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Pd e Cgil, ieri oggi e domani.Incontro con Pier Luigi Bersani
19.07.2009

Politica e sindacato.Pd e Cgil, ieri oggi e domani. Incontro con Pier Luigi Bersani. Cgil incontri. Dopo la sintesi del "faccia a faccia" tra Epifani e Franceschini pubblichiamo il resoconto della conversazione sul palco tra il segretario confederale della Cgil, Agostino Megale, e il candidato alla segreteria del Pd Pierluigi Bersani. di (a cura) Carlo Gnetti e Pierluigi Pinna

Abbiamo pubblicato un estratto della conversazione, avvenuta nell’ambito della manifestazione Cgil incontri di Serravalle Pistoiese, tra Guglielmo Epifani e il candidato alla segreteria del Pd Dario Franceschini. In quella stessa occasione il secondo candidato alla segreteria del Pd, Pierluigi Bersani, ha incontrato il segretario confederale Agostino Megale. L’incontro, di cui riportiamo una sintesi, è stato moderato dal giornalista Roberto Mania, il quale ha insistito soprattutto su quella che ha definito un’anomalia, cioè lo spostamento del voto dalla sinistra alla destra nelle zone di antica tradizione operaia che ha coinvolto anche iscritti alla Cgil. "È successa una cosa strana – ha aggiunto Mania –. Mentre la crisi divampa, le risposte dei governi di centrodestra attingono soluzioni nella cultura socialdemocratica. E purtuttavia, in questa grande crisi in cui si mescolano liberismo e socialità, liberismo e ricetta socialdemocratica, a restare fuori è la cultura socialdemocratica".

Bersani Prevale una perdita di orizzonti delle politiche europee, in una direzione che né la sinistra né la destra sono in grado di interpretare. In questi 15 anni la destra ha fatto tutte le parti in commedia. Quella che prendeva il beneficio di un liberismo che muoveva libertà, iniziative, e anche quella che interpretava le paure per ciò che avveniva. Ma la barra del futuro non ce l’ha neppure la destra. Ricavo da qui l’idea che non dobbiamo star fermi a quella che è stata la vicenda socialdemocratica. Non penso che sia la fine, ma certo c’è un’esigenza di rielaborazione, di rimettersi in cammino, di ripartire da qualche concetto nuovo. Si riaffaccia anche l’idea che alla fine né un cittadino, né un ceto sociale, né un paese può star bene sul serio se anche gli altri non stanno bene. Così un criterio realistico, riformistico, di miglior distribuzione, diciamo pure di uguaglianza torna ad avere una certa razionalità economica. È questo il punto da cui dobbiamo riprendere la nostra iniziativa.

Megale Mi preme ricordare che al Nord le forze di sinistra, e il Partito comunista in particolare, hanno raggiunto un apice di consensi attorno al 30 per cento solo nel 1975-76 a Milano. Ma in tutto l’hinterland, che oggi è terra di conquista e di consolidamento di Lega e del Pdl, la sinistra italiana non ha mai sfondato. Perché? Perché l’incrocio tra il cattolicesimo dei primi del 900 e l’anticomunismo che si è sviluppato in seguito ha prodotto quel dato. Le forze di riferimento, Pci, Psi e Dc, si ispiravano a valori popolari e a valori costituzionali. Elementi di xenofobia, di razzismo, di discriminazione razziale erano lontani dalle loro tradizioni. Oggi questi elementi producono una contraddizione nella collocazione tra scelta sindacale e scelta politica, soprattutto quando il voto va a forze come la Lega che, a livello nazionale, si presentano come forze ispirate alla xenofobia e al razzismo e a livello locale evidenziano un dato di forte identità, di capacità amministrativa, di buon intervento. Il sindacalismo industrialista e confederale italiano, anche in una dimensione di crisi globale, non è in sé depositario dell’autosufficienza. Noi dobbiamo fare in autonomia il nostro mestiere, stando vicini alle condizioni delle persone. Ma per ottenere risultati l’azione sindacale ha bisogno anche di forze politiche democratiche, progressiste, radicate nel lavoro, capaci, pur nella dialettica tra sindacato e politica, di essere ispirate ai grandi valori democratici e di parlare agli operai di Bergamo, di Brescia che magari votano la Lega o la destra perché la paura dell’immigrato li porta a un atteggiamento che rasenta la mancanza di solidarietà. Quando non c’è questa prospettiva le persone, pur riconoscendo in noi una forza importante, si rivolgono ad altri. Anche con difficoltà, con tensione, dobbiamo spiegare loro che la difesa dell’immigrato non ha nulla a che vedere con i valori della legalità e con la sicurezza. Così come dobbiamo essere fermi nel rivendicare diritti universali per tutti gli immigrati dobbiamo dire che la sicurezza e la legalità sono valori assoluti che vanno difesi per tutti.

