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Clima energia, ripartiamo dal classico mezzo bicchiere
7.01.2009

Clima energia, ripartiamo dal classico mezzo bicchiere per arrivare a Copenaghen. di Massimo Serafini  ROMA. La domanda più ricorrente fra gli ambientalisti e tutti coloro che auspicano un impegno forte dell'Italia nella lotta ai cambiamenti climatici è la seguente: il faticoso accordo trovato a Bruxelles lo dobbiamo considerare un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? E' una discussione poco utile, soprattutto paralizzante di ciò che è necessario fare ora, nel periodo cioè che ci separa dal prossimo appuntamento di Copenaghen, al cui centro vi sarà la possibilità o meno che le decisioni europee diventino un accordo globale.

Quali azioni sono necessarie qui ed ora per indebolire ed isolare ulteriormente la posizione del governo italiano che continuerà nel suo sabotaggio di ogni impegno nella lotta al cambio di clima? Ecco su cosa sarebbe necessario interrogarsi. Affidiamo un esito positivo di Copenaghen solo ad Obama, come si è fatto ora a Poznam, delegando a Barroso il contrasto di Berlusconi e dei suoi impresentabili alleati?

Come ogni accordo (compromesso se si preferisce) anche quello raggiunto sul 20-20-20 fotografa i rapporti di forza reali. Dico francamente che se per un attimo mi mettessi nei panni di uno di Confindustria o più semplicemente di un cittadino convinto dalla propaganda di Berlusconi sui costi per il nostro paese del pacchetto clima, non sarei molto soddisfatto dell'accordo raggiunto a Bruxelles. C'è con tutta evidenza una sproporzione fra la fortissima mobilitazione realizzata per liquidare la direttiva comunitaria sul clima e i modesti risultati raggiunti.

Da mesi gran parte dell'informazione, e più o meno tutta quella televisiva, ha diffuso una propaganda quotidiana a sostegno della posizione del governo italiano, fornito dati truccati sull'insostenibilità economica e sociale del pacchetto clima; l'intera Confindustria ha agito sul sistema delle imprese europee, coinvolgendo sulle sue posizioni, persino in Germania, settori industriali come l'auto, la siderurgia, il cemento e con essi, ad eccezione di quelli italiani, i sindacati; sono stati presi dal governo provvedimenti come la riapertura al nucleare o la liquidazione delle detrazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie a fini energetici per dare il segnale del disimpegno italiano nella lotta al riscaldamento globale.

Insomma per farla breve una mobilitazione e una campagna massiccia volta a liquidare l'unilateralismo europeo sul clima e con esso le famose tre venti su emissioni rinnovabili ed efficienza. Solo un mentitore di professione come Berlusconi può dire che uno sforzo così massiccio e costoso ha prodotto risultati importanti: qualche sconto e maggiori flessibilità per quanto riguarda gli impegni delle industrie più energivore (ETS), ma con la conferma di tutti gli obiettivi strategici.

Tornato però nei miei panni di ambientalista, nonché elettore del centro sinistra, posso con tranquillità dire che il fallimento di Berlusconi sia dipeso dalla forza della mobilitazione che lo schieramento a cui appartengo è riuscito a produrre a favore della direttiva clima? Direi proprio di no.

La mobilitazione che si è riusciti a fare si limita alla manifestazione di Milano del 7 giugno scorso, promossa da Legambiente, insieme a un vasto schieramento di associazioni e alle varie prese di posizione contro le scelte del governo dell'opposizione. Poca cosa. Nello stesso sciopero generale di venerdì scorso il tema della lotta ai cambiamenti climatici e la difesa della direttiva delle "tre venti" era più

un'aggiunta alle altre sacrosante rivendicazioni, che il filo conduttore dello sciopero. Non si è colto cioè lo stretto collegamento fra crisi climatica e quella economica e soprattutto l'opportunità che la lotta alla prima offre per uscire vincenti dalla seconda.

E' necessario quindi disquisire meno sulle interpretazioni dei vari punti dell'accordo e mettersi a lavorare per costruire le condizioni sociali e politiche affinché, nei mesi che ci separano da Copenaghen, la posizione sul clima del governo Berlusconi venga sconfitta nel paese.

Si potrebbe cominciare dalla presentazione di una contromanovra contro la disoccupazione e la crisi, basata su una svolta nelle politiche energetiche ed edilizie che la direttiva clima richiede e anche sulla realizzazione della più grande opera pubblica di cui il paese ha bisogno e cioè la messa in sicurezza del territorio la cui estrema vulnerabilità è evidenziata da qualsiasi pioggia. Diamoci dunque da fare perché a Copenaghen manca solo un anno.

Rendiamoci conto cioè che per ora non dipende da noi e dalle nostre lotte l'esito del summit che si terrà nella capitale danese e neppure se questo paese avrà un ruolo da protagonista nella lotta ai cambiamenti climatici o ne sarà solo una palla al piede.

fonte:da greenport.it

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