18.08.2009
Un'indagine Cooperazione all'italiana: più soldati meno soldi Intersos e altre Ong della rete Link 2007 rivelano che l'Italia taglia sempre più in aiuti e cooperazione allo sviluppo, mentre aumenta l'impegno nelle missioni militari
L’organizzazione umanitaria per l’emergenza Intersos e altre ong che fanno parte della rete Link 2007 hanno messo a punto una significativa indagine che mette a confronto i trend relativi ai finanziamenti delle missioni militari e degli aiuti allo sviluppo. Più volte le ong in questione, e in particolare Intersos, hanno denunciato il fatto che il nostro paese, a fronte di un impegno sostanzialmente stabile in materia di missioni militari, ha proceduto a pesanti tagli nei confronti degli aiuti e della cooperazione allo sviluppo, già molto al di sotto degli impegni contratti a livello europeo e internazionale.
Negli ultimi anni si ravvisa inoltre un consistente spazio dato alla ‘cooperazione’ gestita direttamente dai contingenti militari all’estero, che per sua natura – denuncia il documento di Link 2007, firmato dal segretario generale di Intersos, Nino Sergi – "ha un carattere primariamente strumentale e funzionale alla strategia militare piuttosto che umanitario o volto allo sviluppo locale". Nel 2009 si è verificato un drastico calo del finanziamento della cooperazione allo sviluppo (limitatamente ai finanziamenti disposti a norma della legge 49/87, cui sono aggiunti quelli normalmente previsti dall’articolo 1 dei decreti relativi alle missioni internazionali), a fronte di un sostanziale incremento dei fondi per l’invio dei militari nelle missioni internazionali. Solo con le leggi finanziarie degli esercizi 2007 e 2008 è stata favorita una temporanea riduzione del gap tra le due tipologie di finanziamento.
Questa netta preferenza per l’impegno militare rispetto alla cooperazione civile costituisce una novità per il nostro paese, se si considera il periodo che va dal dopoguerra all’inizio del nuovo secolo. Lo si può notare anche analizzando i dati italiani con quelli relativi ai principali paesi europei (Ue a 15). Le erogazioni per la cooperazione allo sviluppo nel 2007 e 2008, in percentuale rispetto al Pil, sono calcolate anche in relazione agli impegni internazionalmente assunti dall’Italia, pari allo 0,51 per cento entro il 2010 e allo 0,7 entro il 2015. L’Italia è al 15° posto e peggiorerà ulteriormente la sua posizione nel 2009, passando dallo 0,20 allo 0,10 per cento del Pil, e classificandosi così tra gli ultimi paesi dell’Ue. Per quanto riguarda il numero di militari impegnati nelle missioni all’estero nel 2009, invece, l’Italia è al terzo posto nell’Ue.
Il nostro paese gioca dunque un ruolo di primissimo piano relativamente alle truppe schierate nelle missioni all’estero, mentre nel settore della cooperazione e degli aiuti allo sviluppo risulta essere il fanalino di coda. Particolarmente significativo è il trend di finanziamento degli ultimi quattro anni in Afghanistan. Mentre la cooperazione allo sviluppo (dati del ministero degli Esteri) è passata dai 49,5 milioni di euro del 2006 ai 43,2 del 2007, per poi risalire a 90,2 milioni del 2008 e ridiscendere a 65,3 milioni del 2009 (in proiezione), la missione militare è passata dai 321 milioni del 2006 ai 310 del 2007, per poi salire ai 337 del 2008 e ai 455 (sempre in proiezione) del 2009. Risulta in questo caso evidente l’investimento italiano nel processo di stabilizzazione e ricostruzione del paese, basato sull’ampia presenza di personale militare.
