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Per ricordare Pietro Scoppola a due anni dalla morte
28.11.2009
Quando i cattolici non erano moderati (di Aldo Maria Valli)

Le risorse della carità vanno messe in moto “con prudenti imprudenze e con giudiziose spregiudicatezze”. L’espressione di padre Ernesto Balducci, riferita a Giovanni XXIII, mi è tornata alla mente leggendo Quando i cattolici non erano moderati (Figure e percorsi del cattolicesimo democratico in Italia), il libro, curato da Luciano Guerzoni, che raccoglie gli interventi svolti nel convegno promosso dalla Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali in occasione del primo anniversario della morte di Pietro Scoppola (Modena, 28 – 29 novembre 2008).

Il volume collettivo, edito da Il Mulino (294 pagine, 20 euro), spazia dai percorsi politici dei cattolici nell’Europa del Novecento (Guido Formigoni) alla figura di Dossetti come “produttore di cultura” (Alberto Melloni); dall’impegno civile di Pietro Scoppola (Giuseppe Tognon, Agostino Giovagnoli, Fulvio De Giorgi) al “nodo della laicità” nel rapporto tra Chiesa, cattolici e democrazia (Paola Gaiotti de Biase); dal progetto costituente dei cattolici democratici (Valerio Onida) al nesso tra riforma politica e riforma ecclesiale (Giuseppe Ruggieri). Concluso con un commento di David Sassoli, al quale si deve il provocatorio titolo generale, il libro è solo apparentemente una rievocazione. Dietro ogni nome e ogni circostanza del passato c’è uno stimolo e quasi un programma per l’oggi, specie in relazione al problema della presenza e del ruolo dei cattolici dentro gli attuali schieramenti politici.

Scrive lo storico Guido Formigoni a chiusura del suo saggio introduttivo: “Sul fronte politico, il problema appare come salvare le acquisizioni della laicità e della capacità di mediazione, assumendosi consapevolmente, come laici credenti, un ruolo di parte nella società e nella politica ed evitando di apparire al traino della gerarchia”. E’ un compito, annota subito il professore, “da far tremare le vene ai polsi”, ma a chi può toccare se non a coloro che, come scriveva Scoppola, “sono portatori di un modo di concepire la politica che esige confronto e dialogo” e hanno sempre valorizzato “l’esigenza della collaborazione e dell’incontro con altre culture e forze che hanno contribuito all’edificazione della democrazia”?

Il tema vero è quindi quello del futuro: quali mattoni per quale casa, come dice Sassoli. Ecco allora che Gorrieri e Scoppola, così come Alberigo, Ardigò, Elia, Giuntella (solo per nominare gli ultimi della catena) diventano non i numi tutelari da mitizzare ma i protagonisti di un’esperienza che continua a dare stimoli e a indicare obiettivi.

Che cosa facevano i cattolici quando non erano moderati? Non erano certamente degli eversori, o dei bastian contrari mai contenti. Prima di tutto leggevano i “segni dei tempi”, avevano questa attenzione per i cambiamenti, e lo facevano con fiducia, senza paure che spingono a rifugiarsi nelle sicurezze passate e ad alzare steccati verso idee e persone. Erano esploratori della realtà, illuminati da una fede robusta che non diventava mai arma contundente con la quale colpire l’avversario di turno ma proposta al servizio di un cammino comune, per il bene di tutti. Di qui la passione per la laicità come contenuto e la mediazione come metodo. Di qui la ricerca del consenso non come conquista e strumentalizzazione, ma come dialogo fra identità riconosciute e stimate.

Essere moderati è forse un male? No, se per moderatezza si intende il rifiuto dell’estremismo aggressivo. Ma il giudizio cambia se si cade nel moderatismo tipico del centrismo opportunista, del cerchiobottismo cronico, del clericalismo. Siate “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” dice Gesù ai suoi. La prudenza come consapevolezza non è astuzia, non è furbizia, non è raggiro. E la semplicità non è buonismo, ma bontà, amore per la vita di tutti.

