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Appello che fanno girare i ragazzi dello Zapata di Genova
7.01.2010

Appello che fanno girare i ragazzi dello Zapata di Genova
Inoltro l'appello che stanno facendo girare i ragazzi dello Zapata di genova.
anche loro, come Codici (la cooperativa in cui lavoro io) e altre realtà a Milano, stanno lavorando a Genova da anni con i ragazzi latinoamericani: a differenza nostra, stanno sostenendo i percorsi dall'interno del centro sociale zapata. domenica sera è stato ucciso uno di questi ragazzi. questo fatto, oltre a essere in sé una cosa indicibile, che si muoia in italia a 16 anni per motivi assurdi, rischia di mettere in pericolo il percorso con i ragazzi e le ragazze e la vita del centro sociale stesso.
io ovviamente sottoscriverò l'appello, mi piacerebbe che anche voi lo leggeste e, se ritenete, firmarlo, come dottorandi, docenti, assegnisti e viadicendo. in calce all'appello potete trovare anche i nomi dei primi firmatari: ci sono anche docenti dell'università di genova che hanno sostenuto il percorso con i ragazzi e portato avanti alcune ricerche con loro.

Valentina Bugli
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Via Bicocca degli Arcimboldi, 8
20126, Milano
Tel. (+39)02.6448. 7583
Fax (+39)02.6448. 7561

APPELLO
Domenica sera a Genova è successa una tragedia, un giovane ragazzo cileno, Stefano Eduardo, è morto accoltellato, probabilmente da
un coetaneo nel quartiere di Sampierdarena.

Il contesto in cui è maturata la tragedia è ancora molto incerto.
Sicuramente domenica sera lo Zapata era chiuso, verso le 20.00 un gruppo di 20/30 ragazzi latinoamericani ha fatto irruzione nel
centro sociale assalendo con coltelli, bottiglie e pietre una quindicina di ragazzi che si trovavano al suo interno per un compleanno.
Cosa sia successo dopo non è ancora chiaro a nessuno, quello che certamente sappiamo è che ancora una volta a Genova, è morto
un ragazzo e, in questo momento terribile, ci sentiamo innanzitutto vicini al dolore della famiglia e degli amici.

Questa tragedia, in parte purtroppo annunciata, è il frutto del completo abbandono da parte della città di Genova e delle sue
istituzioni e autorità di una generazione intera di giovani latinoamericani nel ponente della nostra città.
Da quasi 4 anni lo Zapata è luogo di riferimento di centinaia di giovani latinoamericani.
Il percorso con le organizzazioni della strada latine, quelle che questura e giornali chiamavano, e non hanno mai smesso di
chiamare,"baby gang", è cominciato nel 2006.
In quell'anno, dopo un lungo periodo di scontri, i 3 gruppi più numerosi decisero di cessare le ostilità, di uscire allo scoperto,
di dimostrare alla città che le loro organizzazioni erano invece una via d'uscita dalla guerra fra poveri, una sorta di società di mutuo soccorso, una
risposta collettiva e solidale alla loro condizione di precarietà e marginalità senza prospettive.
In questi 4 anni assieme allo Zapata ed alle organizzazioni della strada sono stati organizzati centinaia di eventi (tornei di
calcio, assemblee, incontri pubblici, feste, manifestazioni) sia a Sampierdarena, sia in tutta Genova.
In questi anni, con poche forze, sono stati costruiti progetti di partecipazione (musicali, sportivi, sociali, che hanno portato alla
nascita di gruppi musicali, di squadre di calcio, etc.), momenti di confronto e di crescita collettiva, coinvolgendo le scuole, l'università, i servizi
sociali, il sert, il consultorio, il teatro Modena, i CIV, qualche assessore etc.
Abbiamo sempre inteso il percorso con i ragazzi sudamericani all'insegna della fine di ogni violenza cieca e inutile,
concretizzando nel quotidiano, allo Zapata e in tutta la città, quel percorso di pace siglato alla Sala Chiamata del Porto di Genova nel Giugno del
2006.
Alla luce di questo, non possiamo che prendere le distanze da quanto accaduto e ribadire quanto andiamo dicendo da anni, perché
non è mai accettabile perdere la vita a 17 anni in questa maniera: chi risolve le proprie liti con un coltello non è più "fiero" o coraggioso, ma anzi è più vile
e codardo.
A chiunque speculerà su questa tragedia per chiedere sgomberi o interventi repressivi che interrompano un percorso di
autogestione, socialità, lotta e integrazione, che dura da sedici anni, rispondiamo che rivendicheremo e difenderemo sempre il progetto finora compiuto.

Tutto questo lavoro è stato fatto, a parte la rete di soggetti intelligenti e coraggiosi che sopra citavamo, nel deserto più
assoluto.
Da parte delle istituzioni cittadine sono arrivate sostanzialmente solo qualche pacca sulle spalle, il finanziamento di
qualche piccolo progetto e molte promesse mai mantenute.
Ma cosa molto più grave è che le stesse istituzioni cittadine non abbiano dato alcuna attenzione né tanto meno risposte a chi,
migrante o italiano che sia, vive e lavora nei quartieri del ponente genovese.
Invece di cogliere il problema sollevato, di investire risorse ed energie su di esso e di aiutare chi lavorava e lavora (non
solo noi per fortuna) per inventare alternative e renderle praticabili ad un numero di ragazzi e ragazze sempre maggiore, Genova è rimasta alla finestra,
contenta che qualcuno si occupasse del problema e mugugnosa rispetto alle chances di successo di questo percorso.
Non si può più stare alla finestra e la tragica morte di Stefano è solo la più terribile delle dimostrazioni.
La lega e l'assessore Scidone vorrebbero risolvere il problema riempiendo Sampierdarena di telecamere, di ronde e di alpini, noi
pensiamo che non servirebbero a nulla, che chi vuole si accoltellerebbe lo stesso, che i cittadini non si sentirebbero più sicuri ma solo più
controllati.
Pensiamo che sia invece necessario uscire una volta per tutte dalle ambiguità, investire su una nuova stagione che veda il
ponente genovese (territorio che da sempre ha richiamato uomini e donne di altri luoghi, persone che venivano a lavorare nelle sue grandi fabbriche o
nel porto e che ora lavorano nell'edilizia o assistendo anziani) rivendicare la sua natura meticcia, farne un elemento di forza e di orgoglio come è stato
in passato.
Invece di spendere miliardi di euro nella gronda di ponente o di pensare a ronde, alpini e telecamere il comune dovrebbe pensare
allo stato di vivibilità dei suoi quartieri, investire su percorsi di partecipazione, costruire spazi e servizi per italiani e migranti, costruire spazi
verdi, finanziare chi lavora dal basso nei quartieri, dare possibilità di studio e lavoro.
Noi, con tutte le nostre forze, continueremo a costruire, giorno dopo giorno, progetti dal basso, di partecipazione ed
autogestione, di lotta politica per uscire dallo scontro fra poveri... Genova dovrà scegliere se è ancora accettabile stare alla finestra.

Primi firmatari:
Centro Sociale
Zapata, Comunità San Benedetto al Porto,
Centro Sociale Terra di Nessuno, Associazione Ya Basta Genova, Centro
Sociale
Pinelli, Aut Aut 357 Spazio liberato per l'autonomia e
l'autoformazione,
Massimo Cannarella
(Università di Genova)
Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)
Francesca Lagomarsino (Università di Genova)
Teresa Marcelli (coordinatrice Centro Servizi per i minori
e la famiglia)
Federico Persico (Presidente cooperativa sociale)
Etta Rapallo (operatrice sociale)

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