Bersani Alcuni degli elementi più decisivi a proposito dell’orientamento derivano proprio dalla percezione del territorio su temi come l’immigrazione e la sicurezza. Io sono per ribadire i concetti di base di solidarietà e di umanità che contraddistinguono la nostra posizione. Non dimentichiamo però che siamo di fronte a un’ondata, e che questo elemento di disordine si scarica su una parte della popolazione. A ragione o a torto, perché a volte sono solo impressioni, sensazioni, una persona che vive in un certo quartiere percepisce un elemento di disordine. Questo elemento va tenuto presente perché quella persona può anche pensare che noi vogliamo fare la società perfetta a spese sue.Ad esempio, dal punto di vista della pressione sui servizi, scuola, sanità, pronto soccorso, casa, abbiamo distribuito bene il carico o vi è un elemento di squilibrio nei diritti? Da 15 anni abbiamo un fenomeno, presente anche altrove ma da noi molto più accentuato, di divaricazione fra i redditi, di impoverimento relativo dei ceti bassi ma anche medio bassi su cui si scaricano tutti i fenomeni nuovi. Abbiamo detto dell’immigrazione, ma potremmo parlare anche dei costi della non autosufficienza, che sono in grado di ribaltare l’economia di una famiglia di reddito medio, della precarietà e del fatto che la quota di redditi da lavoro sul Pil è sempre calante, e quindi che la produttività e i guadagni non sono ben distribuiti. Questo impoverimento relativo come si scarica? Io penso che perfino queste fiammate ultrafederaliste nel Nord rispondano all’esigenza di vedere rivalutato in qualche modo il reddito attraverso le tasse locali. La traccia di lavoro per un partito come il nostro sta nel sapersi ridefinire come un grande partito popolare che si rivolge sì a ceti ampi, ma alla fine non può distaccare le sue radici dalle condizioni materiali di vita dei grandi ceti popolari e in particolare dei ceti produttivi, l’impresa, la piccola impresa e il lavoro. Io sono per una società che punti alla riduzione del divario, che punti all’uguaglianza, che davanti al bisogno non distingua tra povero e ricco e che, davanti a un tumore, non distingua fra toscano, lombardo o marocchino. Non facciamo un buon lavoro se rinunciamo alla battaglia ideale e culturale per seguire solo le cose concrete. Io voglio essere l’esponente di un partito popolare, di una sinistra democratica e liberale. Per me la società viaggia così: su una gamba c’è il mercato regolato, dove il consumatore deve essere trattato bene, dove non ci sono posizioni dominati, dove un giovane ha possibilità di fare il mestiere che ha scelto; sull’altra ci sono dei beni che non affido al mercato: sanità, istruzione, sicurezza, perché se li lascio distribuire al mercato, alla fine le risposte fondamentali le ha solo chi ha i soldi e gli altri no. Forse la mia idea di sinistra è un po’ diversa da quella di cui abbiamo sempre ragionato. Però se non ci fosse un’idea di uguale dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo di che politica parliamo?

