partiti che si richiamano all'Ulivo. Non basta più denunciare le malefatte della destra in attesa di prendere più voti alle prossime elezioni. E' con un processo di decadenza del paese, certo non irreversibile ma ormai avviato, che noi ci dobbiamo misurare. Perché è vero che la destra ha aggravato le debolezze profonde dell'organismo italiano, debolezze che non riguardano solo l'economia ma la qualità delle funzioni pubbliche, definitiva la pochezza delle classi dirigenti. Ma queste debolezze preesistevano. E' con esse -non solo con Berlusconi- che ci dobbiamo misurare. E la difficoltà di farlo dipende anche dal fatto che di questa Italia datata e in affanno noi siamo stati e in una certa misura continuiamo a essere parte (sia pure la parte migliore). E fino a quando continueremo a oscillare tra un "novismo" senza radici e il rifiuto di fare i conti con troppi retaggi del passato la vita della sinistra italiana resterà difficile e scarso sarà il suo contributo allo sviluppo democratico del paese.
Sono queste le ragioni per cui una grande innovazione, paragonabile ad altre svolte famose, a me sembra non più rinviabile. E per fortuna la direzione dei ds eletta a Pesaro l'ha resa ormai fattibile. Io parto da una riflessione sulla crisi italiana che mi porta alla conclusione che questa non può più essere affrontata solo dall'alto, se cioè non si mobilitano le risorse profonde che questo paese spreca irresponsabilmente. La somma dei 6-7 partiti che costituiscono l'attuale centro-sinistra può rappresentare quella guida capace per la sua coesione e autorevolezza di suscitare la mobilitazione che è necessaria? Il bisogno di una innovazione seria a me sembra chiaro. Ma di che innovazione si tratta? Guai se essa si riducesse alla riproposizione del dibattito inconcludente che si è trascinato per anni intorno alla dissoluzione della sinistra per consentire l'invenzione di un nuovo partito senza storia e senza radici.
Proviamo invece a rimettere con i piedi per terra la grande questione -che è reale- della formazione di un nuovo e più largo soggetto politico del riformismo italiano. Proviamo a ripartire dalle cose, dai problemi irrisolti. Proviamo a ripartire dagli italiani. Scopriamo allora che, al punto in cui sono arrivate le cose in Italia, la condizione per una svolta è mettere in campo non solo e non tanto un programma (l'elenco delle cose che bisognerebbe fare) ma un soggetto politico il quale dica agli italiani che sono loro che quelle cose possono fare e le possono fare in quanto noi ci decidiamo ad affrontare la questione cruciale, il nodo politico-morale che in questi anni ha via via isterilito e soffocato le energie vitali del paese. Questo nodo è la crisi della partecipazione democratica. E' l'oligarchismo. E' la dissoluzione dei legami sociali.
Voglio dire semplicemente questo: che sbaglia chi non capisce che Berlusconi non è una parentesi dalla quale si esce con un semplice cambio di maggioranza. E' il fondo dei valori politici e morali su cui si è costruita la Repubblica che negli anni si è logorato. E se si è abbassata la soglia della legalità e dell'etica politica questo non è avvenuto per un colpo di Stato ma per un insieme di problemi irrisolti da molti anni. Io condivido l'opinione di (Adolfo Battaglia) si chiede se i partiti che compongono l'attuale centro-sinistra sono consapevoli della natura e della vastità del problema da affrontare. E se sono davvero immuni dai mali che la destra ha aggravato.
E' sostanzialmente questa la questione che -a mio parere- bisognerebbe discutere. La iniziativa politica nuova -che è necessaria- non può avere successo se non si accompagnerà alla ricostruzione della ossatura della società, delle sue autonomie (sindacati, associazioni), delle reti e delle relazioni che danno un senso alla libertà degli individui. Questo che dico non è politicamente concreto? Manca di realismo? Ma questo è il problema cruciale della politica nel mondo di oggi. E qui sta la condizione perchè il riformismo ritrovi un popolo, che è cosa diversa da un indice di gradimento nei sondaggi. Perché se non si riempie lo spazio tra un potere sempre più lontano e oligarchico e la cosidetta "gente" io non vedo come possiamo misurarci con la contraddizione sempre più grande tra la potenza di una economia che muove le ricchezze del mondo secondo le logiche dei mercati finanziari e il potere debole e ristretto della politica resa incapace di garantire le libere scelte degli uomini e la sovranità del cittadino. Fa una certa impressione ripensare alle nostre discussioni di questi anni e constatare quanto erano distanti dal tema centrale: che era questo. Non era la governabilità (i poteri del premier) ma la crisi della democrazia, non i referendum ma la partecipazione politica organizzata. Tanto più che qui stava la forza di Berlusconi. Non stava nelle "camice nere" ma nella riduzione della democrazia all'atto del voto (la delega di tutti i poteri a chi conquista la maggioranza). Stava nella trasformazione del cittadino in consumatore, nella trasformazione della società in società di mercato.
