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Fermiamo lo scempio dell'anfimafia
16.11.2009

Fermiamo lo scempio dell'anfimafia salviamo la legge sull'uso sociale dei beni confiscati.  La "vendita all'asta" dei beni confiscati alle mafie vanifica gli effetti concreti della Legge 109/96 e ne tradisce il valore culturale e sociale

chiediamo al Governo di ritirare questa modifica sbagliata e pericolosa!

L'emendamento alla Finanziaria approvato in Senato, con cui si consente la "vendita all'asta" dei beni immobili confiscati alle mafie, rappresenta un colpo durissimo inferto alle attività di opposizione sociale e culturale alla criminalità organizzata.

Si vuole calare il sipario su una stagione autenticamente rivoluzionaria della resistenza alle mafie nel nostro Paese: quella avviatasi nella prima metà degli anni novanta grazie alla partecipazione democratica, al risveglio delle coscienze, all'entusiasmo e alla passione civile di tanti cittadini e cittadine, soprattutto giovani. Una stagione che ha avuto un passaggio decisivo nella mobilitazione popolare che portò all'approvazione della legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle criminalità organizzate.

Se l'emendamento votato al Senato dovesse essere confermato nel testo definitivo della Finanziaria, non solo si rischierebbe di far tornare sottobanco nelle mani delle mafie quello che è stato loro confiscato, non solo si depotenzierebbe e si svuoterebbe di significato lo strumento della confisca - uno strumento che ha consentito di colpire le criminalità organizzate là dove sono più sensibili, vale a dire nei loro interessi economici - ma verrebbe tradito il valore simbolico e culturale della legge 109: l'idea per cui la collettività si riappropria del "maltolto".

Il riutilizzo sociale dei beni confiscati ha infatti finora consentito di costruire pratiche di protagonismo democratico nell'azione di contrasto alle mafie da parte del mondo dell'associazionismo e del volontariato, dei territori e delle comunità locali, della società civile. Quelle buone pratiche rappresentano gli anticorpi sociali all'infiltrazione e al radicamento dei poteri malavitosi nelle nostre comunità. Interrompere questo percorso significa indebolire la tela tessuta in tutti questi anni, che ha legato in una grande storia di resistenza civile cittadini, enti locali, associazioni, istituzioni.

Se l'intento è quello di recuperare risorse finanziarie da mettere a disposizione delle politiche per la sicurezza, si faccia ricorso allora ad altri strumenti, come il "Fondo Unico Giustizia", alimentato dalle liquidità confiscate alle attività criminali.

Chiediamo che nel passaggio alla Camera questo provvedimento pericoloso e devastante venga ritirato, poichè esso costituirebbe un vero e proprio tradimento nei confronti di quanti si sforzano coraggiosamente, nel quotidiano, di gettare semi di speranza, di giustizia e di legalità.

Paolo Beni, presidente nazionale Arci

Alessandro Cobianchi, responsabile Legalità e Democrazia

 

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