Megale Guardando la curva della ricchezza negli ultimi 15 anni vediamo che la parte già ricca è diventata ancora più ricca mentre si è allargata la forbice con quella più debole e meno ricca. Negli Stati Uniti il 37 per cento della ricchezza è detenuto dal 5 per cento delle famiglie, in Italia il 10 per cento delle famiglie detiene il 46 per cento della ricchezza. Come Cgil, anche attraverso il nostro istituto di ricerca, dal 2000 denunciamo la situazione italiana in cui i salari dei lavoratori dipendenti e le pensioni si trovano sempre più in difficoltà. Oggi le retribuzioni italiane hanno lo stesso valore reale del 1993. I lavoratori italiani hanno lasciato 6.500 euro in più al fisco e la produttività italiana – bassa nel suo complesso – è andata ancora di più verso i profitti. I redditi in Germania, Gran Bretagna e Francia sono cresciuti più che da noi, eppure il sindacato francese è più debole di quello italiano, mentre il sindacato tedesco e quello inglese sono forze rilevanti come la nostra. Questi dati non dicono però che le retribuzioni contrattuali, quelle trattate dai sindacati, sono cadute ovunque. In Gran Bretagna sono cresciute perché Tony Blair nei suoi tre mandati ha rivalutato dal 6 al 24 per cento il salario minimo per legge. In Germania i salari contrattuali sono caduti. Negli Stati Uniti le retribuzioni reali del 2008 equivalgono a quelle del 1987. Non è una consolazione. Semplicemente il problema è generale in tutti i paesi sviluppati. In Italia, grazie all’azione del sindacato confederale, siamo riusciti a tenere il rapporto con l’inflazione, ma non siamo riusciti a redistribuire la produttività, né a ridurre le tasse sul lavoro. Non perché non ci abbiamo provato, ma perché questo governo, da quando è insediato, ha dato sostegno solo al suo ceto sociale, al suo gruppo di riferimento. Nel 2008, dopo l’insediamento del governo, abbiamo da 3 a 5 miliardi di evasione in più sull’Iva. Se si guardano i dati delle entrate, i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno pagato 8 miliardi in più. Eppure il governo ha deciso di restituire 2 miliardi e mezzo di detassazione alle imprese, mentre ai lavoratori e ai dice:"dovete continuare a consumare". C’è il problema di mettere al centro i redditi, partendo anzitutto da un’azione sul fisco, riducendo le tasse sui lavoratori dipendenti e sulle pensioni. Ciò detto sono pronto a fare una prima autocritica. Probabilmente, una volta entrati in Europa nel 1998-1999, avremmo dovuto avere il coraggio e la forza di affrontare la riforma dei contratti col governo D’Alema. Forse in passato c’è stato un eccesso, quasi una congestione di concertazione per il protocollo sul Welfare. Otto mesi, lunghi, faticosi, pazienti, di sicuro sono meglio dell’assenza di qualsiasi concertazione. Forse bisogna trovare una via di mezzo. Penso anche che un sindacato più partecipativo oggi significa un sindacato che sappia riconoscere i problemi di lavoratori, giovani, anziani, donne, immigrati e, rispetto a questo, sia capace di allargare la contrattazione. Il nostro primo compito dovrebbe essere quello di proporre l’iniziativa sindacale ai giovani lavoratori che non hanno contratti a tempo indeterminato o stabili, chiedendo nei contratti nazionali alcuni primi diritti minimi: un salario minimo contrattuale, assistenza e pensione integrativa e diritti minimi. Confederalità oggi è capacità di mettere l’insieme del lavoro in questa azione politica, sapendo che i giovani lavoratori che si allontanano anche dal voto al centrosinistra chiedono più attenzione al merito e alla professione, più sicurezza per il futuro. E noi dobbiamo essere capaci di dare risposte.

Bersani Io sono per la via contrattuale, ma un intervento che garantisca una base salariale rivalutabile è un tema che interessa la politica economica e sociale. I nuovi temi universalistici riguardano il salario minimo, le soglie di povertà e l’evoluzione del sistema pensionistico.Va promosso l’innalzamento dell’età pensionabile secondo meccanismi flessibili e volontari, non per fare cassa ma in una prospettiva universalistica. Da qui a 10 anni i due pilastri che reggono il sistema, quello contributivo e quello volontario, dovranno essere affiancati da un terzo pilastro di natura fiscale, e questo consentirà un abbassamento dei contributi. Si tratta di immaginare l’evoluzione del sistema su base redistributiva in ragione delle nuove generazioni, così come dobbiamo fare per il mercato del lavoro, per gli ammortizzatori, e così via, evitando di portare le persone sotto la soglia di povertà e incoraggiando meccanismi di fedeltà fiscale che facciano emergere le basi imponibili e consentano via via l’abbassamento dell’aliquota.

Megale Criterio flessibile, volontarietà e azione capace di guardare alla dinamica dei redditi anche attraverso un intervento incrociato tra parziale riduzione della pressione contributiva e fiscalizzazione di una parte degli interventi: l’opzione proposta da Bersani è interessante e su di essa si possono operare avanzamenti in direzione di una stabilizzazione del sistema pensionistico. Non è una finzione propagandistica dire che la riforma Dini realizzata nel 1995 stabilizza il sistema fino al 2040-2050 e che ha realizzato i risparmi maggiori in Europa. Il sistema contributivo, quando andrà a pieno regime, rapporterà l’onere della pensione ai contributi effettivamente versati. Per quanto riguarda l’età, nel 2004 il ministro Maroni ha eliminato il criterio di flessibilità che avevamo introdotto nel 1995 e che purtroppo non siamo riusciti a reintrodurre nel protocollo sul Welfare del 2007. I giovani che entrano oggi nel mercato del lavoro hanno contributi e stipendi più bassi della media, e ciò pone il problema di come evitare un futuro di pensionati poveri. Non che oggi i pensionati siano ricchi: 8 milioni vivono con meno di 800 euro al mese (la soglia di povertà è 860 euro). Se poi parliamo dell’equiparazione delle lavoratrici, va detto che molte di loro arrivano ai 60 anni senza i 40 anni di contributi, o perché non sono stati versati o per le condizioni irregolari di lavoro. Continuiamo ad avere qualcosa come 300 miliardi di base imponibile evasa, il 17 per cento del Pil, di cui una parte sta al lavoro sommerso e irregolare. Ci sono 3.500.000 persone a cui non vengono applicati i contratti né versati i contributi. Se non facciamo una lotta rigorosa contro chi evade le tasse e contro chi non rispetta la legalità molte di queste parole rischiano di restare sospese. Il governo fa tanti decreti: ne faccia uno per reintrodurre la norma sulla tracciabilità, facendo ripartire la lotta agli evasori.

