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Droga e repressione di Lucio Garofalo
13.12.2009

Droga e repressione di Lucio Garofalo
Negli ultimi anni il problema delle tossicodipendenze è uno dei fenomeni
sociali che hanno subito una notevole accelerazione storica, assumendo
proporzioni sempre più ampie. Questo dato è uno dei segnali che attestano in
modo inconfutabile i mutamenti economici, sociali e culturali avvenuti nella
società, che ormai è una società di massa, in cui prevalgono tendenze
edonistiche e consumistiche di massa, per cui è inevitabile che anche il
consumo di droghe si affermi come un'abitudine sempre più diffusa, anzitutto
per gli effetti di emulazione e omologazione culturale, cioè in virtù di un
efficace strumento di persuasione, comunemente definito "moda".

In questo discorso una posizione centrale è occupata dalla mercificazione
del "tempo libero". La società borghese ha ormai imposto da tempo
un'ideologia mistificante del "tempo libero", inteso falsamente come una
frazione della propria vita quotidiana libera da impegni di lavoro e di
studio (nonché di lotta) da poter destinare agli svaghi, ai divertimenti,
alle vacanze, ossia ai consumi economici. Tale mistificazione ideologica è
perfettamente funzionale ad un processo di mercificazione e privatizzazione
del "tempo libero" che è diventato un ulteriore momento di alienazione
dell'individuo nella fruizione passiva e meramente consumistica di prodotti
offerti dall'industria del "tempo libero" e del "divertimento" quali il
sesso, la musica, lo sport e, ovviamente, le droghe. Tali fenomeni di
massificazione, mercificazione e alienazione del "tempo libero" sono
evidenti anche nei piccoli centri di provincia.

Le periodiche campagne mediatiche sulla criminalità e sull'ordine pubblico
sono assolutamente false, ingannevoli e strumentali. Per varie ragioni.
Anzitutto, si evita accuratamente di prendere in esame le origini e le cause
oggettive della criminalità comune, tanto meno di confrontarla con la
criminalità delle classi dominanti (guerre, mafia, omicidi bianchi,
bancarotta, fallimenti, evasione fiscale, ecc.) che non viene mai menzionata
dai mass-media ufficiali. Per gli organi di informazione l'unica criminalità
esistente è quella dei proletari, degli emarginati, dei migranti, degli
oppressi. Le classi dominanti mantengono il sistema con la violenza,
attraverso il monopolio e l'esercizio esclusivo della forza pubblica,
riversando la loro violenza sul proletariato e sulle classi lavoratrici, in
modo particolare sul sottoproletariato giovanile più marginalizzato.

Sul piano economico e politico una sostanza come l'eroina è perfettamente
funzionale ad un sistema basato sul dominio e sulla criminalità di classe.
Dal punto di vista economico, benché l'eroinomane non costituisca una
forza-lavoro intesa secondo i canoni tradizionali, tuttavia egli, essendo in
pratica uno schiavo della sostanza, un maniaco dipendente, pronto a tutto, a
rubare, a spacciare, ad alimentare il mercato (nero), produce reddito
(illegale) in quanto forza-lavoro, come, anzi meglio di un lavoratore
normale, pretendendo in cambio nessun salario e nessun contratto sindacale.

Sul versante politico gli assuntori di eroina non solo cessano di opporsi
attivamente al sistema, ma offrono un terreno fertile per la repressione e
la provocazione contro i movimenti giovanili di lotta e di protesta. In
determinati momenti storici le droghe si sono rivelate molto utili in chiave
repressiva contro i movimenti giovanili, contro le minoranze etniche e
sociali, contro le avanguardie politiche che si contrapponevano frontalmente
al sistema sociale dominante. Non a caso, l'eroina venne usata come una
sorta di "manganello" dalle classi dominanti di ogni paese per annientare la
contestazione giovanile degli anni '60 e '70. Ma non c'è stata solo
l'eroina. Infatti, anche altre sostanze sono state utilizzate in passato in
funzione politica repressiva.

Alcune droghe pesanti sono state impiegate scientificamente soprattutto in
funzione politica conservatrice e controrivoluzionaria, per sedare i
fenomeni di mobilitazione e rivolta visti come una pericolosa minaccia per
l'ordine costituito, cioè l'ordine padronale. Ad esempio, negli Stati Uniti
durante gli anni Settanta, la diffusione pilotata di droghe quali l'eroina,
la morfina, l'acido lisergico, venne decisa e posta in essere per consentire
un minor ricorso alla forza repressiva della polizia e del carcere, al fine
di annichilire e neutralizzare quelle esperienze di controcultura e
ribellione giovanile in voga in quel periodo, nonché le lotte e le
organizzazioni politiche della gente afroamericana. Il Black Power, il Black
Panther Party, i Musulmani neri, gli hippies, i Weatherman e altri movimenti
sovversivi statunitensi, furono sgominati anche attraverso la diffusione
pilotata di sostanze tossiche come l'eroina e altre droghe deleterie.