Per il cristiano il campo da arare è sempre grande, ma la visione provvidenziale della storia gli permette di mettersi all’opera sapendo che i tempi di crisi non sono tempi di disperazione bensì di rinnovamento e conversione. Gli stimoli forniti dal libro sono infiniti. Di certo il tema della laicità fa da filo conduttore e rende la riflessione quanto mai pertinente rispetto alla stagione che stiamo vivendo, come sottolinea il professor Paolo Prodi quando parla delle invasioni di campo della Chiesa nella politica e della politica negli affari ecclesiastici, con la politica in difficoltà che si aggrappa alla religione civica per rafforzare identità perdute e la Chiesa che si aggrappa alla politica per debolezza interiore.

Di fronte alla sfide nuove, il cattolico democratico non si spoglia della propria identità, ma sa che più è cristiano e più è laico. Perché tiene sempre in azione lo spirito critico, non si lascia ingannare dalla propaganda, identifica le minacce alla libertà e vede chi sono i nuovi avversari. Soprattutto, non ha idoli. Per questo è in grado di smascherare colui che sbandiera democrazia e libertà, ma usa sia l’una che l’altra per il proprio interesse. Quando i cattolici non erano moderati avevano molto da fare, ma anche oggi non si scherza.

Aldo Maria Valli

***

2 – Pietro Scoppola

COME RIEMPIRE IL DEFICIT ETICO DELLE DEMOCRAZIE

La religione è tornata alla grande sulla scena pubblica. Solo pochi decenni fa il fattore religioso sembrava destinato a scomparire sotto gli effetti della secolarizzazione: perfino scrittori cattolici si chiedevano se il cristianesimo non fosse ormai in agonia. Invece le ideologie sono morte e le religioni rinascono. E non solo le ideologie sono morte ma la democrazia è in crisi e fra i tanti motivi della sua crisi vi è quello di un deficit di ispirazione etica. Un grande laico come Norberto Bobbio, nel suo libro del 1984 Il futuro della democrazia, osservava come una delle promesse della democrazia fosse quella di alimentare autonomamente e spontaneamente lo spirito democratico, ma osservava anche che questa promessa non era stata mantenuta: insomma la democrazia aveva dimostrato di non sapersi alimentare spontaneamente, di non essere autosufficiente.

Le religioni che ritornano saranno in grado di alimentare la democrazia o sono destinate ad approfondirne la crisi? Habermas ha affermato che solo la religione può ri-civilizzare la modernità perché solo la religione, sia pure tradotta politicamente in un linguaggio laico, può aiutare la società europea a conservare le proprie risorse morali. In questa prospettiva la secolarizzazione, nel mondo cristiano, non esclude un'incidenza del fattore religioso sulla società, anzi la implica, ma in forme nuove rispetto al passato e in particolare rispetto ai modelli di cristianità, più o meno storicamente fondati, offerti dalla storia. Di fatto, però, gli effetti del ritorno in scena del fattore religioso non sono univoci, ma ambigui e contraddittori.

Il fattore religioso è stato fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta un elemento rilevante nella crisi del comunismo e perciò nell'affermazione di spazi di libertà; ma pochi anni dopo ha avuto una parte non secondaria nella crisi della Iugoslavia e ha contribuito al dramma di intere popolazioni scacciate dalle loro terre e decimate dalla «pulizia etnica»; è stato cioè, in questo caso, elemento di frattura e di crisi della convivenza. Negli ultimi anni ha assunto in Medio Oriente le forme minacciose del fondamentalismo. Gli interrogativi sono molti: la deriva verso il fondamentalismo dell'Islam è legata alla natura stessa della religione islamica o è una sua deformazione? Vi sono rischi di fondamentalismo cristiano? E ancora guardando a un ambito più ristretto: quale ruolo svolge e svolgerà il fattore religioso all'interno della nostra società che oramai, per effetto dei grandi fenomeni migratori, tende a diventare necessariamente multietnica e multireligiosa?

