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L'Europa ed Obama di Zaki Laidi.
24.01.2009

L'EUROPA E OBAMA di Zaki Laidi. Una Commissione europea che sembra ormai l'ombra di se stessa. E un informale direttorio di alcuni Stati membri, Francia in testa, che si notare per il suo attivismo. E' una strategia che ha innegabili vantaggi in un contesto in cui gli europei sono incapaci di definire posizioni comuni. Ma ha un grave inconveniente: ritarda ulteriormente la realizzazione di una vera politica comune. Per questo gli europei sembrano interessarsi di più a ciò che Obama farà per loro piuttosto che a ciò che essi vogliono fare insieme a Obama.

Cosa ha diritto di aspettarsi l’Europa dall’amministrazione Obama? La risposta alla domanda ha un senso solo se, prima, gli europei chiariscono a se stessi cosa vorrebbero dagli Stati Uniti. E non è affatto scontato che gli europei abbiano le idee chiare in proposito, dopo un anno ricco di avvenimenti e di insegnamenti contraddittori.

CHI VINCE E CHI PERDE

Ricco di avvenimenti il 2008 lo è certo stato: crisi finanziaria, crisi georgiana, stallo dell’economia, rapporti politico-economici nuovamente tesi con la Russia a causa del gas. Come sempre, le crisi rimescolano le carte del gioco europeo, creando vincitori e perdenti.

Chi vince è la Bce, che pure era stata oggetto di innumerevoli critiche da parte di molti governi, tra cui quello francese, e da parte di molti esperti. La accusavano di dogmatismo ideologico, di cecità di fronte alla crisi economica o, più generalmente, di totale mancanza di elasticità politica. Non vogliamo infierire su coloro che invocavano a modello la Fed, reputando la Bce troppo rigida. Non vogliamo farlo perché oramai è ben noto che è stato proprio il lassismo della Fed a causare, in gran parte, il crollo del sistema finanziario americano e che, per contro, è anche grazie al rigore della Bce che l’Europa non è stata colpita da una crisi finanziaria così grave.

Chi perde è indiscutibilmente la Commissione, ormai divenuta l’ombra di se stessa, con la benedizione urbi et orbi del suo presidente. La collegialità dell'istituzione è oramai puramente formale. Unica preoccupazione dei commissari è quella di proteggere il loro portafoglio, stabilendo tra loro patti di non-aggressione.

Il presidente della Commissione, dal canto suo stabilito, ha stretto un altro patto con alcuni Stati membri, guarda caso i più potenti. Spera, in cambio della sua manifesta docilità politica, di ottenere un secondo mandato, sempre che nelle elezioni del giugno 2009 venga riconfermata una maggioranza di destra.

Come contropartita, ha permesso che si stabilisse un vero e proprio direttorio degli Stati più importanti, magnificamente rappresentato dal presidente della Repubblica francese, in occasione della crisi georgiana e, più tardi, quando è esplosa la crisi finanziaria.

Durante la crisi georgiana, il direttorio ha dato prova di innegabile attivismo, anche se nei fatti, attivo è stato soprattutto il primo console francese. Il quale ha letteralmente ignorato l’opposizione degli americani, che evidentemente avrebbero desiderato un’Europa pronta a confrontarsi con la Russia, senza neanche fornire loro elementi concreti atti a supportare la scelta europea. Merito di Nicolas Sarkozy è stato senza dubbio quello di optare per una linea relativamente moderata nei confronti della Russia, ignorando però l’opinione dei paesi dell’Europa centrale e orientale, i quali, per atavico riflesso, vorrebbero sempre opporre a Mosca un atteggiamento duro.

LA POLITICA DEL DIRETTORIO

Anche se l’attivismo del direttorio ha considerevolmente migliorato l’immagine dell’Europa, dimostratasi capace di agire di fronte a una crisi internazionale senza attendere obbligatoriamente l’autorizzazione degli Stati Uniti, i risultati della sua azione restano ambigui, per non dire limitati. Mosca ha conseguito tutti i suoi obiettivi politici e le prospettive di un ritorno nel grembo georgiano per l'Arkazia e l’Ossezia del Sud sembrano ormai fuori portata. I negoziati di Ginevra sulla questione sono totalmente bloccati, nell’indifferenza quasi generale. Ecco emergere i limiti non solo dell’attivismo europeo, ma anche quelli del sarkozismo diplomatico. Tutto si svolge sempre come se il presidente francese volesse ottenere rapidamente alcuni primi risultati, salvo distogliere la sua attenzione dal problema, quando non è più mediaticamente vendibile. Lo si è già notato quando si trattava della Colombia, lo si è notato quando si è trattato della Georgia, lo si nota ora che si tratta di Gaza. Il presidente francese ha effettuato una missione in Medio Oriente all’inizio dell’attacco israeliano. Da allora, si è imposto il silenzio, anche se potrà sempre dire che in virtù dell’iniziativa franco-israeliana si è arrivati al cessate il fuoco. Decretato unilateralmente da Israele dopo aver raggiunto tutti i suoi obiettivi.

La dinamica del direttorio corrisponde, in fondo, alla visione francese dell’Europa. Ma c’è dell’altro. Ciò che avviene attualmente in Ucraina a proposito del gas russo rivela bene le nuove dinamiche. Dopo molte settimane in cui l’Unione Europea e la Commissione sono state totalmente incapaci di avere una qualche influenza su Russia e Ucraina, che si rinfacciavano le responsabilità della crisi, si assiste questa volta a un abbozzo di possibile soluzione, sotto forma di un direttorio energetico, diretto non dagli Stati, ma dalle rispettive – e più potenti – società energetiche.

È a questo punto evidente che la Russia tenta in tutti i modi di impedire la formazione di un’espressione politica comune degli europei, favorendo invece il dialogo diretto con i vari Stati membri. Il che permette a Mosca di dividere meglio gli Stati europei, ma soprattutto di marginalizzare quei paesi dell’Europa centrale e orientale, che considera i suoi veri nemici in seno all’Europa stessa. La Russia ama trattare con gli Stati. E sa che è molto più facile, per lei, trattare con i grandi stati membri che non con l’Unione Europea, specie se questi grandi stati hanno enormi interessi sul gas russo.

Il punto di vista russo è comprensibilissimo. Non sappiamo se però coincide con gli interessi di un’Europa che esalta solo a parole, ma non nei fatti, la solidarietà energetica. Soprattutto perché i membri del direttorio energetico appartengono tutti ai grandi stati membri, ferocemente ostili a qualsiasi comunitarizzazione o liberalizzazione della politica energetica. Ed è evidente come vi sia un nesso tra la liberalizzazione dell’energia a livello comunitario e la solidarietà energetica, anche se i grandi operatori europei lo negano ferocemente.

La strategia del direttorio presenta innegabili vantaggi in un contesto in cui gli europei sono incapaci di definire posizioni comuni. Ma presenta anche un grave inconveniente: ritarda ulteriormente la realizzazione di una vera politica comune europea. Ciò risulta particolarmente evidente allorché si discute di immigrazione, a proposito della quale non si potrà certo ricorrere all’intergovernalismo. …

Fatte tutte queste considerazioni, risulta chiaro perché gli europei si interessino maggiormente a ciò che Obama farà per loro piuttosto che a ciò che essi hanno voglia di fare con Obama.

(traduzione di Daniela Crocco)

Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000887.html  

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