La reazione della classe dominante statunitense non si misurò solo con i
tradizionali strumenti di repressione esercitati dagli agenti dell'ordine
(quelli regolari: esercito e polizia; quelli irregolari: squadrismo di
destra), per cui centinaia di militanti neri e attivisti bianchi furono
assassinati e altre migliaia incarcerati, ma altresì con un intervento,
altrettanto brutale e repressivo, condotto sul versante culturale, mediante
la diffusione (promossa e pilotata ad arte) delle droghe e della "cultura
delle droghe" all'interno delle realtà dei suddetti gruppi e movimenti
politici antagonisti, che in tal modo vennero definitivamente sconfitti. Si
pensi alla gioventù nera americana, sterminata e brutalizzata fisicamente e
mentalmente dal flagello delle droghe, danneggiata anche finanziariamente e
costretta a delinquere, poiché per il drogato l'unica possibilità di
sopravvivenza è il furto, che egli compie esclusivamente a scapito della
propria comunità, la comunità afroamericana, e non contro la società bianca.


Le droghe pesanti furono funzionali all'azione repressiva condotta dalle
forze del capitale per sconfiggere le vertenze sindacali e le battaglie
rivendicative della classe operaia statunitense, per contrastare e
narcotizzare i movimenti del proletariato giovanile afroamericano, per
soffocare le lotte delle avanguardie politiche organizzate, per porre un
freno alla rivoluzione sociale e intellettuale che si era compiuta nel
decennio intercorso tra la fine degli anni '60 e la fine degli anni '70. Una
rivoluzione che investì anche il costume dell'epoca, modificò radicalmente
lo scenario culturale, la mentalità, la sfera sessuale, i comportamenti, le
abitudini di vita, i gusti, i bisogni delle nuove generazioni del mondo non
solo occidentale. Gli anni '80 furono, invece, gli anni del disimpegno
politico, del riflusso qualunquistico, della restaurazione, e non a caso
furono contrassegnati da una vera e propria escalation della diffusione ed
espansione del mercato e del consumo delle droghe, sia di quelle leggere che
di quelle pesanti.

Le tossicodipendenze sono solo un sintomo di un malessere più grave e
sotterraneo, che sembra affliggere soprattutto la condizione giovanile, ma
in realtà investe la condizione umana complessiva, coinvolgendo l'universo
sociale in modo trasversale. Naturalmente, i tossicomani provenienti dalle
famiglie più abbienti possono fruire dei privilegi derivanti dalla loro
estrazione sociale, mentre i drogati che appartengono alle classi più
disagiate non riescono a godere dei medesimi vantaggi. Al contrario, sono
duramente penalizzati e stigmatizzati, costretti a delinquere per procurarsi
la "roba", condannati a frequenti periodi di reclusione, per essere infine
emarginati dalla società. Dal punto di vista della classe sociale, non è
affatto vero che un tossicomane proletario sia uguale a un tossicomane
borghese, sia per l'assenza di possibilità materiali necessarie a
un'adeguata terapia disintossicante o a comprare la sostanza, sia per un
diverso rapporto culturale e sociale con l'ambiente. Al contrario di un
eroinomane borghese quello di origine proletaria vive l'esperienza con la
droga direttamente contro la sua classe di appartenenza, a favore del
mantenimento dei rapporti capitalistici.

E' necessario chiedersi se l'attuale normativa proibizionista riesca a
debellare ed eliminare il flagello delle droghe. Di fatto, il regime
proibizionista può a malapena scalfire la dura corteccia che avvolge la mala
pianta. Lo confermano le più aggiornate statistiche che rivelano un costante
incremento del consumo di sostanze tossiche (soprattutto sintetiche) tra le
giovani generazioni, segnalando una pericolosa tendenza verso la
precocizzazione di tali abitudini. Il proibizionismo è dunque più assurdo e
nocivo del consumo stesso di droghe, in quanto tale sistema penale non
risolve il problema, né lo intacca minimamente, ma si limita ad occultarlo
in modo ipocrita e sciocco, negando l'evidenza, cioè che le droghe circolano
ugualmente, anzi in misura maggiore rispetto a una legislazione più
tollerante, che provi a regolamentare il consumo depenalizzando i
comportamenti che attualmente sono puniti come reati, così da alleggerire il
carico di lavoro sopportato dal sistema giudiziario e penitenziario.
Infatti, è proprio un regime di tipo proibizionista che permette in
concreto, pur imponendo un divieto puramente rituale, una liberalizzazione
crescente del consumo, un'espansione del narcotraffico e del mercato nero,
gestito dalla criminalità mafiosa, che grazie a tali proventi fiorisce come
una pianta malefica, con tutte le conseguenze devastanti in termini di costi
umani, sociali, economici, politici e giudiziari, che inevitabilmente ne
derivano.

Oggi è sempre più impercettibile, se non inesistente, il confine tra
legalità e illegalità, in particolare tra economia legale e illegale, tra la
"mafia capitalista", inserita nei circuiti finanziari istituzionali, e la
criminalità mafiosa convenzionalmente intesa. Il crimine è assunto al
livello della legge su scala mondiale. Quella che prima si poteva
considerare come una "devianza dalla norma" si è tramutata nel suo esatto
contrario, giacché la devianza si è imposta come norma, intendendo per
"devianza" soprattutto il delitto, a cominciare dai peggiori crimini
commessi dal sistema capitalistico globale.

Lucio Garofalo

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