Il G8 e i paradossi degli aiuti. Da anni i Paesi ricchi promettono mari e monti per aiutare le aree depresse del pianeta, ma finora è mancata la volontà politica di passare ai fatti. L'analisi di padre Giulio Albanese.
Anzitutto una considerazione. I Paesi del G8 da anni promettono mari e monti per aiutare le aree depresse del nostro pianeta, in particolare quelle del continente africano. Eppure ogni volta che queste promesse vengono fatte in modo altisonante a conclusione di ogni summit, restano poi in gran parte disattese. Se la fame si nutrisse di parole il nostro povero mondo sarebbe già sazio. La questione di fondo è che la soluzione a questi problemi è nel cassetto da anni, ma evidentemente è mancata la volontà politica per passare dalle buone intenzioni ai fatti. È una sfida politica che ha una forte valenza culturale. Basti dire che sono molti di più i soldi che i Paesi del sud del mondo danno al nord di quelli che quest’ultimo, ricco e opulento, elargisce ai cosiddetti Stati emergenti, in via di sviluppo. E questo è un grande paradosso, perché in effetti quello che deve essere cambiato è un sistema.
Il problema del debito
Il primo problema è legato alla questione del debito estero. Dal 2000 fino al 2007 sono stati fatti progressi nella cancellazione del debito con l’impegno in tal senso di molti governi dei Paesi industrializzati, tra cui quello italiano. Ma restava sempre il debito contratto dai Paesi africani con le istituzioni bancarie private e quel debito è rimasto una spada di Damocle sulle teste di quei governi. E oggi la crisi economico-finanziaria mondiale, la crisi dei mercati, ha costretto i governi africani a chiedere di nuovo soldi e quindi -soprattutto negli ultimi dieci mesi- a indebitarsi ulteriormente. Le ragioni sono molteplici: la dilazione degli investimenti, una forte svalutazione delle materie prime… resta il fatto che i Paesi africani non avendo più entrate hanno dovuto bussare alla porta dei Paesi ricchi, i cosiddetti "donatori". Sono decenni che l’Africa deve fare i conti con gli interessi sul debito, che crescono a dismisura e quei Paesi fanno una fatica enorme a rispettare la tabella di marcia e questo comporta un progressivo impoverimento delle loro economie. Se nel computo inserissimo anche il deprezzamento delle materie prime africane, per cui le ricchezze -soprattutto quelle minerarie- sono in molti casi svendute, ecco un ulteriore elemento di perdite.
Strangolati dagli interessi
Questo quadro emerge con nitidezza nei rapporti che ogni anno prepara l’Unctad (la Conferenza Onu sul Commercio e lo Sviluppo) : i Paesi africani sono strangolati dagli interessi imposti dall’alta finanza e per questo motivo la questione della remissione del debito è cruciale per il futuro dell’Africa. Come anche -e questo è il secondo punto- l’abolizione del protezionismo nei Paesi ricchi, per esempio nel settore agricolo. Le economie africane sono sempre in una situazione di grande svantaggio. Una ricetta era stata raccomandata con grande enfasi dalle organizzazioni non governative, dalla società civile, proprio per quanto riguarda la questione alimentare. In sintesi. Ogni anno l’Ocse destina 365 miliardi di euro in sovvenzioni all’agricoltura nel nord del mondo. Una cifra rilevantissima. Perché non devolvere parte di questa cifra in sovvenzioni ai contadini africani e aiutarli così a entrare in quella logica del commercio, della competizione? Diversamente, ogni qualvolta tenteranno di scendere nell’arena del mercato saranno travolti dallo strapotere dell’agricoltura del nord del mondo. Il colmo è vedere in molti Paesi africani i prodotti agricoli importati dall’Europa che costano paradossalmente meno di quelli prodotti localmente.
Continuo a ripetere che l’Africa non chiede beneficienza, ma giustizia. Se vogliamo allora invertire questo trend della dipendenza dei Paesi poveri dobbiamo affrontare la questione della cancellazione del debito; rivedere le regole del commercio, perché con gli accordi di Doha non è più possibile andare avanti; rilanciare gli aiuti allo sviluppo. I Paesi industrializzati si sono impegnati da tempo a devolvere lo 0,7 per cento del Pil. Ma un po’ per la congiuntura economica un po’ per la mancanza di volontà politica cui ho già accennato, soltanto i Paesi scandinavi hanno rispettato questo impegno, gli altri hanno dato al sud del mondo soltanto briciole. Nel 2007-2008 in Africa è stato registrato il record degli investimenti, soprattutto da alcuni attori internazionali quali la Cina che sta investendo quantità enormi di danaro. Ma il concetto di fondo è che gli investimenti in Africa sono diventati purtroppo sinonimo di svendita delle materie prime, perché quella che prevale è una logica coercitiva. Così oggi in Africa tutto viene privatizzato, tutto viene acquistato da queste grandi compagnie multinazionali, ma di fatto i proventi delle attività industriali, delle attività estrattive, non sono spalmati su tutta la popolazione: una percentuale nelle tasche della classe dirigente locale, il resto nelle casse delle grandi compagnie.
Il corrotto e il corruttore
Un’altra questione molto importante che ha a che fare con gli aiuti: la corruzione nei Paesi in via di Sviluppo e soprattutto in Africa. In genere quando si parla dei problemi del sud del mondo la si enfatizza quasi fosse una giustificazione per lavarsi la coscienza. Ritengo che quando si parla di corruzione si debba essere estremamente prudenti. In effetti è un fenomeno che investe le classi dirigenti, ma è anche vero che la corruzione implica almeno due soggetti: il corrotto e il corruttore. Se nel computo delle ruberie in Africa includessimo non soltanto la domanda (il corrotto) ma anche l’offerta (il corruttore), la classifica vedrebbe in testa non i Paesi africani, ma nazioni con elevatissimi standard di democrazia, come Svizzera, Gran Bretagna o Stati Uniti. "Corruptio optimi pessima", diceva Papa Gregorio Magno.
Vi sono Paesi -e mi viene in mente l’Etiopia perché forse il più emblematico- in cui non si riesce a fare il salto dall’emergenza allo sviluppo. A dire il vero questa è una costante di tutta l’Africa, di tutto il sud del mondo, perché vi è una precisa volontà politica di non rompere questo rapporto di sudditanza. Se la ricchezza dell’Africa viene svenduta per pagare gli interessi sul debito è chiaro che quel continente sarà sempre in ginocchio. L’emergenza alimentare, per esempio, non dipende solamente dalla carestia, perché anche in annate in cui i raccolti sono buoni, abbondanti, si ripropone puntualmente. Che cosa succede? Per pagare il debito, gran parte del raccolto viene svenduto a compagnie di ‘agrobusiness’, si crea inevitabilmente una situazione di carestia, i governi chiedono aiuto e le agenzie internazionali sono costrette a comprare lo stesso grano a prezzi esorbitanti. "La corruzione dei migliori è la peggiore": uno straordinario frammento di saggezza, che conserva immutata nel tempo la sua carica profetica.
padre Giulio Albanese
fonte: http://www.agimondo.it/repository/i-paradossi-degli-aiuti-ai-paesi-poveri