Il maggiore investimento in cooperazione civile nel 2008 è giustificato dalla volontà di compensare parzialmente il gap esistente. "Resta da verificare – si legge nel documento – se una maggiore attenzione ai bisogni della popolazione e ai processi di ricostruzione civile avrebbe potuto portare a risultati più positivi, considerato il sostanziale fallimento della strategia fin qui adottata dalla comunità internazionale in Afghanistan". Il documento illustra in particolare l’esempio di Herat, per dimostrare come la confusione tra l’azione civile e quella militare sia giunta ormai a un livello intollerabile. I fondi per la cooperazione civile gestita dal ministero degli Esteri, quella cioè che istituzionalmente rappresenta il riferimento dell’azione di aiuto e di cooperazione dell’Italia, superano di poco, nel quadriennio, quelli gestiti dai militari per le attività di cooperazione civile-militare (Cimic) svolte nell’ambito del Prt, Provincial Reconstruction Team, la struttura militare della Nato a comando italiano. Per la cooperazione civile sono stati stanziati dal 2006 al 2009 42.783.000 di euro, con forti differenze di anno in anno; per la Cimic sono stati programmati e spesi annualmente in modo regolare 35 milioni di euro.
Anche in questo caso si registra un incremento della cooperazione civile nel 2008, tendenza che viene confermata nel 2009 nonostante la drastica riduzione dei fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo: segno di una rinnovata attenzione all’area, che dovrebbe rimanere tale anche nel prossimo futuro, con un rafforzamento delle attività di cooperazione civile. "Purtroppo – si legge nel documento – si tratta di una decisione tardiva, dato che tutte le istituzioni di Herat, da tempo, non fanno più alcuna distinzione tra cooperazione civile e Prt. Le istituzioni provinciali, anche le più informate, quando parlano della cooperazione italiana si riferiscono unicamente al Prt. E quando si cerca di precisare che si tratta di progetti della ‘Cooperazione italiana’ la risposta rimane sempre: ‘appunto, del Prt’". L’Italia continua cioè ad evidenziare solo il suo volto militare, anche dove potrebbe svolgere un ruolo significativo in stretta partnership con le realtà civili, sociali e economiche.
"Le organizzazioni umanitarie che operano in simili contesti – si legge nel documento –, in cui i ruoli sono stati volutamente confusi e la stessa popolazione non riesce più a distinguere chiaramente tra le azioni delle organizzazioni civili e quelle dei militari, tra le ong e il Prt, dovranno verificare che siano sempre garantite loro la piena indipendenza e autonomia nelle scelte, nelle decisioni e nell’azione, senza le quali difficilmente potranno continuare a svolgere le proprie attività ". Secondo il documento il processo di crescente militarizzazione della presenza e dell’azione del nostro paese all’estero a discapito della cooperazione civile contrasta con le valutazioni dei maggiori analisti internazionali che segnalano la necessità di un rapido riequilibrio degli interventi, fornendo innanzitutto le risposte ai bisogni della popolazione e il sostegno ai programmi di ricostruzione infrastrutturale e di sviluppo, senza i quali nessun intervento di stabilizzazione può avere successo.
La crescente e disorganica presenza militare anche in attività umanitarie e di cooperazione civile sta ‘inquinando’ lo spazio umanitario, quello da sempre basato sui principi di umanità , imparzialità , neutralità , indipendenza, non discriminazione che, per essere riconosciuto come tale dalla popolazione e quindi rispettato e tutelato, deve rimanere chiaramente riconoscibile, senza contaminazioni e strumentalizzazioni di alcun tipo. "Solo un maggiore e genuino impegno per gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo, al fine di provvedere ai bisogni primari della gente e alla ricostruzione del tessuto sociale e infrastrutturale – conclude il documento –, può dare un contributo efficace al superamento dei problemi, alla stabilizzazione e alla pace nelle operazioni di peace keeping inserite in contesti di diffusa povertà e di degrado sociale ed economico, anche a vantaggio del prestigio internazionale del nostro paese".
fonte: http://www.rassegna.it:80/articoli/2009/08/17/50846/cooperazione-allitaliana-piu-soldati-meno-soldi
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