Bersani L’unità del sindacato è sempre un bene, e in un momento come questo ha un valore immenso. La cosa che mi preoccupa di più è che, davanti a una crisi di questo genere, si trovi il modo per lasciare in sospensione ciò su cui bisogna chiarirsi, e cercare assieme di risolvere i problemi che stanno scoppiando nelle condizioni del lavoro. Le misure prese da Tremonti sono sempre irrilevanti e tardive. Mi aspetto che a un certo punto sia costretto a fare una manovra di emergenza, che sarà costituita da una raffica di condoni. Ora cominceremo con il rientro dei capitali e poi a seguire. I condoni promettono sempre un aumento della pressione fiscale e una botta al bilancio pubblico sugli investimenti. I documenti del tesoro ci annunciano che nel 2010 ridurremo di 5 o 6 miliardi gli investimenti. Io dico che li ridurremo ancora di più perché dobbiamo coprire i buchi di spesa corrente. Il risultato è che siamo l’unico paese che, nella più grave recessione del dopoguerra, diminuisce gli investimenti, pubblici e anche privati.

Megale I nostri dati, che sono simili a quelli dell’Ocse, parlano del rischio per 1.100.000 persone di perdere il lavoro entro metà dell’anno prossimo, e per 625.000 giovani sotto i 35 anni di non trovare lavoro.Tra qualche mese verranno a scadere cassa integrazione e indennità di disoccupazione. Il governatore della Banca d’Italia ha ricordato i 2.000.000 di contratti a termine e le difficoltà nelle piccolissime imprese. Come si fa a non capire che in questa situazione l’unità del sindacato viene prima degli interessi di parte? Come si fa a non capire che un sindacato diviso fa solo il gioco di chi, spesso facendo propaganda, non affronta i problemi reali? Si può ricostruire questa unità? Per prima cosa non è pensabile che, come nel gioco delle tre carte, qualcuno pensi di togliere la Cgil, mettere l’Ugl e la situazione non cambia. In una democrazia normale la Cgil, che ha 5.600.000 iscritti, pesa molto più di quanto si può immaginare con la semplice sostituzione di sigla. La rappresentanza e la rappresentatività del sindacato vanno certificate. Per questa via si può contribuire a ricostruire un’unità con Cisl e Uil mediando sui contenuti, ma anche mettendo in evidenza che la democrazia sindacale è un tema non più rinviabile. Non possono decidere le sigle sindacali. Devono poter decidere e contare i lavoratori interessati. In questa situazione dobbiamo essere in grado unitariamente o da soli di rendere evidente al paese e al governo che il problema dell’occupazione va affrontato mettendo in campo tutte le iniziative possibili. L’altra sera Epifani ha parlato di iniziative di presidio. Aggiungerei un’azione verso le fabbriche in crisi, con il raddoppio della cassa integrazione ordinaria per chi è a rischio di licenziamento. Infine occorre un impegno generale per mettere in campo tutti gli strumenti alternativi ai licenziamenti, aggiornando anche la piattaforma sul fisco per reperire le risorse necessarie.

Bersani Fra le novità cui accennavamo c’è il fatto che, soprattutto al Nord e nella piccola impresa, è scattato un diverso modo di rapportarsi fra lavoratore e imprenditore. C’è un elemento di forte di appartenenza del lavoratore al destino dell’impresa che spesso nella dialettica sindacale non viene registrato. Noi non possiamo affrontare il nuovo con gli attrezzi che abbiamo usato fin qui. Anche i partiti devono essere nuovi, però devono essere partiti, capaci di ricostruire un minimo di memoria, nella consapevolezza di una grandissima storia di emancipazione, di lotta, di conquiste del mondo del lavoro, del mondo democratico, che non può essere dispersa. Io cercherò di ricostruire quel che siamo andando alle radici quando, fatta l’Unità d’Italia, si formò un movimento fatto di autoorganizzazione. Ci siete voi dentro questa storia, ci sono le cooperative e tutte le solidarietà che si raccolsero allora sul territorio, che poi via via diedero luogo alle grandi formazioni popolari. Quelle formazioni per prime intuirono che stando dal lato dei più deboli, dei subordinati, di chi sudava, potevi fare una società migliore per tutti. Ecco, io credo che questa resti la nostra identità anche nel secolo nuovo. E se riuscissimo a ricostruire anche un minimo di spinta ideale attorno alle cose che facciamo non guasterebbe. Perché è ancora questo il carburante della politica

fonte: http://www.rassegna.it:80/articoli/2009/07/17/50034/pd-e-cgil-ieri-oggi-e-domani
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