Sono queste le ragioni per cui io penso che la forza del messaggio che un nuovo processo politico unitario dovrebbe rivolgere agli italiani dovrebbe consistere nella chiara volontà di riaprire dopo tanti anni, e dopo tante chiacchere sui marchingegni elettorali la questione di fondo della democrazia italiana. Parlo di quel problema cruciale che consiste nella integrazione politica del popolo nella vita statale, e ciò non in modo passivo e subalterno ma attraverso la creazione di una soggettività politica. Questo è il tema che giustifica davvero l'apertura di un cantiere per la costruzione di un soggetto politico nuovo e più largo. Ma allora bisogna essere molto chiari. Che cosa andiamo cercando? Un ennesimo partito di tipo "personale" per le ambizioni di un leader? Oppure noi cerchiamo -come io penso- la risposta all'interrogativo di che cosa ci sia dopo la vecchia democrazia dei partiti e dopo la crisi della sovranità popolare quale si era affermata in Europa con lo Stato-nazione? Ci rassegniamo all'idea che c'è solo una forma di governo più o meno oligarchica (sia pure mascherata dal populismo) e nei fatti sovraordinata dalle logiche di un mercato per il quale i diritti sociali sono solo un costo? Oppure ci sono nuove forme di partecipazione più complesse costruite sulla base del riconoscimento dei nuovi diritti delle persone? La costruzione di una nuova forza progressista europea.
Il problema è quindi quello della ricostruzione di uno spazio pubblico capace di rimettere in gioco le forze profonde del paese. Ed è per questo che chi ha sempre difeso a spada tratta il partito politico non può non essere affascinato dall'idea di mettere in moto un processo unitario che trovi il suo fondamento nel fatto che le culture riformiste vere, e vere perché hanno dato al popolo italiano una ossatura politico-morale e una scala di valori (parlo dei cattolici democratici, del socialismo popolare, della grande cultura laica e risorgimentale) tornano non solo a parlarsi ma perfino a integrarsi tra loro.
La sinistra non è una categoria dello spirito. E' nata in Europa e ha fatto storia nel Novecento in quanto attore principale del conflitto tra le classi, cruciale allora, nell'epoca dell'industrialismo. Noi abbiamo difeso questa forza dai tanti che all'esterno (ma anche all'interno) avrebbero voluto scioglierla. Siamo tornati forti. Ma non lo siamo abbastanza per affrontare da soli, i nuovi conflitti di un mondo che ha culture, bisogni, religioni diversissime da quelle del Novecento europeo. Bisogna, quindi, andare oltre i nostri vecchi confini. Dobbiamo occupare il terreno dei nuovi conflitti. La globalizzazione è ben altro che l'allargamento dei mercati. E' l'apertura di un processo storico nuovo in conseguenza del quale gli Stati nazionali non scompaiono affatto ma la loro sovranità è attraversata e condizionata da attori che governano reti attraverso le quali passano poteri sovranazionali, interessi forti, disegni politici di dominio, insieme a tutti quei fattori immateriali che cambiano i valori e i modi di pensare degli uomini.
Sarà fortissima l'opposizione dei molti interessi che vorranno conservare privilegi e vecchi poteri. Io penso che -per vincere- bisogna puntare sulle grandi ragioni che possono unire in Italia e nel mondo le forze del progresso. Perché lì, in quelle grandi ragioni stanno le forze vere e vive da rimettere in moto. L'incontro si fa, a questa altezza. Non si fa al ribasso ma rendendo esplicita la grandezza della posta in gioco.
da www.unita.it
Welfare Italia
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I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
09.2.2003 14:34
Esprimo il mio parere nel senso che prima bisogna preparare un programma condiviso e poi sottoporlo a tutte le parti in causa partiti associazioni movimenti e prepararlo già da subito
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