Le condizioni della convivenza e del positivo apporto delle esperienze religiose alla democrazia posto in luce da Habermas sono molteplici: sono legate anzitutto al quadro che gli Stati democratici saranno capaci di offrire: solo Stati autenticamente laici in cui la laicità non sia una religione alternativa di Stato ma uno spazio di libera espressione garantita a tutte le confessioni religiose potranno favorire la convivenza e al tempo stesso l'apporto delle religioni all'arricchimento del tessuto etico della società. Si delinea un suggestivo intreccio: la laicità dello Stato garantisce la libera espressione e convivenza delle religioni, ma le libere espressioni della esperienza religiosa garantiscono il necessario apporto etico alla democrazia e la stessa laicità. Quelle condizioni sono legate anche al modo stesso di vivere l'esperienza religiosa e al superamento delle molteplici forme di fondamentalismo o di integralismo. L'esperienza religiosa vissuta come adesione a una realtà che trascende la nostra condizione umana, di fronte alla quale l'uomo è sempre in ricerca, è per sua natura incompatibile con l'integralismo in ogni forma. L'integralismo nasce invece quando l'esperienza religiosa è vissuta come possesso esclusivo della verità, che fonda un privilegio.

Ma il problema si complica e si intorbida quando compare in scena un altro decisivo fattore: una cultura e una politica laica che, anziché favorire le condizioni di una autentica laicità dello Stato e aprirsi al dialogo con l'esperienza religiosa nelle sue espressioni più profonde e autentiche, si serve delle spinte integralistiche sempre presenti in ogni esperienza religiosa per un obiettivo politico conservatore, per un rafforzamento della identità collettiva, per reagire al confronto con le nuove identità cui le società multietniche sono spontaneamente esposte. Siamo allora di fronte alle posizioni cosiddette «teocon» che trovano spesso la Chiesa permeabile e indifesa di fronte all'illusione di aver trovato nuovi alleati. Allora il contraccolpo è pesante sulla laicità dello Stato, sull'apporto delle esperienze religiose alla democrazia e sull'autenticità stessa del messaggio religioso.

Siamo in Italia oggi di fronte alla possibilità reale di un incontro e di una saldatura fra tendenze conservatrici laiche e spinte integralistiche di matrice cattolica? È questa la domanda e, più che la domanda, l'ipotesi formulata da molti commentatori all'indomani del recentissimo referendum sulla fecondazione assistita. In realtà un incontro del genere è sempre possibile e si è numerose volte manifestato nella storia dell'Europa cristiana. Qualcosa di analogo si manifesta negli Stati Uniti, dove più che a un incontro fra realtà diverse si assiste al fenomeno di una forte influenza di gruppi fondamentalisti cristiani (non cattolici) sulla politica repubblicana. Si può stabilire fra le due sponde dell'Atlantico un fenomeno di risonanza... Ma è a mio avviso del tutto fuori della realtà legare queste ipotesi all'esito del referendum: l'effetto mobilitante dell'appello cattolico all'astensione, sostenuto dai cosiddetti «teocon», è stato assai relativo se è vero che il 20 per cento dei cattolici praticanti è andato a votare in una percentuale cioè assai vicina a quella dell'intero elettorato. L'astensione massiccia assai più che risposta all'appello cattolico è stata espressione spontanea e ragionevole del rifiuto di rispondere, in quesiti difficilmente comprensibili, a problemi di naturale competenza del Parlamento.

Dunque non si confondano i problemi: non si cerchi in una questione di grande respiro culturale quale quella del rapporto fra religione e democrazia e della laicità, non priva di problemi ma ancora aperta a grandi e positivi sviluppi, una copertura a evidenti errori di valutazione politica che la sinistra nel suo insieme ha compiuto.

Pietro Scoppola

[17 giugno 2005]

In La coscienza e il potere, Editori Laterza, 2007, pp. 212-215

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