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riforme ad alzo zero ? di Pierluigi Mantini
25.10.2009

RIFORME AD ALZO ZERO O RICERCA DI INTESE PARZIALI? L'inevitabile referendum sulla riforma della Carta sarebbe giocato sul Cav. di Pierluigi Mantini

Il dibattito sulle riforme istituzionali ha ripreso quota ma è assai improbabile che possano esserci passi concreti in avanti prima delle elezioni regionali e amministrative di primavera.

Si registrano intento due impostazioni nettamente distinte nel metodo che, in materia di modifica della Costituzione, è anche sostanza.

La prima è quella di Berlusconi che ha affermato di voler procedere facendo ricorso al popolo ossia mettendo in conto di non avere la maggioranza parlamentare dei due terzi, prescritta dall'art 138 della Costituzione, e dunque prevedendo il referendum popolare confermativo sulla riforma approvata a maggioranza semplice.

È già accaduto due volte nel recente passato. Nel 2001, quando fu confermata nel referendum popolare la riforma del titolo quinto approvata dal centrosinistra con una maggioranza di quattro voti; nel 2006 quando invece venne bocciata la "grande devolution" approvata dalla maggioranza Bossi-Berlusconi.

Il referendum su legge costituzionale, come noto, è senza quorum e dunque vince chi prende un voto in più.

Il popolo italiano ha dimostrato in queste occasioni un atteggiamento prudente, quasi conservatore, nei confronti dei rischi di probabile stravolgimento della Carta fondamentale e il referendum del 2001 passò anche per una sostanziale condivisione dei contenuti federalisti della riforma da parte del centrodestra che perse nonostante avesse da poco vinto largamente le elezioni politiche.

Ma la stessa cosa non si è ripetuta nel 2006 e il referendum fu vinto dal centrosinistra, nonostante l'attiva campagna svolta dal centrodestra a sostegno della "devolution" (con esclusione di alcuni esponenti UDC), per la scarsa propensione degli italiani verso riforme "globali" della Costituzione (venivano modificati ben 54 articoli!).

Chi vuol fare ricorso nuovamente al popolo per modificare la Costituzione dovrà tenere in seria considerazione questo punto.

La seconda posizione è quella del presidente della Camera Fini che ha già fatto notare che la via ordinaria per modificare la Costituzione è quella della ricerca del consenso ampio in parlamento perché "non bastano i voti della maggioranza di governo".

Entrambe le posizioni sono legittime ma certo sono anche politicamente  molto diverse.

Quella di Fini presuppone la ricerca dell'intesa con le opposizioni, un patto condiviso, e dunque anche contenuti più limitati e mirati; la posizione del premier, peraltro connotata dall'ossessione della revanche contro i giudici dopo la bocciatura del lodo Alfano, ne prescinde totalmente, punta dritta sul voto popolare mettendo nel conto l'impossibilità dell'intesa con le opposizioni e, libera da questa fatica, si prospetta più autoreferenziale e ampia nei contenuti.

La posizione di Fini, in sostanza, evoca la discesa di quello "spiritus creator", felicemente già invocato da Benedetto Croce sui lavori dell'Assemblea costituente, mentre quella di Berlusconi fa volare i falchi e prepara lo scontro, con il rischio di trasformare il referendum sulla riforma della Costituzione in un referendum finale sulla sua persona.

È scontato che l'opposizione parlamentare, con la sola eccezione forse di Italia dei Valori che considera ogni intesa un "inciucio" con il nemico, sia più vicina a Fini che non a Berlusconi.

Se si guarda meglio ai "materiali" delle riforme, disseminati in parlamento, potrebbe però emergere anche una terza via, quella delle intese parziali.

Se, come ricordava spesso un costituzionalista del calibro di Paolo Barile, si avesse riguardo al fatto che l'art. 138 prevede "progetti di legge ostituzionale" (al plurale, n.d.r) ben si potrebbero distinguere le diverse riforme tra loro.

Su alcune, ad esempio la modifica del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari, si potrebbe raggiungere l'intesa; su altre, ad esempio la reintroduzione dell'immunità parlamentare o la riforma della Corte Costituzionale o dei pubblici ministeri, si potrebbe far ricorso al referendum su quesiti più circoscritti e precisi.

Non è una via facile ma neppure impossibile.

Intanto è necessario ricercare le condizioni dello spirito costituente e non evocare una stagione di conflitti insopportabile per il Paese.

La scelta di iniziare a separare le riforme che riguardano la giustizia da quelle più propriamente istituzionali, sarebbe il primo passo utile.

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