15.04.2003
Oltre mezzo milione di persone ricevono un assegno mensile più basso di prima: alcuni recupereranno con la tredicesima, altri se faranno la dichiarazione dei redditi l’anno prossimo. Motivo: norme varate fuori tempo massimo, l’Inps costretta a fare calcoli provvisori, circolari emanate troppo tardi. In altre parole: incapacità e incompetenza del governo.
Si erano avute varie segnalazioni, si erano fatti conti che suscitavano perplessità : adesso la lettera con allegati di un pensionato dà le cifre reali di un’esperienza personale vissuta sulla pelle. Ai magri vantaggi riservati ad una platea di contribuenti ai quali è stata aumentata la pensione di qualche decina di euro, si contrappone un’altra platea – più limitata della prima ma pur sempre significativa: si tratta di un po’ più di mezzo milione di persone – che nel combinato disposto dell’aumento della pensione minima e della riforma fiscale ha subito – salvo recupero futuro - una riduzione secca dell’assegno vitalizio.
Scrive il pensionato:
"Come si evince dagli allegati, rispetto al 2002, contro un aumento mensile lordo di Euro 13,30, riscuoto al netto Euro 11,68 IN MENO:
Quale commento?
In attesa di cortese riscontro".
Segue la firma. La lettera è indirizzata a Berlusconi e a Tremonti, oltre ad alcuni parlamentari, ed è accompagnata dalle tabelle Inps - che qui di seguito riproduciamo -
nelle quali, voce per voce, si dà conto del taglio: pensione + 13,30 €, trattenuta Irpef + 24,65 €, un’altra manciata di centesimi in più per altre trattenute, risultato: l’assegno si riduce di 11,68 euro che, in un anno, fanno un po’ più di 140 euro (quasi 270.000 vecchie lire), press’a poco il 2 % delle sue spettanze.
Da una verifica Inps risulta, infatti, che la riforma fiscale ha provocato sulle pensioni un pasticcio di notevoli proporzioni.
L’Istituto di Previdenza, per fornire a banche e poste i termini di pagamento in tempo utile alla puntuale erogazione degli assegni, ha dovuto procedere ai suoi calcoli nel mese di novembre. Lo ha fatto, quindi, prima dell’approvazione definitiva della riforma e in assenza di direttive specifiche da parte dell’Amministrazione. Le direttive sono arrivate in tempi successivi, e precisamente il 12 dicembre, il 15 gennaio e il 21 gennaio, e hanno dettato regole e procedure diverse da quelle applicate dall’Inps. Il risultato si può riassumere nei seguenti termini:
1. Oltre 500mila pensionati sono chiamati a pagare un’imposta più alta di prima, con un incremento medio di carico fiscale calcolato dalla stessa Inps in 209,31 euro (il pensionato che ha scritto la lettera, quindi, è meno sfortunato della media). Questi contribuenti, naturalmente, potranno rivalersi della decurtazione perché la riforma consente di utilizzare, se più vantaggiosa, la tassazione pre-riforma: ma potranno farlo quest’altr’anno, in sede di dichiarazione dei redditi. Per l’anno in corso dovranno contentarsi di un reddito decurtato. E l’anno prossimo dovranno fare una dichiarazione dei redditi della quale avrebbero potuto fare a meno, provocando, fra l’altro, un notevole aggravio di lavoro per gli uffici.
2. Anche "un certo numero di pensionati" (l’Inps non ne fa un conto preciso) che non subiscono tagli dell’ammontare annuo della pensione, riceveranno, di fatto, una pensione mensile più bassa perché la ripartizione del prelievo fiscale sulle diverse mensilità è cambiata, ma l’Inps ne è stata informata troppo tardi: quel "certo numero di pensionati", quindi, dovrà pagare più tasse nell’arco dell’anno, ma sarà compensato da una minore tassazione della tredicesima.
3. Infine l’Inps rileva come, anche per coloro che dalla riforma hanno ottenuto un alleggerimento fiscale, il vantaggio risulti in parte "compensato" dalle addizionali Irpef regionale e comunale, incrementate o adottate per la prima volta da moltissime amministrazioni.
Come corollario, l’Inps segnala che i pensionati esenti da ogni tassa, rientranti nella cosiddetta "no tax area", sono 5.857.887. Ma di questi, 5.130.557 erano già esenti, cioè non avrebbero pagato tasse anche senza la riforma. Il beneficio, quindi, riguarda circa 727.000 pensionati che ottengono un risparmio medio annuo di 88,13 euro (un bel po’ meno di quanto è stato tagliato al contribuente che ha scritto la lettera).
L’unica conclusione che si può trarre da questo ulteriore episodio di cattiva gestione della cosa pubblica è che ancora una volta l’obiettivo prioritario perseguito dal governo è stato quello di annunciare il taglio delle tasse, trascurando le esigenze di una sana e ordinata amministrazione e suscitando così, ancora una volta, la delusione e il malcontento per le conseguenze di un comportamento privo di serietà e di competenza.
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